Provate a immaginare o, forse, a ricordare… è notte fonda e voi siete nel vostro letto, in una camera illuminata solo dal fioco alone argenteo della Luna, un pulviscolo iridescente che si posa sugli oggetti e ne disegna a malapena il contorno, lasciando tutto il resto nelle più nera oscurità. Il silenzio è assoluto, eppure nelle orecchie batte una pulsazione, come il rintocco di una campana a morto che si spegne lontano… Forse è il sangue che scorre nel corpo, forse è l’aria che entra ed esce dai polmoni, chi può dirlo? Sapete soltanto che siete stati abbandonati su quel piccolo materasso, fragile zattera al centro di un oceano di tenebra che cerca d’inghiottirvi, e che, in quell’acqua color dell’inchiostro, nuotano invisibili abominii. Come squali famelici, disegnano intorno a voi un cerchio che si stringe un poco a ogni giro. Attendono l’occasione, è solo questione di tempo. Ed è allora, quando il sudore già vi stringe in un sudario gelido e le pupille si dilatano fin quasi a scoppiare… è allora che, dall’angolo più buio della stanza, come dal più cupo e inospitale recesso dell’universo, giunge una voce rauca e profonda, che vi chiama per nome. Lui conosce il vostro, ma anche voi conoscete il suo: Babau.
L’immagine è "Il Babau" di Dino Buzzati, 1970. Il testo è di Gianmaria Contro, Almanacco della Paura 2010.
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