Ho diversi libri su Magritte, geniale artista del secolo scorso. In nessuno avevo mai trovato una spiegazione così lucida e calzante dell’opera di questo fenomenale pittore, come quella del saggio di Robert Hughes. Eccola:
Magritte è morto nel 1967 all’età di sessantotto anni, ma la sua opera continua a esercitare sugli spettatori di oggi [..] il fascino del narratore di storie. L’arte moderna era ben fornita di creatori di miti, […] ma possedeva pochi maestri con l’impulso della narrazione e Magritte […] era il suo principale affabulatore. Le raffigurazioni di Magritte erano prima di tutto storie, poi dipinti veri e propri. Ma le storie non erano narrazioni alla maniera vittoriana, tranche de vie o episodi storici: erano istantanee che fotografavano l’impossibile, e lo rappresentavano nel modo più noioso e prosaico; vignette sul linguaggio e la realtà, imprigionati nel reciproco annullamento. La maestria di Magritte come pittore dell’enigma non aveva eguali e, nonostante la grande influenza che esercitò sul modo di creare immagini (e su come lo spettatore debba decodificarle), non ebbe dei seguaci nel senso proprio del termine.
Il vero omaggio alla sua vita e alla sua arte è stata la reazione che ha suscitato a posteriori. All’interno di un movimento, il surrealismo, che aveva posto l’accento su exploit eclatanti, tumulti politici, scandali sessuali e violente crisi in parte religiose, Magritte […] sembrava la personificazione dell’indifferenza e dell’imperturbabilità. Visse a Bruxelles, non a Parigi, e restò sposato per tutta la vita alla stessa donna, Georgette Berger. In base alla concezione di bohème ed élite predicata dal surrealismo, Magritte avrebbe potuto benissimo fare il salumiere.
La svolta di Magritte avvenne nel 1927, quando trasferendosi a Parigi si trovò a vivere il movimento surrealista dall’interno […] Con la sua tecnica essenziale, lucida, Magritte dipinse gli oggetti in modo così banale quasi fossero usciti da un abbecedario: una mela, un pettine, una bombetta, una nuvola, una gabbia, una strada di provincia con casette squadrate, un uomo d’affari con il soprabito scuro, un nudo impassibile. Nel suo repertorio non vi erano molte cose, prese singolarmente, che a un qualunque impiegato belga non capitasse di vedere nel corso di una giornata qualunque nel 1935. Ma il modo in cui Magritte le combinava tra loro era assolutamente nuovo. La sua poesia era impensabile senza la banalità che egli rielaborava e trasformava, fino a sovvertire la normale nomenclatura delle cose. Il bicchiere in La Corde Sensible è un normale bicchiere, la nuvola è una normale nuvola; ma la cosa che sorprende è il loro incontro, in quella limpidezza azzurra, resa con tanta pazienza. Le più belle rappresentazioni di Magritte sembrano legate piuttosto alla descrizione che non alla fantasia, grazie alla quotidianità degli elementi da cui sono composte. […]
Magritte creò alcune tra le immagini più scioccanti di alienazione e paura all’interno di tutta l’arte moderna. Non esiste un simbolo più raccapricciante della frustrazione del congiungimento carnale di Les Amants […]
Se l’arte di Magritte si fosse limitata a scioccare non avrebbe avuto vita lunga, come è avvenuto nel caso di tante altre meteore del surrealismo. Ma il suo impegno andava più in profondità, all’interno dello stesso linguaggio, del modo in cui il significato viene comunicato o annullato dai simboli. Il suo manifesto era il celebre dipinto di una pipa, con la scritta “Ceci n’est pas une pipe”. Ed è proprio così: è un quadro, un’opera d’arte, un segno che indica un oggetto, e non l’oggetto stesso. Nessun pittore aveva mai formulato con tanta chiarezza questa verità fondamentale sull’arte e sull’attività dell’artista. […]
ilmarti
Già saprai, però io te lo scrivo comunque:
http://www.mostramagritte.it/
Fabio
Si, infatti ci devo troppo andare