Da bambino andavo da mio papà a farmi dare cento lire.
Mi dai centolire?”
Era la mia “paghetta” giornaliera. 
Molti di voi penseranno che a quell’epoca cento lire fossero comunque una discreta sommetta. E invece no, erano pochine.
Potevi permetterti un ghiacciolo, una partita ai videogames o, come spesso accadeva, una canzone al juke-box. La mia preferita nell’estate del 1983 era Vamos a la playa, dei Righeira, che quando mi dicevano che erano italiani io non ci credevo.

Andavo al Bar Cavanna e aspettavo un po’, per vedere se qualcuno prima di me l’avesse per caso già scelta, e in quel caso sarebbero state cento lire risparmiate. Quando, dopo 5 o 6 canzoni, non sentivo la “mia”, mi arrendevo, mettevo la mia monetona nella fessura e pigiavo quei grossi tastoni del macchinario. 
Mi stupiva sempre il fatto che ci fossero anche le lettere “straniere” ed era una figata quando la canzone scelta era del tipo “J8” o “K3“.

Quando un disco finiva, smetteva di girare e il meccanismo lo prendeva per riporlo al suo posto. Se qualcuno aveva scelto una nuova canzone, tutto ripartiva: i dischi scorrevano finché la mano meccanica sceglieva il vinile richiesto, lo alzava, lo girava orizzontale e lo riponeva sul giradischi.
Arrivava la testina, si abbassava e…zac, dalle casse ecco la tua canzone.

I grandi successi stavano nel juke-box anche un anno, le canzoncine estive solo per pochi mesi. I nomi dei cantanti e i titoli delle canzoni erano scritte su un’apposita etichetta, ma talvolta capitava che fossero scritte a mano, chissà perché. Magari il fornitore di dischi non forniva l’ etichetta per il “giùbocs“, oppure il disco in questione non era destinato a tale uso e allora il barista doveva scriverlo a biro.

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