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Oggi è il compleanno della Rita, quindi frittelle per tutti
Mi è capitato di vedere la trasmissione RAI "Giovani e Ricchi"
http://www.raiplay.it/video/2016/09/Giovani-e-Ricchi-628060d6-6764-485c-b108-adc1f2873559.html
E’ una specie di "documentario" sulla vita di alcuni giovani rampolli di alcune famiglie benestanti italiane. Benestanti è dire poco, diciamo schifosamente ricchi. Questa non è sicuramente una loro colpa, però è oggettivo che sono decisamente e oggettivamente viziati, anzi viziatissimi.
Tutti dicevano la classica frase: io sono un ragazzo (o una ragazza) normalissimo con una vita normalissima, che colpa ne ho io se sono parte di una famiglia ricca. Alcuni lo dicevano totalmente a sproposito, visto che facevano vite "da sogno" e assolutamente snob. Altri avevano anche amici "normali", ma con degli eccessi decisamente "particolari", come il tizio che si è fatto rivestire la Maserati di velluto nero, sostenendo che fosse una cosa normalissima.
Tutti chiaramente con macchinoni regalati dal papi di turno perché "mio figlio si è laureato e la macchina se l’è meritata". Può darsi. Secondo me troppi vizi fanno male.
Io non sono né giovane né ricco, ma mi sento privilegiato rispetto a tanti altri, ho una casa di proprietà dove vivo e un lavoro indipendente, ed entrambe queste opportunità mi sono state date dai miei genitori, quindi "regalate", non me le sono guadagnate da zero. Detto questo…
Ringrazio i miei genitori, per non avermi mai pagato una vacanza, per avermi fatto tribulare per avere un’auto mia, che infatti ho avuto solo grazie a mio nonno Michele.
Ringrazio mio padre per avermi fatto pesare ogni singola volta che avrei speso dei soldi chiedendomi mille volte se davvero avessi bisogno di quello per cui li stavo spendendo…e talvolta me lo ripeteva talmente tante di quelle volte che desistevo, basta non sentirlo più.
Ringrazio mia madre per aver ceduto poche volte ai miei capricci di bambino per farmi acquistare qualche giocattolo, visto che avevo già quelli dei mie fratelli maggiori e comunque potevo giocare all’aperto, vivendo a Brallo.
Ringrazio mio padre che nonostante le mie richieste, non mi ha comprato la bicicletta finché non le ha comprate da vendere in negozio e quindi una era destinata a me…peccato che poi quando le ha finite ha venduto anche la mia. E questo si è ripetuto per almeno 4 o 5 volte nel corso degli anni, finché al primo anno di università ho messo da parte i soldi per comprarmene una (che infatti posseggo tuttora, visto che ho capito quanta fatica bisogna fare per guadagnarli i soldini, vendendo magliette ai miei compagni di corso).
Ringrazio mia madre e mio padre, per non avermi comprato vestiti firmati, benché avessimo un negozio di abbigliamento. E soprattutto per avermi fatto capire il perché. Questa cosa non mi ha mai pesato, in quanto in famiglia mi avevano insegnato che non importa che firme hai addosso: l’onestà, i valori, ma anche la personalità non sono rappresentati dai vestiti che si indossano. Da ragazzino era un classico che gli amici, soprattutto quelli che arrivavano "dalla città", mi dicevano: ma tu che hai un negozio, perchè non indossi le Nike, i Levis, le Lacoste? E io rispondevo che quelli li avevano tutti, mentre io con gli stessi soldi ne avevo perlomeno il doppio. Quanti stronzi ho poi incontrato nella mia vita, che erano firmati da capo ai piedi.
Ringrazio mio padre per avermi fatto penare a comprare la TV a colori, per aver fatto in modo che ogni volta che avevo bisogno di spendere dei soldi dovessi motivargli, in modo molto insistente, la mia necessità, invece di darmi soldi così "tanto per".
Ringrazio mia madre perchè mi ha sempre insegnato che i soldi non contano niente. E me lo spiegava lei, che da ragazzina viveva in una famiglia dove i soldi non c’erano, ma c’era la dignità. Dove non c’era neanche posto per tutti a tavola e i figli più piccoli mangiavano seduti sulla scala. Dove a volte non c’era neppure da mangiare, e uno dei regali che si ricordava meglio era una mela che gli aveva donato una signora di ritorno dai campi. Lei e mio padre hanno sempre lavorato sodo, risparmiato al massimo, perchè gli erano rimasti indelebili in memoria quegli anni in cui "non c’era niente", ma spiegandomi nel contempo che l’importante era volersi bene, perchè i soldi, seppure da rispettare in quanto guadagnati con fatica, vanno e vengono e non devono essere motivo di invidie, di litigi e quant’altro.
Ringrazio mio padre e mia madre di tutto questo e altro ancora. In modo che, vedendo quei ragazzi, quello che provo non è minimamente invidia, forse un po’ di tristezza, perchè nonostante le parole di circostanza, non si sforzano neanche di capire il valore del denaro. Si "arrendono" al fatto di essere ricchi pensando che, quindi, tutto gli sia permesso. Un peccato.
E’ passato un anno da quando ci hai lasciati su questa terra, ma da allora non hai smesso un momento di guidarci e proteggerci da lassù, come hai sempre fatto da buona moglie e splendida madre. Volevamo ringraziarti ancora perchè se siamo ciò che siamo lo dobbiamo anche a te che ci hai messo al mondo, ci hai insegnato tanto e ci hai saggiamente indirizzati e accompagnati sui sentieri della vita. Vivi ancora in noi e sarai sempre nei nostri cuori. Un bacio.
Come si fa non voler bene alla Rita? Era uno scricciolo di energia. Una donna piccolina che aveva dentro una forza incredibile. Io l’ho conosciuta per meno della metà della sua vita, quindi molte cose le so solo per come me le hanno riportate. E’ nata in una famiglia poverissima, ha patito la fame, una famiglia con 5 fratelli maschi di cui era l’unica femmina e quindi ha fatto da sorella e talvolta anche un po’ da mamma.
Sua mamma le ha voluto dare un futuro diverso e l’ha fatta studiare: è diventata maestra.
La sua è stata una vita di sacrifici: dopo l’infanzia e lo studio ha intrapreso la carriera da insegnante, ma non è stato facile. Non ha mai avuto una cattedra fissa e quindi ha fatto numerosissime supplenze. Non pensate ai giorni nostri, quando con l’auto o coi mezzi si raggiungono facilmente tutte le scuole. A quei tempi andare in paesi distanti chilometri, in valli lontane, era quasi un’avventura. E durante i giorni di supplenza era impensabile tornare a casa: si rimaneva al paese, magari ospitati in qualche locanda. E il marito e il figlio che ti aspettano a casa. Ha girato veramente tanti paesi, ha cresciuto tanti bambini, è stata la maestra di tutti. Quando è andata in pensione ricordo che un articolo sul giornale l’ha definita "globetrotter".
Ha sempre avuto uno spirito incredibile, non si fermava mai davanti a nulla, trovava sempre una soluzione. E’ stata la prima donna della valle a prendere la patente.
E una volta raggiunta l’età della pensione? Facile, ha iniziato a lavorare, ancora di più. Il suo orto a Pregola, i suoi tetti da sistemare, il catrame contro le infiltrazioni, le fragole da piantare, tutti i suoi traffici. Zappa, badile, carriola, falcetto, roncola, cazzuola, saldatore, martello. Questi erano i suoi strumenti, altro che ferri da maglia!
Aveva mille passioni. E la prima era la famiglia. Il marito, col quale ha creato una cosa incredibile. "Dietro un grande uomo c’è una grande donna" si dice e mai fu più vero come nel caso della Rita, così piccola di statura e così grande come donna. Siro creava e lei gestiva.
Io spero nella vita di essere felice, fortunato, umile e capace anche solo una piccola parte di quanto sono stati loro.
Ha avuto 3 figli: un modo per essere sempre giovane. Perchè lei è sempre stata giovane. Dentro e fuori. Sempre vogliosa di sperimentare cose nuove. Magari non sapeva utilizzare bene le nuove tecnologie ma le capiva e se ne interessava, mantenendo nel contempo il gusto per le cose antiche. Una donna straordinaria.
E così come ha vissuto, sempre giovane, ha voluto morire giovane. Con la sua giacca rossa, con la sua motosega elettrica, con la fiamma ossidrica, con tutti i suoi attrezzi e la sua inventiva che le permetteva di riuscire in qualsiasi situazione. C’era un problema? Ci pensa la Rita. Ha viaggiato fino a Londra da sola a 77 anni. La potete osservare su YouTube in sella a un quad. Sono forse cose da vecchietta?
E così, quando ha dovuto arrendersi, quando la vita l’ha costretta a riempirsi di medicine e stare su una sedia a rotelle, non ha voluto starci. Ed è volata via da giovane, per fare che possiamo ricordarla così…giovane. Più ci penso e più ne sono convinto: non ha voluto diventare vecchia.
E non era solo una donna capace nelle cose pratiche. Era una grande moglie e una grande mamma. Aveva un senso della famiglia enorme. A me ha insegnato tanto. Anzi di più. Voi che magari la conoscevate potete sospettarlo, ma non potete capire fino in fondo che donna eccezionale fosse. Ognuno di noi è la storia che ha fatto, a partire dalle proprie radici. Io sono io per quello che sono, per la mia testa, per dove ho vissuto, per quello che ho fatto, ma anche per quello che mi hanno insegnato mia mamma e mio papà, nel piccolo, nella vita quotidiana giorno per giorno. Un insegnamento fatto di tante piccole cose che messe insieme è come un oceano.
Quindi lei vive in me, così come nei miei fratelli. Ecco perchè ho detto che se ho bisogno di lei la trovo nel mio cuore, perchè lei vive in me. E ho anche detto di non essere tristi. Io triste non sono: malinconico tanto, ma felice per averla avuta.
E quando proprio non ce la faccio le parlo. E quando devo pregare per lei, per fare in modo che anche lassù possa stare bene, fin da subito non riuscivo a recitare l’Eterno riposo. Riposo? mmm, non le si addice. Si annoierebbe… a morte (scusate il gioco di parole). E qundi: eterno lavoro donale o Signore, splenda a lei la luce perpetua, tribuli e riposi in pace, amen.
Era giusto salutarla anche da queste pagine che avevano ospitato tante volte i suoi scritti. Mi diceva: questo l’ho scritto per Internet.
Ciao grande donna. Ciao Rita. Ciao Mamma :-) !!!
Senti una cosa Ma’, cioè volevo dirti, si insomma volevo parlarti di quando ero un ragazzino. Praticamente tu mi facevi fare, cioè mi continuavi a dire certe cose e io le facevo. Insomma sto facendo un discorso incasinato, forse è meglio che ricomincio da prima. Da bambino-bambino ero scatenatissimo, ero un disgraziato della madonna, uno di qui bimbetti che vorresti mettergli le mani in faccia e dargliene tante. Capriccioso a manetta. Sai secondo me come mai, si cioè vorrei tentare una spiegazione di psicologia spicciola: siccome da piccolo ero stato sempre in giro da parenti e affini, gente che mi teneva xchè voi non avevate tempo, ma però io non è che non me ne ero accorto, voglio dire, io mica non lo sapevo, io sotto sotto volevo stare con la mia famiglia. Allora magari sono diventato così, cioè cagacazzo, magari x attirare l’attenzione. Boh non lo so ma è una mia idea, magari no, però.
Certo che è durissimo crescere un figlio, fai del tuo meglio, ma mica gli puoi aprire la testa e metterci dentro le cose giuste. Poi però sono cambiato. Io volevo parlarti di quando ero un ragazzotto, si insomma praticamente quando tipo andavo alle medie o giù di li. Tu mi dicevi un sacco di cose sul fare e non fare e diciamocelo, io + o meno ti davo retta. Cioè dai, non puoi dire di no, più o meno non puoi dire che non è così. Ma anche nelle piccole cose, per esempio mi viene in mente quando mi dicevi che io con le t-shirt stavo malissimo, che io non ero fatto x metterle (ma tu dimmi che idea del cavolo) e allora solo polo. Cavolo quando arrivavano in negozio le magliette ovviamente le + figose erano girocollo, con le stampe, mentre le polo erano più seriose. Ma io ero “convinto” di non stare bene, e non le avevo mai messe. Adesso ne avrò 3000. Vedi è una piccola cosa, ma x dire che mi convincevi proprio, del tipo se lo ha detto mia mamma allora è così. L’unica cosa dove non mi convincevi, beh si, era di studiare, di quello non me n’è mai fregato un cazzo, si capiva. E infatti alle elementari l’Andreina mi diceva: 6 1 bambino intelligente ma non studi una mazza. Alle medie la Grilli proprio si incazzava, o xlomeno si rammaricava. Si mi diceva cose del tipo: la tipa tua compagna non sa una minchia, ma quello è il suo massimo, tu magari fai anche di più, ma la tua potenzialità è evidentemente quella di fare di +, ma tu te ne fotti xchè 6 1 fancazzista e allora mi arrabbio. Cioè ma scusa, ma che discorso è, dai. E poi alle superiori solita menata: si meriti 6, ma potresti fare molto di più, che rabbia, mi dicevano. Ma voi fatevi i cazzi vostri se merito sei dammi sei e non rompere. Va beh poi è finita con la storia dell’università, ma questa è la dimostrazione che non c’è bisogno di studiare, cioè di mettersi li di brutto, x fare le scuole.
La gente è convinta di due cose sbagliate. La prima è che per fare le scuole devi NECESSARIAMENTE studiare come una bestia. Cioè mettersi li in casa, non uscire, legarsi alla sedia col libro davanti. Errore. Ogni materia, ogni esame è una sfida. Devi capire cosa vuole il professore e poi fare in modo che lui sia xsuaso che tu sappia ciò che vuole lui. Certo un metodo è quello di studiare tutto di tutto, ma secondo te io ho voglia? Ma va, se posso il libro non lo apro, se poi devo mi ci addormento sopra, navigando con la fantasia x altri mondi. Diciamo che ho sviluppato un mio sistema, magari inutile, magari poi non ho imparato una sega, però le cose mica le faccio per gli altri, le faccio x me stesso principalmente.
Un’altra cosa è che quelli che prendono titoli di studio, tipo le lauree, sono dei personaggioni, con dei testoni incredibili. Del tipo a me dicono: caspita sei laureato, chissà che intelligente. Ma dove? La laurea mica misura l’intelligenza, né la da a chi non ce l’ha. Quante bestie laureate ci sono in giro? Beh si dai. A limite uno esce con 110 e lode allora li si che puoi dire che quello è un figo, xchè comunque ha avuto una costanza e una capacità mica facili da trovare. Io fossi una ditta un tipo da centodieci lo assumo a scatola chiusa, ma non per quello che sa (magari non serve a molto, come sempre succede con le scuole) ma per la capacità che ha dimostrato, l’impegno, la voglia di fare. Allora si.
Va beh dai che cavolo sto dicendo volevo parlare di altre cose. Stavo dicendo che da ragazzino ti davo retta. Fin troppo. Ma x la carità, tutte cose giuste, a posteriori posso dire con orgoglio che molti dei valori che considero di avere me li hai insegnati tu, ma non sto parlando di queste grandi cose, sto parlando delle cazzate. Si insomma dai è normale che le madri dicano cosa fare ai figli ed è abbastanza normale e bello che i figli le seguano le direttive, ma quello che voglio dire è che adesso sono molto contento che col tempo ho capito che io magari la pensavo diversamente e me ne sono fregato. Così da una parte è andata bene anche a te perché mi sono svegliato un po’, mi sono svezzato. Beh svezzato lo sono stato da subito, da bambino avevo più libertà io di Pinocchio, ma non è quello che intendo. Beh penso che succeda a tutti, arrivi ad una certa età e pensi che tutto quello che dicono i genitori son cazzate. Ci sono periodi della vita così. Io non pensavo fossero tutte cazzate, come ripeto sulle cose importanti ti ho sempre dato ragione e ancora la pensiamo uguale lo sai. Sulle piccole cose della vita invece molto spesso la pensiamo in maniera diametralmente opposta e quindi ci scazziamo un po’. Ma è il nostro modo di fare, siamo due fiammiferi che ci accendiamo subito, ma nel giro di poco si spengono ancora.
Però appunto sono orgoglioso di me stesso x quando ho cominciato e pensare con la mia testa, a cercare di capire il mondo, i suoi meccanismi, le sue convenzioni. E il fatto che siano appunto convenzioni, alcune da seguire, altre da divertirsi a distruggere. Quando ho capito di non aver più paura di nulla, paura di quello che può pensare o dire la gente. Cioè così facendo non è che io sia uno strafigo della madonna, tuttaltro. Certo nei sogni a tutti piacerebbe esserlo, sai tipo stile il playboy miliardario brillantissimo e precisissimo. Però, visto che tanto non riuscirei a reggere la parte, sono ultracontento di essere come sono. Di prendere la vita come viene, ma non passivamente, sempre con la curiosità di un bambino, che vuole esplorare sperimentare imparare scoprire.
E sempre con la voglia di cantare e ballare come un bambino. O come un deficiente. Non so se è un pregio o un difetto, ma anche di questo non mi frega. Mi inserisco tranquillamente nella categoria degli sfigati nella quale sono stato spesso inserito. Tanto sono in buona compagnia. Ma tanto mi piaccio abbastanza x così come sono, non ho complessi del cazzo, cerco di capire i miei limiti, di conviverci, di sfruttarli se si può e di arginarli se si deve. Beh si dai ovvio che si vorrebbe essere sempre un po’ meglio, ma tutto sommato è OK così.
Va beh insomma ma che cazzo sto scrivendo non lo so neanche io, sono qui al buio con dei fogli e una penna, non posso neanche rileggere perché non ci vedo mi bruciano gli occhi, ma mi sembra che invece che a te sto parlando a me stesso. E va beh dai vedo che comunque in ogni caso, cioè, si dai cioè mi sembra che ti vada bene, cioè che sei contenta x come sono e x quello che faccio, e la cosa ovviamente mi riempie di orgoglio, cioè le cose che io posso fare o non fare certo io le faccio x me e xchè ho voglia di farle, ma sapere che tu sei contenta è bello dai. Poi se litighiamo sulle cazzate è lo stesso, anzi va bene così se no che gusto c’è? E poi se sei contenta fai bene, tutto quello che faccio nella vita è anche perché ho sempre avuto il supporto della mia famiglia, quindi…
Cavolo basta sono quasi stufo di scrivere, al buio non sono abituato, e poi son molto più veloce con la tastiera che con la biro, ma non so che fare, mi bruciano gli occhi e non posso fare nulla, leggere, guardare la tele, usare il comp, nulla. Neanche andare all’aperto a fare un giro. Che cavolo di roba che c’ho addosso salcazzo. E allora ti scrivo nella penombra una cosa che probabilmente non si è capito una mazza di niente. Alla fine volevo solo dirti che sei OK, anche se come tutte le madri hai tentato di fare un po’ troppo la chioccia, anche se non sei proprio il tipo ma è così, ma lo stesso ti sono un po’ sfuggito, anche se poi vengo sempre a chiederti consigli. Insomma dai alla fine ci troviamo bene no? Va beh occhei finisco insolitamente in modo smielato dicendoti che ti voglio bene, non te lo dico mai e non farci l’abitudine perché non te lo dico più, non ci siamo abituati, ma però ma si ogni tanto va bene anche dirselo no? Ok ciao.