(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

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Le cose che porta il cielo

Questo è un libro che mi è stato regalato da mio cugino Andrea, un bel po’ di tempo fa. Io sono sempre in arretrato coi libri, ma prima o poi li leggo ,tranquilli.
E’ stato scritto da un ragazzo africano che vive in USA, Dinaw Mengestu,  e parla di un immigrato africano che vive in USA. E’ un libro abbastanza triste e malinconico. Il tizio in questione se la passava abbastanza bene in africa, prima che un qualche rivoluzionario un po’ assassino e un po’ dittatoriale uccidesse suo padre. E così viene spedito in America, da uno zio, per "fare fortuna", o comunque per vivere meglio. I primi tempi li passa a far niente e vivere di speranze, poi si decide ad aprire un negozio di alimentari. Ma anche quella sarà una vita fatta di sogni, pochi soldi, e speranze che si riducono sempre più col passare delgi anni. Un barlume di vita viene da una donna che viene ad abitare vicino a casa sua. Bianca e ricca. Ma non funzionerà….

è1vita k t aspetto

Ancora un libro di Fabio Volo. E anche stavolta ho sottolineato alcuni passi che mi sono piaciuti. Eccoli (in corsivo i miei commenti):

Pare che i notai guadagnino molto perché hanno dovuto studiare parecchio. Sembra che quel parecchio sia a spese nostre. Forse pensano che, quando loro stavano studiando, noi eravamo in giro a non fare un cazzo.
(E’ una cosa pensata da molti. Magari a pensar male ci s’indovina…)

Lo aveva già fatto altre volte. Mi mandava dei messaggi carini e pieni d’affetto, ma di persona non riusciva a dirmi quelle cose. Io mi commuovevo. Io lo amavo. Quando una donna ti dice "ti voglio bene" o fa un gesto pieno di tenerezza è una figata, ma quando a fartelo è un tuo amico ti squagli di più. Quelle tenerezze tra amici, lontane da stupide battute sull’omosessualità, sono dirompenti. Intendo dire quando l’amico che te lo dice è in grado di intendere e di volere. Quando è lucido. Non parlo di quando è ubriaco e tra una vomitata e un passo storto comincia a dirti che ti vuole bene: "Ti voio begne, tu scei il mio miore amico… bluaaaaaaahhhhh!". Quelle volte non conta.
(A me è capitato e, credetemi, è così: dirompente. E mi è capitato anche l’amico ubriaco che sbiascica…)

Quelli con cui […] avevo giocato a rialzo, nascondino, strega comanda color, le belle statuine, mosca cieca, i quattro cantoni, bandierina, un due tre stella. Quelli con cui avevo imparato la filastrocca per fare la conta: "Pum pimpiripette nusa pimpiripette pam".
(Siiiii, i giochi da bambinooooooo)

Forse la libertà poi non è nemmeno poter fare ciò che si vuole senza limiti, ma piuttosto saperseli dare. Non essere schiavi delle passioni, dei desideri. Essere padroni di se stessi.
(Fosse facile)

Dovevo sempre essere in movimento, sempre impegnato, sempre pieno di cose. Era una vita che scappavo, che correvo, che fuggivo dalle mie paure, da una continua malinconia, da una specie di depressione. Dal silenzio. Dalla solitudine. Avevo sempre bisogno di fare qualcosa. Avevo sempre bisogno di essere coinvolto in un progetto, occupato, impegnato, per stare lontano da me.
(Anche a me è capitato di vivere quei momenti, in cui per sentirti perfettamente vivo, devi essere sempre in movimento. A parte che è una cosa che ho dentro: io devo esser sempre in movimento, altrimenti… mi annoio…)

In quei momenti di solitudine avrei risposto anche a quelli che mi avessero chiamato con "anonimo" o "numero privato". Quelli che di solito fissi il telefono perché sei curioso di sapere chi è, ma hai anche paura che sia un rompiballe e non sai che fare.
Una trappola mostruosa. Una volta non sapevi mai chi ti stava chiamando se non rispondevi. Adesso invece, abituato a vederlo prima, gli anonimi ti spiazzano. A parte quando ti chiama qualcuno e tu non rispondi perché non ti va di sentirlo; ma lui, dopo un secondo, richiama con anonimo… allora lo sai che non mi va di sentirti.
(Mitico… pura verità)

Crescendo, invece, mi sono convinto sempre di più, e non so su quali basi, che nella vita ci sia un solo vero grande amore. Che esista un principe azzurro per le donne e una principessa per gli uomini. L’anima gemella. E che gli altri alla fine siano soltanto comparse. Ero tutto contento all’dea che per una donna al mondo io ero il principe azzurro. Magari un coglione per il resto dell’universo femminile, magari insignificante, brutto, poco affascinante, magari con me Cenerentola sarebbe andata a casa alle dieci, dieci e un quarto al massimo, Biancaneve dopo il mio bacio avrebbe fatto finta di morire di nuovo, ma per una… fatevi largo, io ero il principe azzurro. Il più bello, il più affascinante, il più interessante. Non è meraviglioso sapere che per una persona al mondo tu sei "il più"? Non è incredibile tutto questo? Non dà un senso di responsabilità? A me questa cosa è sempre piaciuta. Anche se, in calzamaglia azzurra, non sto da dio.
(E’ una cosa talmente importante, coinvolgente, entusiasmante che… ti lascia senza fiato. E ti carica di responsabilità, ma contemporaneamente è così fantasticamente bella….)

In realtà, c’è stato un periodo intorno ai vent’anni in cui, anche se non riuscivo a cambiare nemmeno una felpa o un paio di scarpe, avrei voluto cambiare il mondo. Ero posseduto da un senso di giustizia che mi devastava l’anima. Sentivo che volevo essere diverso da quelli lì. Quelli lì che non saprei nemmeno spiegarvi chi fossero. Sentivo che non volevo scendere a patti con il mondo. Con la sua imperfezione. Come se io non ne facessi parte.
Avevo preso una frase del Cyrano come punto di riferimento: "No al patteggiamento, libero nel pensiero e nel comportamento".
(Io a vent’anni ero così. E forse lo sono ancora)

Una sera era venuto con noi il mio amico Sergio a un concerto in un centro sociale. Lui vestiva sempre, e lo fa tuttora, in giacca e cravatta. E anche quella sera si era presentato così. è stato lì che ho scoperto che non era vero che a quelli del centro sociale e a Flavia non interessasse il modo in cui una persona si veste. Lo hanno guardato come i fighetti in un locale esclusivo guardano quelli che non fanno entrare. Quelli che restano fuori. Quindi tutto ciò che loro criticavano, in realtà lo facevano a loro volta. la differenza era solo una questione di gusto. Non era vero che ci fosse tutta quella libertà. Anzi, c’erano dei codici diversi, ma altrettanto rigidi come nei posti trendy. E chi non rispondeva a quei codici era tagliato fuori.
(Capitava, uguale uguale, ai tempi in qui frequentavo il Rolling Stone. Mi ricordo una tipa, quando è entrato un tizio un pochino fighetto, lei fa: "Noooooo, è entrato in camiciaaaaa")

Non avendo lui fatto l’università, probabilmente ci teneva molto che la facessi io. La mia laurea era un traguardo più suo che mio. Era elencata nelle sue soddisfazioni. Un figlio laureato era nella sua lista. A volte sembra che la vita di certi figli sia un prolungamento di quella dei genitori. Il figlio perfetto ha queste scadenze: maturità, laurea, lavoro, matrimonio, figli.
(Storia di molti…)

Ho sempre pensato che certi sentimenti, certe parole, certi gesti, andassero conservati per una sola persona.
[…] Il mio sentimento è un campo innevato mai calpestato prima. L’ho protetto per anni.
[…] Con te ho capito che, quel campo, lo voglio attraversare. Se tu lo vorrai. ti prenderò per mano e ti porterò dall’altra parte.
(Dedicata alla mia morosa) (Non vi piace la parola "morosa"? Beh usate quella che preferite: tipa, fidanzata, ragazza, ecc.)

Poe

Io avevo ormai da tempo cessato sia di lottare che di muovermi, ed ero rimasto a sedere immobile sul divano, preda smarrita di un turbine di emozioni violente, tra le quali la meno terribile, la meno divorante era forse un supremo arcano terrore.

(E. A. Poe, "Ligeia")

Un brivido di ghiaccio mi corse per le ossa; mi sentii oppresso da una sensazione d’insopportabile angoscia; una curiosita’ divorante mi pervase l’anima, e ricadendo all’indietro sulla sedia rimasi per qualche tempo immobile e senza fiato, gli occhi fissi sulla sua persona.

(E. A. Poe, "Berenice")


"Vita e Morte", Gustav Klimt, 1908, Leopold Museum, Vienna

101 cose prima di morire

Mi è stato regalato questo interessante libro, in inglese, che spiega le 101 cose da fare prima di morire. Ve ne elenco alcune assolutamente a caso:

  • "Write a Best-seller". Scrivi un best-seller
  • "Meet someone with your own name". Incontra qualcuno col tuo stesso nome.
  • "Go up in a hot air balloon". Vai in mongolfiera.
  • "Meet you idol". Incontra il tuo idolo, il tuo mito.
  • "See the aurora borealis". Vedi un’aurora boreale.
  • "Get a free upgrade on a plane". Ottieni gratuitamente un avanzamento di classe durante un viagio in aereo.
  • "Throw a dart into a map and travel to where it lands". Lancia una freccetta su una mappa e vai nel posto in cui cade.
  • "Milk a cow". Mungi una mucca.
  • "Make the front page of a national newspaper". Finisci sulla prima pagina di un quotidiano nazionale.
  • "Save someone’s life". Salva una vita.
  • "Drink a vintage wine". Bevi un vino d’annata.
  • "Be an extra in a film". Fai la comparsa in un film

Io di queste non ne ho fatta propriamente neanche una, ma ad almeno 3 o 4 ci sono andato molto vicino. In ogni caso è segno che ho ancora tanta tanta tanta vita davanti per poterle fare tutte e 101 !!!!

Ma voi vi rendete conto che talento che era Bernini? Questa qui a fianco è una delle sue innumerevoli grandi opere, il Ratto di Prosperina, che si trova a Roma alla Galleria Borghese. Immagino che non ve ne freghi nulla o quasi, ma volevo solo farvi riflettere sulla qualità (e oltretutto sulla quantità, Roma ne è disseminata) delle opere del Bernini, per gli amici Gianly. Poi, per gente come me che non riesce neanche a immaginarsi di tirare una riga dritta, è ancora più spaventosamente fantastico scoprire che tali opere sono uscite da una mano umana. Strabiliante. Ma li vedete che paiono vivi? Anzi, più che vivi, esteticamente perfetti. Ok, la smetto, scusate, ma tanto anche l’argomento del post di oggi è abbastanza noioso….

Il Circolo Dante

Ho appena finito di leggere questo romanzo: Il Circolo Dante, di Matthew Pearl. Questo ragazzo americano è un appassionato di Dante Alighieri e ha preso spunto dall’idea di Henry Wadsworth Longfellow, famoso poeta statunitense, che sul finire del 1800 creò il cosiddetto "Circolo Dante", per tradurre e promuovere la Divina Commedia in America.
La storia è vera, il romanzo, ovviamente, no. L’autore immagina una serie di efferati omicidi che si susseguono a Boston in quegli anni, che hanno una particolarità: sono ispirati ad una qualche punizione descritta dal poeta fiorentino ne "L’inferno".
I componenti del Circolo se ne accorgono e cercano di venire a capo del mistero.

Giudizio sul libro: carino; mischia un po’ di storia, di letteratura, di trhiller, di giallo, ecc.

La mucca viola

Qual è il concetto spiegato da Seth Godin, l’autore di questo libro di marketing? Semplice: quando un cittadino va in campagna e vede una mucca, rimane ammirato ad osservarla. Ma dopo una settimana le mucche non attirano più la sua attenzione. E se vedesse una mucca viola?

Ecco quello che dice: in questo mondo pieno di bombardamenti mediatici, la pubblicità banale non funziona più. E il vecchio sistema, dove i produttori sfornavano un prodotto e poi delegavano al marketing il compito di venderlo, è superato. Ora gli esperti di marketing devono contribuire a progettare il prodotto, in modo che esso stesso sia veicolo promozionale.

In una parola, occorre essere straordinari. Fare successo con l’ordinarietà è sempre più difficile.

I cinesi non muoiono mai

Quando ho sentito parlare di questo libro, e soprattutto quando ho sentito chi era uno degli autori, quel Riccardo Staglianò di cui avevo già letto “L’impero dei Falsi”, non ho esitato a comprarlo. Il libro è molto leggibile, come al solito, è interessante e fa capire molte cose. Sfata tanti luoghi comuni sulla comunità cinese in Italia, spiega il motivo e la natura di certi comportamenti che a noi paiono strani e fa capire tante cose. Svela ciò che accomuna e ciò che differenzia i cinesi dagli italiani e i cinesi stessi al loro interno. Perché noi siamo abituati a pensare i cinesi come un unico popolo, ma se pensiamo alle differenze che talvolta ci sono tra gli italiani, pensate a quelle che ci possono essere in un popolo composto da più di un miliardo di persone: non parlano neppure la stessa lingua!
Se volete capirne di più sui Cinesi in Italia, leggetelo, ve lo consiglio caldamente. Dove lavorano, come lavorano, la religione, il gioco d’azzardo, la cultura, i sogni, le prospettive, le seconde generazioni… tutto è svelato in questo libro. E finalmente anche voi potrete scoprire il perché… i cinesi non muoiono mai.
 

La Casta

Anche io sono uno di quelli che hanno letto "La Casta", il celeberrimo libro di Rizzo e Stella. A dire la verità ho letto la versione aggiornata, quella con il sottotitolo "e continuano a esserlo".

Beh per prima cosa c’è da dire che è un libro che ti fa... diciamo… incazzare come una biscia incazzosa. Per fortuna siamo italiani, e siamo più o meno abituati, altrimenti dopo un libro così ci sarebbe stata la rivoluzione, stile Ceausescu in Romania. Ogni singola riga di quel libro parla di sprechi, di furti legalizzati e cose simili. Come li definireste gli stipendi dei politici, ad esempio quello del presidente della provincia di Bolzano che è più alto di quello del governatore del Texas? E tutte le furberie, le mangerie. Legali, per la carità, ma che problema c’è: le leggi le fanno loro! Mica rubano, che bisogno c’è, basta fare una leggina che concede, che so, una pensione, un aumento di stipendio, un’agevolazione, ecc. E il gioco è fatto.

Non leggete assolutamente questo libro, fate come gli struzzi e tenete la testa sotto la sabbia, altrimenti ci sarà la revolución!

Porno

Dopo Ecstasy, Trainspotting, Il Lercio e Tolleranza Zero ho letto anche questo libro di Irvine Welsh, “Porno”. E’ il seguito di Trainspotting, che terminava con Renton che fregava i suoi amici e scappava col malloppo. Ora Renton vive ad Amsterdam, dove ha aperto un club, Sick Boy aka Simon David Williamson apre un pub a Edimburgo, Spud è il solito strafatto e Begbie è addirittura peggiorato, diventando sempre più un delinquente. La storia è una delle solite di Welsh, che parla di degrado, di malaffare, di gente guasta che vive senza pensare al domani, personaggi cinici e bastardi che pensano solo a sé stessi e all’oggi. L’unico che un po’ si salva è sempre Renton, che infatti si mette (quasi) sulla buona strada con la sua fiamma di una volta, Dianne.
Quello che rende sempre grandi i libri di Welsh è il suo stile: crudo e schietto, come fossero i suoi personaggi stessi a parlare. E siccome è tutta gente dei bassifondi non parlano certo forbiti come ad Oxford. Stavolta una novità: ogni capitoletto è proprio narrato da un personaggio ogni volta diverso, e quindi ha uno stile diverso. Quando racconta Spud è tutto appiccicoso e impastato. Quando parla Begbie è incazzoso e prepotente, ecc. Grandioso. Se vi piace il genere (non credo, è roba x pochi) leggetelo!

 

Un giorno in più – seconda parte

Seconda parte delle frasi che ho sottolineato. Queste di oggi sono tutte dedicate alla persona che mi ha regalato il libro.

"Mi capitava spesso durante il giorno di fantasticare su di lei, ma soprattutto su di noi. È bello avere una persona sulla quale fare delle fantasie durante il giorno. […] Non so perchè, ma quando pensavo a lei i miei pensieri non avevano mai il punto. Solo virgole. Erano una valanga di parole e immagini senza punteggiatura."


Francesco Hayez – Il bacio
Pinacoteca di Brera, Milano

"Come quando mandi un sms a una persona che ti piace e non ti risponde subito. Dopo averlo inviato, vai a rileggerlo ogni tre secondi e guardi anche l’ora dell’invio. Conti i minuti, i secondi. Poi guardi gli ultimi che ti ha mandato lei. Perchè tutti, anche quelli del giorno prima, li hai in memoria. E sono lì, in fila, uno vicino all’altro, perchè tutti gli altri, quelli che non sono i suoi, li hai cancellati. E’ brutto quando l’ultimo messaggio inviato è il uto e devi solo aspettare. Quando hai paura di essere invadente. Quando, come in una partita a scacchi, pensi di aver sbagliato mossa e in un secondo ti senti uno sfigato. Immagini lei che dice alle sue amiche: Questo mi sta martellando di messaggi. E quando sei in quella situazione non c’è niente da fare, ti senti in un angolo. L’unica soluzione è non scrivere più. Poi magari lei ti risponde e ti accorgi che ti eri fatto tutto un viaggio negativo che invece non esisteva."

 "Ero felice e la mia testa era leggera. Quella mattina, le persone che mi incrociavano sui marciapedi di Manhattan potevano vedere un sorriso con le gambe"

"Dopo qualche minuto è arrivata lei, sorridente. Quando l’ho vista mi sono trasformato in mille emozioni. Ero agitato, felice, imbarazzato, fiero, contento"

"Te l’ho detto, non mi sono mai comportato così per una donna, ma quel che mi stupisce è che mi sembra la cosa più naturale del mondo. Non penso di avere mai fatto una cosa strana. Venire fin qui senza sapere nemmeno se ti avrei incontrata e se ti avrebbe fatto piacere stranamente non mi dà una sensazione di assurdità"

"Il problema non è quanto aspetti, ma chi aspetti"

"Avrei voluto essere quell’abbraccio in cui desiderava perdersi, come mi aveva confidato. Protetta e libera di lasciarsi andare, perchè tanto c’ero io a prendermi cura di lei, a difenderla dal freddo e dal male. Avrei voluto essere più… più tutto. Avrei voluto prenderla per mano quando attraversava la strada come solo un uomo sa fare, aspettarla ogni giorno fuori dal suo ufficio per vederla venire verso di me sorridendo. Avrei voluto saperle comprare un bel vestito che le piacesse. Essere una cosa bella per lei, un bel pensiero, una buona parola, un buon attimo di silenzio. Avrei voluto che mi chiamasse per nome quando parlava con le sue amiche e che il mio nome tra le sue labbra suonasse come una parola calda"

"E’ tanto che aspetti? Più o meno trantacinque anni"

Il giorno in più – prima parte

Tra le mie tante letture che inizio e mai finisco… ho finito di leggere "Un giorno in più" di Fabio Volo. Cavoli il mio omonimo a volte sembra che mi legga nel pensiero, scrive cose che avrei potuto scrivere io, se solo ne avessi le capacità. Altre volte scrive cose che semplicemente mi piacciono molto. Leggendo questo libro ho sottolineato diverse parti che ora vi vado a sottoporre (tra parentesi i miei commenti)

"Sembra quel tipo di donna che magari va al mercato a comprare cose che costano poco e, grazie alla sua fantasia e alla capacità di abbinare le cose, si veste in modo originale. Quelle donne non hanno bisogno di spendere tanto per vestirsi bene, è un loro talento, comprano quattro stracci, li mettono insieme e diventano femminili e sexy. Sono quelle donne che profumano di mela."

"In ogni città dove sono stato a vivere per un po’ c’è sempre un luogo che diventa <<il mio posto>>. Quello dove vado a pensare, quello che mi regala una sensazione familiare di intimità." (a me succede sempre)

"Quando ho scoperto il suo tradimento, come da piccolo sono nuovamente fuggito dal mondo, e il luogo dove mi sono rifugiato è stata la scrittura. Volevo inventare, immaginare un mondo diverso, dove il protagonista faceva del bene."

"Mia nonna un giorno mi aveva detto: La vecchiaia è un posto dove vivi di ricordi. Per questo, quando sei giovane, vivi creandotene di belli. Ogni volta che ho fatto qualcosa di bello, oppure una stronzata, dopo quella frase di mia nonna mi sono sempre detto: Vabbè… lo racconterò ai miei nipotini."

"Sinceramente non sapevo se fidarmi, ma la ragazza dell’ufficio era molto gentile, e la gentilezza in me crea fiducia. Le ho creduto" (anche io generalmente mi fido istintivamente del prossimo… salvo poi prendermi delle fregature…!!!)

"Sul taxi per andare a Manhattan, ho attaccato bottone subito con il tassista. Lo faccio sempre, anche per capire a che punto è il mio inglese dopo tanto tempo che non lo parlo. Capivo bene. Guardare i film e le serie televisive in lingua originale è un buon allenamento. E poi ho imparato che quando non riesco a dire qualcosa usa la parola get e quasi sempre funziona. Get è l’equivalente di puffare per i puffi. Funziona sempre."

"Quando mangio prosciutto e melone mi chiedo sempre chi ha inventato l’associazione. Io lo mangio perchè l’ho visto fare e mi è piaciuto, ma non so se avendo nel frigorifero il prosciutto e il melone ci sarei arrivato da solo a metterli insieme. Mah!" (vero!)

 "Le mi diceva sempre: Guarda che quando è finito non ce n’è più. Concetto abbastanza semplice da capire, ma lei intendeva che non me ne avrebbe fatto un altro almeno fino al giorno dopo. Spesso lo finivo lo stesso. Era più forte di me. Sarei dovuto andare in uno di quei centri per alcolisti anonimi a raccontare la mia storia di dipendenza dal tè freddo. Ciao a tutti, mi chiamo Giacomo, ho otto anni e ho iniziato a bere così per gioco. poi un giorno mi sono accorto che non potevo più andare avanti senza la mia bottiglia di tè al limone. ma grazie anche a voi ho deciso di smettere"

"Ricordo quando passeggiavo a Londra per Leicester Square e incontravo gli italiani in vacanza con lo zainetto: li guardavo come se io fossi un londinese. Li evitavo ma, al tempo stesso, avevo anche il desiderio di andare da loro per dirgli dove si mangia bene, dove ci si diverte e cose di questo genere. Insomma, fare quello che conosce il posto." (siii, io lo facevo sempre!)

"Sono arrivato a Londra a mezzogiorno e alle quattreo del pomeriggio avevo già trovato un lavoro: lavapiatti in un ristorante vicino a Liverpool Street Station" (col cavolo che è così facile.. però dai, anche io lavapiatti a Liverpool Street Station… ma l’ho proprio scritto io!)

Manuale di scrittura creativa

Finalmente ho finito di leggere anche questo libro, di Roberto Cotroneo, che mi è stato regalato quasi un anno fa dai miei amici per "aiutarmi" nella scrittura del blog. Purtroppo però il libro parla essenzialmente di come si scrive un romanzo, cosa che io non intendo fare. Infatti parla della struttura del racconto l’incipit, come si scrivono i dialoghi, la scelta dello stile, ecc. Adirittura siega come contattare una casa editrice. E’ scritto in modo semplice, chiaro ed avvincente.

Detto questo volevo comunque riportare una frase che c’è scritta all’inizio del libro che mi è piaciuta:

"Il principio basilare di qualsiasi scrittura: si scrive per gli altri, mai solo per se stessi. La scrittura è una forma di comunicazione, non una forma di solitudine: si scrive per raccontare qualcosa a qualcuno"

Shock Economy

Altro libro che ho letto: Shock Economy di Naomi Klein. Di questa autrice canadese avevo già letto a suo tempo il celeberrimo No Logo che avevo trovato interessantissimo (l’ho citato anche nella mia tesi) (e chi se ne frega, direte voi)

Anche questo nuovo libro è un mattonazzo da paura, nel senso che se vi spaventano i libri di più di 500 pagine scritte piccolo… lasciate stare. Però è proprio interessante.

Parte da una teoria: per costringere una persona in uno stato psicologico in cui si possa condizionare e fargli fare quello che si vuole ci vuole uno shock. Nei primi capitoli infatti parla del famoso elettroshock, quella pratica usata decenni fa per questo scopo che voleva "spianare" la coscienza di una persona per poi educarla con nuove dottrine. Dopo spiega che questa terapia dello shock viene utilizzata anche in politica e in economia: si crea o si sfrutta un avvenimento sconvolgente per far fare ad un intero popolo quello che si vuole: ribaltoni, colpi di stato, stravolgimenti vari… Nei capitoli successivi invece fa una carrellata di posti dove questa shockterapia è stata utilizzata: Cile, Polonia, Sudafrica, Russia, ecc. Infine parla del nuovo filone dello shock alle nazioni: Iraq, Afganistan, ecc.

Sono capitoli molto documentati come sempre e pieni zeppi di riferimenti, citazioni, dati. E’ quasi difficile credere che tutto questo sia vero e si sia potuto realizzare. E’ un libro che indubbiamente fa pensare e che apre gli occhi su molti aspetti della realtà internazionale. Se riuscite a leggerlo (nel senso che non vi spaventano i mattoni) fatelo: è proprio bello.

Il salumiere che fotografava l'impossibile

Ho diversi libri su Magritte, geniale artista del secolo scorso. In nessuno avevo mai trovato una spiegazione così lucida e calzante dell’opera di questo fenomenale pittore, come quella del saggio di Robert Hughes. Eccola:

Magritte è morto nel 1967 all’età di sessantotto anni, ma la sua opera continua a esercitare sugli spettatori di oggi [..] il fascino del narratore di storie. L’arte moderna era ben fornita di creatori di miti, […] ma possedeva pochi maestri con l’impulso della narrazione e Magritte […] era il suo principale affabulatore. Le raffigurazioni di Magritte erano prima di tutto storie, poi dipinti veri e propri. Ma le storie non erano narrazioni alla maniera vittoriana, tranche de vie o episodi storici: erano istantanee che fotografavano l’impossibile, e lo rappresentavano nel modo più noioso e prosaico; vignette sul linguaggio e la realtà, imprigionati nel reciproco annullamento. La maestria di Magritte come pittore dell’enigma non aveva eguali e, nonostante la grande influenza che esercitò sul modo di creare immagini (e su come lo spettatore debba decodificarle), non ebbe dei seguaci nel senso proprio del termine.
Il vero omaggio alla sua vita e alla sua arte è stata la reazione che ha suscitato a posteriori. All’interno di un movimento, il surrealismo, che aveva posto l’accento su  exploit eclatanti, tumulti politici, scandali sessuali e violente crisi in parte religiose, Magritte […] sembrava la personificazione dell’indifferenza e dell’imperturbabilità. Visse a Bruxelles, non a Parigi, e restò sposato per tutta la vita alla stessa donna, Georgette Berger. In base alla concezione di bohème ed élite predicata dal surrealismo, Magritte avrebbe potuto benissimo fare il salumiere.
La svolta di Magritte avvenne nel 1927, quando trasferendosi a Parigi si trovò a vivere il movimento surrealista dall’interno […] Con la sua tecnica essenziale, lucida, Magritte dipinse gli oggetti in modo così banale quasi fossero usciti da un abbecedario: una mela, un pettine, una bombetta, una nuvola, una gabbia, una strada di provincia con casette squadrate, un uomo d’affari con il soprabito scuro, un nudo impassibile. Nel suo repertorio non vi erano molte cose, prese singolarmente, che a un qualunque impiegato belga non capitasse di vedere nel corso di una giornata qualunque nel 1935. Ma il modo in cui Magritte le combinava tra loro era assolutamente nuovo. La sua poesia era impensabile senza la banalità che egli rielaborava e trasformava, fino a sovvertire la normale nomenclatura delle cose. Il bicchiere in La Corde Sensible è un normale bicchiere, la nuvola è una normale nuvola; ma la cosa che sorprende è il loro incontro, in quella limpidezza azzurra, resa con tanta pazienza. Le più belle rappresentazioni di Magritte sembrano legate piuttosto alla descrizione che non alla fantasia, grazie alla quotidianità degli elementi da cui sono composte. […]
Magritte creò alcune tra le immagini più scioccanti di alienazione e paura all’interno di tutta l’arte moderna. Non esiste un simbolo più raccapricciante della frustrazione del congiungimento carnale di Les Amants […]
Se l’arte di Magritte si fosse limitata a scioccare non avrebbe avuto vita lunga, come è avvenuto nel caso di tante altre meteore del surrealismo. Ma il suo impegno andava più in profondità, all’interno dello stesso linguaggio, del modo in cui il significato viene comunicato o annullato dai simboli. Il suo manifesto era il celebre dipinto di una pipa, con la scritta “Ceci n’est pas une pipe”. Ed è proprio così: è un quadro, un’opera d’arte, un segno che indica un oggetto, e non l’oggetto stesso. Nessun pittore aveva mai formulato con tanta chiarezza questa verità fondamentale sull’arte e sull’attività dell’artista. […]

Francesco d'Assisi

Ho recentemente terminato di leggere un libro: “Francesco d’Assisi” di Franco Cardini. L’avevo comprato una notte su internet, anni fa. Non deve stupirvi che io faccia acquisti la notte: maledetta la carta di credito che permette questi acquisti d’istinto e d’impulso. Sei li, stanco e magari assonnato, davanti al pc… e ti viene l’idea che ti serva qualcosa. E allora che fai? Zak, la compri. Non esistono scuse psicologiche del tipo “esco e la cerco in qualche negozio” perché è notte e i negozi sono chiusi. E così acquisti. Credo che almeno la metà delle mie spese on-line siano state fatte di notte.
E così ho fatto per questo libro. La figura del Poverello di Assisi mi affascina da tempo, per via della sua totale dedizione e il rifiuto della più piccola polemica. Accettava quello che il mondo, e quindi Dio, gli offriva, senza lamentarsi e lagnarsi di quello che non aveva o di quello che avrebbe potuto avere. Un forza incredibile.
Il libro cerca di smarcarsi al massimo dall’agiografia, ma neanche si limita al racconto puramente storico. È quindi una commistione, un tentativo (abbastanza ben riuscito a mio parere) di raccontare la storia di San Francesco rovistando nel frattempo nel suoi scritti e approfondendo i suoi pensieri. Spiega la sua vita precedente, la sua illuminazione, la sua scelta di vita, e i circa vent’anni in cui ha creato l’ordine che poi ha preso il suo nome.

 

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