Siro ci racconta di quando andava a Valformosa, paese della Valle Staffora nel comune di Brallo
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C’era una volta una piazza pieni di pini. La piazza del Passo del Brallo.
Poi sono spariti alcuni pini, poi altri, poi altri. Adesso sono spariti tutti.
Non so dirvi se erano pericolosi, non ne capisco niente di queste cose e onestamente non è questo il punto; se erano pericolosi è giusto che siano stati abbattuti, però paesaggisticamente stavano bene, IMHO.
Pazienza, mettiamoli di plastica.
Vi state già chiedendo dove ho scattato questa foto. Il luogo, se non lo conoscete, è a meno di 2 ore di passeggiata dal passo del Brallo. E sto parlando di una cosa tranquilla.
Si parte dalla piazza in direzione Via della Faggeta. Non sapete qual è? Ma dai, a Brallo è facile: via del Castagneto è per andare al castagneto, via della Pineta è dove c’è la pineta, via della Fontana… dove trovate la fontana e così via. E quindi? Dov’è la faggeta? Esatto, sulla strada che conduce a Dezza. Andate su di li, lasciatevi il paese alle spalle e raggiungete il campo da calcio del Pian del Lago. Siete già stanchi? Suvvia. Dopo qualche centinaio di metri, sulla destra troverete una stradina sterrata (finora era tutto asfalto) che vi conduce alla cosiddetta "Panoramica", che passa sopra Feligara e scende a Colleri. Imboccate quella, ma dopo poche decine di metri troverete un bivio sulla sinistra che invece porta alla "Fontana dei Ramà".
Probabilmente fin qui ci siete già stati. Fate una bella sosta alla fontana, riempite le borracce, sedetevi sulla panchina e poi ripartite.
A questo punto state passeggiando nel bosco, belli al fresco. Sulla vostra sinistra, da qualche parte, prosegue la strada per Dezza. Proseguite per questo largo sentiero che vi porta presto alla valle dietro alla valle dell’Avagnone (dietro a Feligara, dietro a Colleri, per intenderci). Che valle è? Beh, prende ovviamente il nome dal torrente che ci scorre, il Carlone.
Il sentiero si apre un po’ sulla destra e potete ammirare il panorama. Il Carlone poi scende scende scende e infine si butterà nella Trebbia nei pressi di Bobbio, ma a voi questo non interessa, continuate il percorso. Dopo un po’, sotto di voi, scorgerete delle case: è l’abitato di Mogliazze, dove è presente una cooperativa.
Quando arriverete nei pressi dei prati vedrete che c’è un cancello legato con una catena che ostruisce il passaggio. Non abbiatene paura, il sentiero continua proprio lì ! Se non ne siete convinti osservate i segni dei percorsi CAI sugli alberi appena dopo la catena. Quindi che fare? Semplice: staccate il moschettone, passate e lo riattaccate. Probabilmente il cancelletto serve a non far uscire le bestie (mi è sembrato di sentire delle pecore, o capre, da qualche parte). La stessa cosa dovete fare una volta terminato il paese (paese è una parola grossa, sono quattro case, e non me ne vogliano). Da qui si scende a San Cristoforo. la strada più breve, e praticamente l’unica è quella asfaltata, anche perchè si scende parecchio come altitudine. Arrivati a San Cristoforo si può visitare la chiesa. Io non l’ho fatto e mi sono pentito, perchè volevo visitarla al ritorno, ma come vi spiegherò ho fatto un’altra strada. Dal secondo tornante del paese, si vede un sentierino, molto più stretto della strada sterrata di prima, che in un quarto d’ora vi porterà giù sul greto del Carlone. Qui, anche grazie ad una corda a cui aggrapparsi, potete scendere lungo questa suggestiva cascata e ammirarla dal basso.
Siccome la camminata è stata priva di imprevisti, di difficoltà quasi nulla, cosa vuoi che faccia, mi sono inventato una strada alternativa. Ma perchè accidenti mi vengono queste caspita di idee? Non lo so.
Fatto sta che ho pensato: ma se io devo andare verso sudovest, e invece in primo tratto della via del ritorno va a est, perchè non taglio verso questo simpatico sentierino che va nella mia direzione? E infatti per una buona mezz’ora ho seguito questo sentiero che costeggia il torrente verso monte. Vai e vai, cammina cammina e il sentiero si fa sempre meno pulito, sempre più impervio. Ma continuo imperterrito. Ad un certo punto praticamente finisce nel bosco. Che faccio, torno? Non sia mai, e allora ho proseguito "ad cazzum" nel bosco, cercando di capire la direzione giusta. I nostri boschi non sono più come una volta, quindi zero pulizia, pieni di rami, sterpaglie, rovi. E inoltre, stando nei dintorni del Carlone, ero sempre a una quota troppo bassa, visto che la strada dell’andata stava sulla costa ad una quota di circa 900m e io ero sempre a circa 600m. Alla fine mi sono deciso a fare una deviazione, praticamente in verticale, aprendo una nuova via, che d’ora in avanti gli alpinisti ricorderanno come "Via Tordi". Alla fine della fiera ci ho messo più o meno come se avessi fatto la via del ritorno, che naturalmente consiglio a tutti perchè perdersi nel bosco può essere divertente, a volte piacevole, ma sconsigliabile. Ritornato sulla strada maestra ho raggiunto ancora la faggeta, la fontana dei Ramà, il pian del Lago e poi giù fino a Brallo.
Siro ci parla di Someglio, un paesino del comune di Brallo
Livello di difficoltà (considerando turisti fai-da-te): 4,5 stelle
Panorama: 5 stelle
Tempo: oltre 5 ore
Dislivello: quasi mille metri (in ascesa, poi da Lesima a Brallo circa 700 in giù)
Livello di soddisfazione: parecchia
Si parte dal Passo del Brallo in auto e si imbocca la strada che porta verso sud in direzione fiume Trebbia. Dopo il paese di Rovaiolo si parcheggia sulla destra in prossimità del bivio verso Rovaiolo Vecchio (non ci sono indicazioni). Da questo punto si prosegue a piedi. La strada non è asfaltata, ma è larga e facilmente percorribile senza nessun tipo difficoltà. In un quarto d’ora di cammino, superato il ponticello sul torrente Avagnone si sale e si arriva al cosiddetto “paese fantasma”.
Da qui l’impresa si fa ardua: si imbocca il sentiero 125 che porta in su, sempre in su, inesorabilmente e ripidamente in su. Il tracciato è abbastanza stretto, ma praticamente tutto pulito e ben segnato, non ci si può sbagliare. Ci si muove quasi sempre nel bosco, a ridosso della cresta, dalla quale a volte si gode di stupendi panorami sulla val Trebbia.
C’è un singolare punto dove è stata istallata una corda per aiutare la salita. Saranno circa un paio di metri, ma non fatevi spaventare: io li ho superati senza corda e senza appoggiare le mani, quindi se ce l’ho fatta io che non sono certo uno stambecco…
Dopo 4 ore, di cui una mezz’ora di pausa, si raggiunge la strada asfaltata che dai Piani del Lesima va a Zerba. Da qui, se vi spostate per qualche metro, potete ammirare lo spaventoso “Canalone dell’Inferno”, che è a fianco a quello appena percorso.
Occorre percorrere la strada in direzione Piani del Lesima per qualche centinaio di metri, dopodichè sulla sinistra si notano le indicazioni per la vetta del monte. Da questa parti c’è anche la fontana della Gambetta, ma non è per nulla segnalata bene e si fa fatica a trovarla. Io sapevo che c’era e c’ero già stato, quindi mi sono sbattuto e, girando, l’ho trovata.
La salita verso la vetta, fatta da me parecchie volte, in confronto a quella di sotto mi sembrava una barzelletta. In realtà, prima sale nel bosco e poi nei pascoli, abbastanza ripida e sassosa. Le ultime centinaia di metri prima della vetta sono parecchio rognose, in quanto le pietre fanno scivolare i piedi. Una volta arrivati in vetta… beh che ve lo dico a fare: una figata. Peccato per ‘sto cazzo di coso che hanno costruito a ridosso del cucuzzolo, ai tempi dei mondiali di Italia ’90.
A questo punto si scende lungo il crinale, in direzione opposta. Il sentiero ufficiale ad un certo punto costeggia la strada asfaltata da Cima Colletta al Passo del Giovà, e ne abbiamo approfittato per “tagliare”. Poi, invece di proseguire verso Cima Colletta, abbiamo preso il sentiero che taglia il versante per raggiungere direttamente Bocco. Il sentiero è stretto, poco pulito, e in pendenza (verso valle, quindi a destra). Onestamente mi è piaciuto molto di più quello che scende sempre a Bocco da Cima Colletta che ho fatto lo scorso anno. Attraversato Bocco, si percorre qualche decina di metri di asfalto e si scende verso il passo del Brallo (tagliando via quindi il paese di Bralello). Arrivati !
Questo è un libro del 1979, a cura del Centro Culturale "Nuova Presenza" di Varzi in collaborazione con la Comunità Montana dell'Oltrepo Pavese.
parla essenzialmente del territorio della Comunità, gli allora 19 comuni. La storia, la geografia, la demografia, l'agricoltura, ecc. Tutto quanto riguarda questo territorio.
A pagina 130 troviamo, nella sezione dedicata ai castelli, la descrizione di quello di Pregola:
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Il vecchio castello, di cui non esistono nemmeno più le tracce, è stato costruito certamente dai monaci di Bobbio, cui era stato donato il Paese di Pregola dal Re Agilulfo (re dei Longobardi, nota di Fabio) Per qualche secolo essi ne furono i feudatari fino a quando il 28 settembre 1164 Federico Barbarossa passò l'investitura di Pregola ai Malaspina. Il castello non è quello attuale, anzi non sorgeva nemmeno lì, ma sul cono roccioso che domina il paese. Queste vestigia che vengono chiamate castello sono invece i resti di una casa-forte costruita con i materiali ricavati dalle macerie del vecchio fortilizio dopo che andò completamente distrutto, insieme al paese, nel 1571 forse a causa di un incendio.
Dal vol.: Castelli, Rocche, Case-forti, Torri della Provincia di Pavia di Mario Merlo, riprendiamo la descrizione del castello passato da qualche anno in proprietà di Tordi Siro che è intenzionato a restaurarlo:
«Vi si accede da nord per portoncino con arco a tutto sesto e serramento borchiato a teste di chiodi, oppure da sud, all'altezza della chiesa parrocchiale. La facciata principale è a capanna e presenta cinque finestrelle intermediate longitudinalmente da una incrinatura della parete.
Esternamente si nota nell'angolo di nord-est un corpo aggettante rinforzato da un barbacane appena accennato. Sul fianco sinistro si notano, in corrispondenza ad un locale rustico, una finestra strombata a guisa di profonda feritoia e, più innanzi, un'apertura difesa da una robusta inferriata cinquecentesca. Il locale interno era adibito a prigione. Le pareti sono in pietra a vista, su orditura comune.
Entrando dal portoncino si è subito in un vasto atrio contrassegnato da tre archivolti, uno dei quali gravemente lesionato. Due diverse scale conducono al piano superiore, suddiviso in locali di diversa capienza, tutti in precario stato di manutenzione. Nella sala maggiore, con soffitto su travature lignee, si vede un ricco camino sormontato da un grande stemma dei Marchesi Malaspina di Pregola, inquartato di rosso e d'azzurro. Nel I e nel IV campo si vedono aquile bicipiti in rosso; nel II e III uno spino secco afferrato da un leone bianco rampante, coronato d'argento, entrambi in azzurro. Lo stemma gentilizio è sovrastato dalla corona marchionale a tre punte ed è avvolto da una ricca decorazione a stucco comprendente figure allegoriche ed ampie volute e caulicoli. L'opera è ascrivibile al sec. XVII. Il sottostante camino è in pietra color lavagna e presenta una leggera modanatura nell'architrave con radi dentelli, nonché due fascette laterali ed una specie di serraglia centrale.
In un'ampia cucina a pianterreno, sita nel corpo ad ovest come il salone precedente, esiste un secondo camino rustico a cappa, che ha la particolarità di possedere due fornelli laterali, oltre al focolare propriamente detto ».
This is the end, my only friend
I’ll never look into your eyes again
Il cavalier Siro ci parla di alcuni luoghi che ha visitato nella sua vita:
"Guarda che cielo che hai
guarda che sole che hai
guardati e guarda cos’hai
e…….. guarda dove vai!"
Certo che la faccenda di Casa Matti è quantomeno singolare. E’ un paesino dalle mie parti, nel comune di Romagnese. Quattro case, appena sotto il Passo del Penice. Una volta era in attività la pista da sci, che era in qualche modo collegata con quella dello "Scarpone": partivi dal passo e scendevi giù fino a Casa Matti. Ci sono stato qualche volta da ragazzino, prima che chiudesse. All’epoca sembrava di vivere in una zona molto sciistica, c’erano impianti dappertutto: a Brallo, a Cima Colletta, al Pian del Poggio, a Caldirola. Al Penice addirittura tre: il "Penice Vetta", lo "Scarpone" e "Casa Matti".
Cosa ha portato agli onori della cronaca questo dimenticato paesino dell’Alto Oltrepo? Beh, un albergo del luogo ha dato la disponibilità ad alloggiare dei cosiddetti "profughi". Mi scusino gli strenui sostenitori del politically correct per l’uso delle virgolette, ma non mi farete credere che una ventina di ragazzotti, in età da lavoro, siano dei poveri disgraziati. basta con ‘sta storia del "scappano dalla guerra" o anche del "anche i nostri nonni emigravano". I nostri nonni scappavano dalla guerra e dalla fame, ma non finivano certo in albergo spesati, si facevano un culo così, magari nelle miniere di quel Belgio di cui adesso siamo tutti amiconi, trattati come pezzenti. Giusto o sbagliato che fosse, se uno lascia la propria terra in cerca di una vita migliore, deve mettere in conto di fare dei sacrifici. Invece qui da noi non funziona così.
Come mai? Perché siamo un popolo che accoglie chiunque a braccia aperte? Guardate che qui non si parla di carità cristiana o di solidarietà. Qui si tratta di trattare in modo ben diverso chi è in difficoltà e che arriva da altri paesi e chi è in difficoltà in Italia. Ai secondi sembra che non importi nessuno aiutarli. Perché, ripeto? Beh intanto perché fa più notizia aiutare i "profughi", come se quelli che dormono sotto i portici di via Vittor Pisani a Milano non avessero diritto a una vita migliore solo perché non scappano da niente (che poi, ci sarebbe tutto da dimostrare, a pensar male spesso ci si indovina: visto che siamo tanto generosi cosa frena un immigrato dal dire che sta fuggendo da una qualche guerra?)
Il vero motivo è un altro. Quella roba che fa girare il mondo. No, non è quella cosa che pensate voi. Anche quella, per la carità, ma il vero motore delle decisioni a livello mondiale è uno solo: il business, il soldo, i piccioli, la pecunia, le palanche, il commercio, il denaro! Quindi un albergatore che magari non se la passa benissimo, quando viene a sapere che lo stato gli passa un po’ di soldini per mantenere questa gente, cosa fa? Due conti son presto fatti: hai l’albergo sempre pieno, ma se gli dai un piatto di pasta a mezzogiorno e una minestrina alla sera ci stai dentro alla grande. E volete farmi credere che qualcosa non avanzi ANCHE per chi ce li fa arrivare? Ma dai, mi prendete per pirla? Ripeto, aprite gli occhi, le cose succedono SOLO se girano dei soldi. Quindi che interesse avrebbe la politica di organizzare queste cose se non avesse un tornaconto personale?
E’ successo anche a Varzi. E a Voghera. E a Casa Matti hanno spedito 25 bellimbusti, in un paese che di abitanti ne avrà anche meno. A fare che? A fare un cazzo. Perché sono "profughi", mica li puoi far lavorare, la legge non lo consente. E poi cosa gli puoi far fare a Casa Matti? E poi la gente non dovrebbe incazzarsi? Gli anziani non dovrebbero infuriarsi a pensare che loro hanno lavorato una vita, che magari sono anche emigrati in cerca di fortuna per poi tornar da vecchi al loro paese e questi qui, scudati dallo status di profugo, sono accolti in albergo? Dai, è una disparità evidente. E i giovani, a cui si dice di doversi rimboccare le maniche perché c’è crisi? Che insegnamento gli stiamo dando? Come al solito l’Italia dei furbi: sei regolare, il mutuo te lo paghi tu e se non lo paghi ti pigliamo la casa, se sei clandestino ti mettiamo invece in albergo. E ai tantissimi stranieri regolari in Italia? Cosa dovrebbero dire tutti quegli operai, tutte quelle badanti, braccianti, imprenditori, tutti quelli che sono venuti in Italia a farsi il mazzo e contribuire così allo sviluppo del Belpaese? Penseranno: ma noi siamo gli scemi? Perché siamo venuti onestamente a lavorare quando potevamo venire qui a far nulla? Che colpa abbiamo, quella di non aver la guerra a casa nostra? Maddai, ma è ovvio che dietro c’è solo interesse economico, suvvia. C’è della gente che ci mangia sopra. Stop.
E quindi gli abitanti di Casa Matti sono preoccupati, si chiedono cosa possono fare tutti questi uomini, nullafacenti per legge, in un paese di montagna a mille metri? Anche a Brallo, tanti anni fa, c’è stata una situazione del genere. Berlusconi aveva pubblicamente "adottato" una famiglia clandestina, per farsi vedere in TV che lui ha il cuore buono. Poi non sapeva dove metterli e così li ha posizionati a Brallo tramite la regione Lombardia. Caspita se facevano una bella vita questi: ogni settimana veniva su qualcuno a portargli la spesona, andavano in giro a passeggiare ben vestiti (non POTEVANO lavorare, erano clandestini). E siccome avevano fin troppo in questa loro vacanza dorata, invitavano spesso i loro amici per trascorrere il weekend. Quando li vedevano passeggiare amabilmente per le vie del paese, i ragazzi di Brallo che magari si alzano al mattino presto per andare a lavorare a Tortona, cosa pensavano? Come minimo di strappare la carta d’identità e fingersi profugo. Anzi, "profugo".
Intervista di capodanno al cavalier Siro che racconta la sua esperienza con gli animali: mucche, pecore, capre, cavalli, cani e gatti.
Intervista natalizia per il cavalier Siro. Ci racconta di quando era bambino e di come si festeggiava il Natale.
Ricordo che potete trovare altri video sulla pagina www.sirodelbrallo.eu
Aria nuova a Pregola: da qualche settimana al Castello Malaspina potete trovare, ogni venerdì, uno spettacolo di cabaret, quello vero, quello "di una volta", quello fatto di persone, di canzoni, di risate, di improvvisazione, di allegria, di stare insieme.
Potete trovare il programma completo qui: www.poeticatartici.it
Il tutto è seguito da Flavio Oreglio: www.flaviooreglio.it
Questa è la pagina facebook: facebook.com/Il-circolo-dei-poeti-catartici
Potete leggere uno dei tanti articoli che la stampa a dedicato a questa rassegna cliccando qui
Una delle mitiche panchine di "sotto il municipio" di Brallo. Ora, come vedete, è in pensione.