(raccolta molto sparsa di pensieri)

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Magazzino popolare

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Ventesima puntata

Il magazzino popolare si differenzia dal grande magazzino per il posizionamento inferiore della gamma di prodotti offerta e perché il magazzino popolare in origine si concentrava su un segmento di clientela inferiore, più popolare appunto, mentre il grande magazzino si rivolgeva alla borghesia.

Il magazzino popolare si trova oggi in una posizione competitiva critica, subisce infatti la concorrenza degli ipermercati, dei superstore e dei discount, che propongono inoltre un’offerta integrata alimentari e non alimentari. In Italia, Upim, leader della formula, ha effettuato negli ultimi vent’anni alcuni tentativi di rilancio, che però, di fatto, non sono riusciti. In altri Paesi, alcuni magazzini popolari hanno tentato un percorso di rivitalizzazione mediante l’orientamento al discount. Altri Gruppi (Mark & Spencer, considerato il fondatore della formula) si sono internazionalizzati e hanno diversificato nel settore alimentare. La quota di mercato del grande magazzino e del magazzino popolare in Italia è la più bassa in Europa.


Interno di un magazzino UPIM


MATRICE SWOT
Utili Pericolosi
Interni Professionalità consolidata nel tempo. Bassa attenzione alla volubilità della moda. Scarsità di prodotti di marca
Esterni Rivalutazione dei centri storici.
Possibili abbinamenti con settori alimentari
Concorrenza dei punti vendita di prodotti non griffati, spesso più agevoli da raggiungere

Grande magazzino

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Diciannovesima puntata

Il grande magazzino è un formato di punto vendita che si caratterizza per:

  • la copertura delle diverse categorie non food (abbigliamento, profumeria, tessile casa, intimo, casalinghi);
  • la localizzazione in centro città, con sviluppo su più piani, un orario continuato e un servizio di assistenza personale fornito da parecchi addetti;
  • una superficie compresa tra i 300 e i 5000 metri quadri;
  • una forte presenza della marca commerciale;

Magazzini La Rinascente di Milano

Il declino che si è registrato ultimamente della formula del grande magazzino è attribuibile a due principali circostanze: il mantenimento di un’offerta basata sul modello programmato in un mercato che si stava progressivamente orientando verso il fast fashion (gli acquirenti seguono le tendenze del momento) unitamente all’incapacità di integrarsi pienamente a monte nello sviluppo del prodotto di moda attrabverso la marca commerciale.
Il punto vendita non food ha un diverso ruolo nella creazione della domanda rispetto al punto vendita food: non si può contare sul traffico generato dal punto vendita per stimolare gli acquisti d’impulso.
Recentemente si è assistito ad un ulteriore tentativo di rilancio della formula del grande magazzino mediante il riposizionamento verso l’alto della gamma, ottenuto esasperando la logica dello shop in shop con spazi dedicati alle marche leader della moda e creando corner con un coinvolgimento diretto dei produttori di marca. Il futuro della formula è fortemente condizionato dall’ubicazione dei punti vendita, che attualmente sono localizzati nelle vie del centro storico delle principali città.

MATRICE SWOT
Utili Pericolosi
Interni Facilità per chi abita in centro o per i turisti di raggiungere il punto vendita.
Assortimento di marche prestigiose.
Orari di apertura prolungati
Alti costi.
Poca propensione della clientela al libero servizio per i prodotti più sofisticati
Esterni Rivalutazione dei centri storici Concorrenza delle boutiques del centro

 

Agente

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Diciottesima puntata

L’agente di vendita non è un dipendente dell’azienda e neppure una sua emanazione, esso è assolutamente autonomo nell’espletamento della sua attività ed offre il vantaggio di sollevare l’azienda da buona parte del lavoro di distribuzione e vendita; questo rapporto è regolato da un contratto che definisce tutti i limiti della sua collaborazione, ha il compito di rappresentarla e di trattare gli affari con i vari clienti abituali e potenziali, ricevendo in contropartita una provvigione. Tra gli aspetti negativi di questa figura distributiva si nota il fatto che l’azienda non detiene il controllo diretto dell’organizzazione commerciale e neppure il contatto diretto con il target; qualora si verificasse una rottura del contratto, l’azienda si vedrà costretta, per un certo periodo e talvolta anche con conseguenze che possono pregiudicarne un futuro reinserimento, a non poter più vendere su quel mercato.


Campionario di un agente di vendita

MATRICE SWOT
Utili Pericolosi
Interni Rapporto privilegiato con la casa madre.
Facilità di approvvigionamento
Limitate possibilità di manovra.
Ancoraggio all’andamento di un singolo prodotto o una singola ditta
Esterni Il cliente pensa di avere a che fare direttamente con la casa madre I competitors sono più flessibili in caso di cambio dei gusti del consumatore

Concessionario

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Diciassettesima puntata

Il concessionario è uno dei modi per poter raggiungere un numero consistente di clienti senza dover investire in una rete distributiva di proprietà.
Normalmente la collaborazione è sancita da un contratto che ne stabilisce le funzioni ed in base ad esso il concessionario acquista e vende sul mercato in nome proprio e per conto del committente, ma con piena indipendenza giuridica, tecnica e finanziaria. Con il ricorso al concessionario sorge anche l’esigenza della costituzione di un deposito sul mercato o in una specifica area, rappresentando un onere gravoso sia in termini di costi che di rischi.
Nei confronti del concessionario diventa poi necessario prendere tutte le possibili precauzioni dal momento che potrebbe effettuare delle vendite senza dare sufficienti garanzie sulla solvibilità dei suoi acquirenti, altre volte invece viene data la possibilità che sia il concessionario stesso a garantire la solvibilità del cliente oppure a provvedere lui stesso al pagamento, in questo caso converrà essersi precedentemente assicurati della sua correttezza commerciale, nonché della sua consistenza finanziaria.
Il concessionario è considerato imprenditore a tutti gli effetti, purché eserciti effettivamente il controllo della sua impresa (autonomia di organizzazione e di decisione, rapporto con i clienti…)
Ci sono delle somiglianze e delle differenze tra questa formula distributiva e quella del franchising (Giuseppe Bonani, “Franchising & aggregazioni commerciali”, infofranchising.it, 28 luglio 2000). I principali punti comuni sono, in sostanza: il rapporto associativo, la commercializzazione di prodotti o servizi, la presenza di un marchio e di un’insegna. Nel franchising, l’obiettivo del franchisor è sì di vendere dei prodotti, ma, anche, di fornire un concetto originale basato su uno specifico know-how, che giustifica il pagamento, da parte dell’affiliato, di un diritto di entrata e di canoni periodici. Altra differenza sostanziale tra queste due formule è che la concessione si applica solo alla vendita di prodotti, mentre il franchising è applicato non solo nella commercializzazione di prodotti, ma anche nell’offerta dei più svariati servizi ed in moltissimi settori dell’attività. Ancora, i contenuti dei due contratti differiscono in modo sensibile: mentre il concessionario beneficia di una forma di monopolio nella rivendita in un determinato territorio, il franchisee non gode necessariamente di una esclusiva territoriale (anche se frequentemente concessa, non è insita nel contratto di franchising); il franchisee, a differenza del concessionario, non è tenuto all’obbligo di approvvigionamento esclusivo presso il suo franchisor; il concessionario non ha solitamente l’obbligo di esporre insegne e altri segni distintivi del concedente e non è tenuto a pagare diritti di ingresso o royalties. 

MATRICE SWOT
Utili Pericolosi
Interni Rapporto privilegiato con la casa madre.
Facilità di approvvigionamento
Limitate possibilità di manovra.
Ancoraggio all’andamento di un singolo prodotto o una singola ditta
Esterni Il cliente pensa di avere a che fare direttamente con la casa madre I competitors sono più flessibili in caso di cambio dei gusti del consumatore

Megastore monomarca

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Sedicesima puntata

Ad iniziare dagli anni Novanta si diffonde la convinzione, nel settore della moda, che i punti vendita pluri-marca fossero inadatti a sostenere una forte immagine di marca industriale e che ai produttori di marca leader convenisse adottare strategie di verticalizzazione. Ciò ha determinato la nascita dei cosiddetti flagship stores. Rispetto ai punti vendita monomarca, si distinguono per le dimensioni notevolmente superiori alle più tradizionali boutique monomarca, per la disposizione, di solito, su più piani e per l’ubicazioni in vie di gran prestigio per lo shopping. Rappresentano un monumento alla forza e alla potenza della marca finalizzato a impressionare il consumatore, trasformando lo shopping in un’esperienza unica. Il flagship store esemplifica l’estensione del brand nel vendita al dettaglio, è la marca che si appropria del territorio e reinterpreta gli spazi architettonici per influenzare i clienti finali.


Nike Town di Waikiki, Hawaii

Il primo flagship store è stato creato da Ralph Lauren nel 1989 a New York. Un secondo caso significativo è Nike che è stata una delle prime aziende a creare megastore denominati Nike Town, realizzati come se fossero una palestra d’avanguardia, un music club, un parco multimediale, un museo fotografico e un grande punto vendita tecnologico. L’obiettivo di Nike era di attirare l’attenzione dei consumatori e di creare un punto d’incontro all’insegna del brand experience Nike (E. Sabbadin, “Vertical branding e innovazione dei format distributivi”, Università degli Studi di Parma 2004

MATRICE SWOT
Utili Pericolosi
Interni Gestione diretta da parte della casa madre, conoscenza del prodotto, grande assortimento.
Orari di apertura prolungati
Poca esperienza di vendita al dettaglio.
Perdita di vista della tendenze del mercato. Gigantismo del punto vendita poco gestibile
Esterni Il cliente è più invogliato ad acquistare da chi è sicuramente competente dei prodotti che vende. I competitors sono più flessibili in caso di cambio dei gusti del consumatore

 

Franchising

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Quindicesima puntata

Il franchising  (L’affiliazione commerciale, o franchising, è regolata dalla legge 129 del 6 maggio 2004 che nel primo comma dell’art.1 la definisce così: “è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi.”) è una forma di alleanza continuativa per la distribuzione di beni fra un’impresa affiliante (franchisor) e una o più aziende distributrici (franchisee), giuridicamente ed economicamente indipendenti l’una dall’altra. In base al contratto di franchising l’affiliante concede all’affiliato l’utilizzo della propria formula commerciale, comprensiva del diritto di sfruttare il proprio know how ed i propri segni distintivi, unitamente ad altre prestazioni e forme di assistenza atte a consentire all’affiliato la gestione della propria attività con la medesima immagine dell’impresa affiliante.


Valleverde utilizza molto il metodo del franchising

L’affiliato da parte sua s’impegna a far proprie la politica commerciale e l’immagine dell’affiliante nell’interesse reciproco delle parti medesime e del cliente finale, nonché a rispettare le condizioni contrattuali liberamente pattuite.
L’affiliante in sintesi offre: il know how di una formula commerciale, i servizi con l’insieme dei mezzi, delle metodologie, delle tecniche preventivamente e positivamente sperimentati, necessari ad assicurare l’affermazione dell’iniziativa sul mercato nelle migliori condizioni di redditività, un marchio, un nome commerciale, un’insegna che sono già largamente affermati o in via d’affermazione sul mercato.
L’affiliato a sua volta deve assicurare: il recupero dei mezzi finanziari necessari e sufficienti per avviare, secondo gli schemi standard, tutta l’iniziativa a cui ha deciso di dare atto, l’accettazione dell’impostazione del sistema di franchising elaborato e collaudato dall’affiliante seguendone conseguentemente le direttive strategiche, l’accordo sulle forme di remunerazione (royalties, diritto di affiliazione, pagamenti), i tempi e le modalità stabilite dall’affiliante. 

MATRICE SWOT
Utili Pericolosi
Interni Supporto della casa madre col proprio know how. Utilizzo di logo affermato Commissioni da pagare alla casa madre.
Poca autonomia
Esterni Il cliente preferisce acquistare dove vede l’insegna di un prodotto noto Cambiamenti repentini delle mode.
Concorrenza delle ditte produttrici tramite spacci e outlets

Il franchising ha fatto ingresso in Italia solo trent’anni fa, negli anni ’70, ma, in quest’arco di tempo, è riuscito ad imporsi sul mercato: il fenomeno si è delineato ricco di iniziative imprenditoriali in numerosi campi di attività. Il motivo della crescita è legato al fatto che un soggetto può avviare la propria attività con un rischio ridotto e molto spesso con investimenti iniziali limitati. Il vantaggio, infatti, deriva dal fatto che viene sfruttata l’immagine di un marchio ben conosciuto ed apprezzato nel mercato; in questo modo, se esistono buone capacità di gestione da parte dell’affiliato, l’attività otterrà, senz’altro, il successo sperato.
Col franchising si viene a costituire un sistema operativo fondato sul concetto di collaborazione organica e integrata, creando un’alleanza decisamente strategica; l’azienda trova nel franchising al tempo stesso la possibilità d’attuare sia una valida politica distributiva che un’efficace politica di vendita.

Come non dovrebbe essere un volantino

Ecco un volantino che mi è capitato in mano ieri al bar. L’ho tenuto perché è un esempio di come non dovrebbe essere fatto un volantino. Io non sono un tecnico, non sono un designer, né un copywriter…. ma sono un maledetto rompiballe se mi ci metto.

Iniziamo dall’alto, la scritta che inizia per "Ristrutturi…"

  • Perché nello stesso volantino ci si rivolge a un singolo ("Ristrutturi") e poi a una pluralità ("Approfittatene")?
  • La seconda e terza riga sono leggermente spostate rispetto alla prima.
  • C’è scritto "incredible" anziché "incredibile"
  • Anzi no, dovrebbe esserci scritto "incredibili", al plurale, visto che è l’aggettivo di "prezzi".

Passiamo a quello che c’è scritto nella banda gialla

  • "sopralluogo" si scrive con due elle.
  • La parola "gratuito", siccome è riferita sia a "sopralluogo" che a "preventivo", dovrebbe essere espressa al plurale, e quindi "gratuiti".
  • "Chiama Subito". Perché "Subito" è scritto con l’iniziale maiuscola?
  • Che orrore andare a capo nel mezzo della parola "TEL".

Analizziamo la parte centrale

  • "Approfittatene" si scrive con due t.
  • Perché la parola "Di" è l’unica della frase che ha solo l’iniziale maiuscola, mentre il resto della frase è scritto tutto in maiuscolo?
  • "Perché" si scrive con l’accento.
  • "è" si scrive con l’accento.
  • C’è scritto "valida solo fino 31 ottobre", ma ci vorrebbe la preposizione "al" tra "fino" e "31".
  • Dopo "2009" ci vorrebbe il punto (tant’è che la parola successiva inizia per lettera maiuscola).
  • Perché la parola "Della" ha l’iniziale maiuscola?
  • Io non sono certo un competente, ma cosa sarà un "rivestimento con piastrelle in ceramica delle ragno (tipo fontani)" ?
  • C’è scritto "celta" anziché "scelta".
  • Vogliamo non notare "sanitari in ceramiche" al posto di "sanitari in ceramica"? Ma no, facciamo i puntigliosi, notiamolo.

Corner

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Quattordicesima puntata

Questo format è rappresentato da un’area dedicata alla singola marca e ai suoi prodotti all’interno di un punto vendita multimarca. Si caratterizza generalmente per le dimensioni ridotte della superficie di vendita (se lo spazio assume grandi dimensioni si definisce “shop in shop”) che l’impresa industriale ha a disposizione per isolare la marca rispetto alle concorrenti.

 

La finalità dei corner è quella di far percepire ai consumatori in maniera più nitida le valenze distintive della marca. Consente al produttore di poter comunicare direttamente la propria immagine e il proprio stile, prendendo decisioni autonome in termini di assortimento, layout, personale di vendita, servizi, informazioni e soprattutto col contatto diretto col consumatore.

Punto vendita monomarca

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Tredicesima puntata

Il successo delle catene di negozi monomarca è riconducibile all’integrazione verticale discendente dell’industria o ascendente della distribuzione; l’integrazione verticale ha dimostrato infatti di essere uno dei modelli di business più efficaci per coniugare l’innovazione di prodotto e lo sviluppo della marca nei prodotti dell’abbigliamento.
Nel mercato mondiale dell’abbigliamento si sono affermate catene con marchio/insegna esclusivo che si rivolgono ad un preciso target di clientela. Benetton, Zara, H&M, Esprit, Max Mara, propongono un assortimento unico con marchio che corrisponde all’insegna. Alcuni sono produttori integrati a valle: Max Mara, Benetton; altri, come H&M e Zara sono distributori integrati a monte.

 
Un negozio di calzature Nero Giardini

Alcune di queste insegne sono gestite direttamente dal produttore, altre utilizzano la formula del franchising (che verrà illustrata più avanti), molto spesso vengono adottate entrambe le soluzioni.

La focalizzazione su un target ristretto incentiva lo sviluppo internazionale. Le prime cinque catene di negozi specializzati per fatturato realizzato in Europa sono inglesi; nella graduatoria per livello di internazionalizzazione, le catene spagnole, francesi e italiane sono per contro ai primi posti. 

MATRICE SWOT
Utili Pericolosi
Interni Rafforzamento della visibilità del brand.
Conoscenza del prodotto
Poca esperienza di vendita al dettaglio.
Perdita di vista dei gusti dei consumatori
Esterni Il cliente è più invogliato ad acquistare da chi è sicuramente competente dei prodotti che vende I competitori sono più flessibili in caso di cambio dei gusti del consumatore

 

La mucca viola

Qual è il concetto spiegato da Seth Godin, l’autore di questo libro di marketing? Semplice: quando un cittadino va in campagna e vede una mucca, rimane ammirato ad osservarla. Ma dopo una settimana le mucche non attirano più la sua attenzione. E se vedesse una mucca viola?

Ecco quello che dice: in questo mondo pieno di bombardamenti mediatici, la pubblicità banale non funziona più. E il vecchio sistema, dove i produttori sfornavano un prodotto e poi delegavano al marketing il compito di venderlo, è superato. Ora gli esperti di marketing devono contribuire a progettare il prodotto, in modo che esso stesso sia veicolo promozionale.

In una parola, occorre essere straordinari. Fare successo con l’ordinarietà è sempre più difficile.

La matrice SWOT

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Dodicesima puntata

Qui inizia la terza parte, relativa ai modelli di distribuzione al dettaglio.

Per esemplificare meglio i diversi modelli distributivi verrà adoperata la matrice SWOT, che schematizza, per ogni modello, i punti di forza, le debolezze, le opportunità e le minacce. Le forze sono risorse o attività specifiche di cui il modello è in possesso; se utilizzate in modo efficace conferiscono una competenza distintiva rispetto ai concorrenti. Le debolezze sono risorse o capacità che mancano o non sono adeguatamente utilizzate, mentre i concorrenti ne dispongono. Le opportunità sono fattori esterni che, se opportunamente gestiti, possono rafforzare la posizione sul mercato, mentre le minacce sono sempre fattori esterni, ma che possono indebolire la posizione.
Si analizzano se le condizioni in cui ci si trova ad operare sono favorevoli o sfavorevoli e se sono dovute a fattori interni (e quindi modificabili) o a fattori esterni. In questo modo è possibile evidenziare in modo chiaro e sintetico le variabili che possono agevolare oppure ostacolare il raggiungimento degli obiettivi del progetto, distinguendo tra fattori legati all’ambiente esterno e fattori legati invece all’organizzazione interna, e consentendo di orientare in modo più efficace le successive scelte strategiche ed operative.
 

CONDIZIONI
Utili Pericolosi
Interni Forze Debolezze
Esterni Opportunità Minacce

 

La distribuzione in Italia

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Undicesima puntata

La distribuzione al dettaglio in Italia, per quanto riguarda la dimensione, è ancora dominata dalle piccole unità di vendita, almeno sul piano numerico, anche se negli ultimi anni più recenti si è assistito ad un deciso processo di concentrazione, che ha fatto aumentare la dimensione delle imprese commerciali al dettaglio sia in termini di numero di addetti, che di ampiezza dei locali di vendita.

Relativamente alle modalità operative, la distinzione più rilevante è quella tra le imprese che continuano ad utilizzare la tradizionale tecnica di vendita con addetto e le imprese che fanno ricorso a forme più o meno integrali di libero servizio, con eliminazione del personale di vendita e possibilità da parte dei clienti di servirsi da soli e pagare poi alle casse.

Canali distributivi

1989

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2005

Negozi indipendenti

77

57,6

56,5

55,7

55,2

55,2

54,0

52

Catene specializzate

4

13,3

13,7

14,0

14,0

13,8

14,5

16

GDO

6

15,5

14,8

15,0

15,3

15,1

16,0

18

Mercati ambulanti

7

9,5

9,7

9,8

10,2

10,6

10,8

10

Altri

6

4,1

5,3

5,5

5,3

5,3

4,7

4

Totale

100

100

100

100

100

100

100

100

Quote di mercato dei canali distributivi nell’abbigliamento in Italia (Fonte: Sita Nielsen / Federazione Moda Italia)

Negli ultimi venti anni i consumatori hanno cambiato profondamente le proprie abitudini di spesa ed anche il comparto moda ha risentito i contraccolpi di questi mutamenti; le spese per vestiario e calzature sono state caratterizzate da un’elevata rigidità rispetto all’evoluzione della spesa totale, evidenziando così un carattere di maggiore necessità che accosta la dinamica di questa componente di spesa a quella delle spese tradizionalmente rigide, cioè meno sensibili alle oscillazioni congiunturali quali, ad esempio, quelle alimentari. Tra queste due, più soggette alle oscillazioni del ciclo restano le spese per calzature, rispetto a quelle per vestiario. A questo va aggiunto che il consumo di abbigliamento è divenuto “problematico”, ossia si pone più attenzione al prezzo e alla funzionalità. Lo sbocco finale è quello di un consumatore che con la moda ha un rapporto più dialettico: ne viene influenzato, ma in qualche modo alcune sue esigenze (versatilità, esigenze di bilancio familiare, ecc.) interagiscono col versante a monte della filiera.


Canale prevalentemente utilizzato per l’acquisto di capi di abbigliamento.
Fonte: indagine Censis – Confcommercio 2004

Ruolo dell'industria e dei grossisti

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Decima puntata

La nascita e lo svilupparsi di nuove tendenze interessa sempre più anche e soprattutto le imprese industriali. Quelle che non si adegueranno all’evoluzione in atto in maniera concreta e propositiva, potrebbero venirsi a trovare in una situazione di grande vulnerabilità visto che i rapporti di forza tra sistema produttivo e distributivo continueranno a sbilanciarsi a favore di quest’ultimo. Un processo molto utilizzato dalle imprese è quindi l’integrazione a valle, con l’apertura di punti vendita, grandi e piccoli che siano, gestiti direttamente. I principali fattori che inducono le imprese ad integrarsi a valle sono (E. Sabbadin, “Vertical branding e innovazione dei format distributivi”, Università degli Studi di Parma 2004): comunicare il valore della marca, servire nuovi segmenti di clientela, avere una relazione diretta col consumatore, superare l’arretratezza della distribuzione indipendente, utilizzare i punti vendita come laboratori di marketing, ridurre i costi di distribuzione, internazionalizzarsi, sfruttare il prestigio dato dai negozi in vie importanti, difendere il valore della marca dalla contraffazione, raccogliere informazioni sulla clientela.

Con il sopravvento della grande distribuzione e della distribuzione organizzata, del franchising, della vendita diretta da parte del produttore (negozi di proprietà monomarca, corner nei grandi magazzini, angoli presso punti vendita di media grandezza), si ridimensiona la figura del grossista, anche se la sua funzione resta insostituibile visto che altri se ne devono fare carico (stoccaggio, dilazioni di pagamento, forniture e consegne su richiesta, servizio, ecc.); il grossista perde progressivamente il suo ruolo istituzionale, cioè di essere a disposizione di un dettaglio polverizzato (piccoli dettaglianti e ambulanti). Per il futuro è difficile dire se il grossista sarà una figura destinata ad essere soppressa, certamente però non lo sarà il suo ruolo fondamentale. 

Concept store

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Nona puntata

Quando mi è stato chiesto come avrei progettato i nuovi negozi per Mandarina Duck il mio primo pensiero è stato quello di non disegnare nulla, ma di interpretare. Non ho disegnato, ho usato sette volumi per dare forma all’ambiente .
(Angelo Micheli, architetto e designer, da M. Vercelloni, “Concept Store”, Interni n. 45, 29 febbraio 2008)

Oltre a quelli classici ed a quelli di più recente sviluppo, si stanno sperimentando nuovissimi modelli di distribuzione al dettaglio, i cosiddetti concept store. Sembra che il mondo della moda sia quello più avvezzo alla creazione di punti di vendita che vadano oltre il semplice "luogo di acquisto" per il consumatore. E questo, probabilmente, è dovuto alla maggiore capacità nel declinare nuovi "concetti" di consumo o di acquisto dei propri prodotti (che, a loro volta, sicuramente si prestano con una certa facilità ad un utilizzo "atipico" di modalità espositive). Ecco alcuni esempi (A. Fossati, seminario “Prevedere ed interpretare i trend di consumo”, Università di Pavia, 2007-2008 e “Il negozio è futuribile”, Nexfuture n.4 supplemento a GDOWeek ) : alcuni sono innovativi nei prodotti venduti, altri nella formula della vendita, altri ancora nella presentazione, nella location, e via dicendo.

  • Temporary Shop. Si tratta di un "negozio temporaneo". Ossimoro delle tendenze del marketing moderno, è un negozio che occupa per un periodo di tempo predeterminato e limitato (si va da pochi giorni a qualche mese) uno spazio in zone altamente rappresentative. L’obiettivo dichiarato è quello di creare l’ "evento" e di giocare sulla curiosità indotta dalla limitatezza. A Treviso nel novembre 2005 ha aperto “Loft”, un negozio temporaneo per la vendita di stock delle collezioni autunno inverno.
     
    Negozio temporaneo a Milano. Il quadrante sulla vetrina riporta il tempo che rimane prima della chiusura
     
  • Change Shop. Negozio trasformista che cambia faccia più volte al giorno: alimentari alla mattina, abbigliamento al pomeriggio e wine bar alla sera. Il negozio è sempre lo stesso, ma cambiano prodotti, servizi, arredi e ambientazioni come quinte teatrali.
  • Fusion Shop. Negozio confuso, che fonde e confonde insieme stili, ambienti, prodotti e servizi, articoli di lusso e articoli a prezzi stracciati.
  • Insperience Shop. Negozio interiore che esalta il soft individualismo del futuro. La definizione corretta è “life coaching”, un luogo dove ci siano gli strumenti per sviluppare il potenziale e le competenze del cliente.
  • Credit Shop. Negozio che vende esclusivamente a rate.
  • Support Shop. In questi tempi in cui la complessità della vita aumenta e il tempo diventa un bene sempre più prezioso, questo negozio offre prodotti e servizi che semplificano la vita. Un esempio di outsourcing personale.
  • Secret Shop. Negozio o ristorante difficilmente localizzabile o raggiungibile. Sfrutta il fascino del segreto e dell’esclusività.
  • Consumer Shop. Il negozio consumerista fatto dai consumatori per i consumatori. In Italia c’è Bem Vivir . Un luogo per fare gli acquisti collettivi con la formula dell’abbonamento e ritiro spesa. Un luogo autogestito che accorcia la filiera e crea un’alleanza fra consumatori e piccoli produttori di alta qualità. Ogni prodotto è accompagnato dall’etichetta del prezzo sorgente dov’è indicato il prezzo di acquisto al produttore e quello di vendita al consumatore.
  • Casinò Shop. Negozio in cui il cliente fortunato può ricevere la merce in regalo o sottocosto. Nell’ultimo periodo è avvenuta una proliferazione, anche in Italia, di siti internet (ad esempio YouBid o Bidplaza ) che “vendono” prodotti a prezzi irrisori tramite questa formula: ogni utente offre una cifra, solitamente molto bassa per il prodotto selezionato. Al termine delle offerte si aggiudica l’oggetto chi ha fatto l’offerta unica più bassa ovvero chi risulterà l’unico offerente per la cifra proposta, la quale dovrà essere allo stesso tempo la più bassa offerta. Come guadagnano i venditori? Ponendo un prezzo da pagare per fare le offerte. In questo modo raccolgono cifre che vanno a coprire i costi dell’oggetto e lasciano un certo guadagno, che dipenderà dal successo dell’iniziativa.

      I siti di aste al ribasso puntano sulla voglia di azzardo del cliente
  • Luxury Centers. In alcune località del mondo stanno aprendo questi luoghi dove poter acquistare articoli di moda di stilisti internazionali: dall’abbigliamento ai gioielli, fino agli oggetti d’arredamento. In questi centri del lusso i facoltosi clienti possono trovare il meglio della grande moda con tutta comodità. I primi esemplari di questi supermercati del lusso stanno sorgendo nelle località emergenti, come la zona delle Tigri Asiatiche, la Cina, l’India e la Russia. A Mosca per esempio ha aperto i battenti nel 2007 il Lotte Plaza, di proprietà di una compagnia sudcoreana che ha investito oltre 400 milioni di dollari in questo paradiso per i shopaholics (Neologismo della lingua inglese, che indica le persone che hanno sintomi di acquisti compulsavi spinti da un istinto irrefrenabile. In Italia è definita “febbre da acquisto” e, nelle forme più gravi, è una patologia studiata e curata al pari di altre patologie compulsive) di otto piani dove sono presenti i punti vendita di stilisti come (tra gli altri) Prada, YSL, Gucci, D&G, Jimmy Choo, Miu Miu, Mulberry, Balenciaga, Chloe, Baccarat, Emanuel Ungaro, Nina Ricci, Sergio Rossi, Plein Sud, Paul Ka, Les Copains, J Lo, Zara e molti altri.

    Il Lotte Plaza di Mosca

Volendo si potrebbe proseguire, cercando di classificare molti altri nuovi formati di vendita. In realtà ci si può limitare a dire che stiamo vivendo un’epoca in cui le politiche di marketing delle imprese sono sempre più raffinate e per certi versi aggressive, vale a dire più astute nello sfruttare le situazioni e le ambientazioni, e nel creare nuovi stimoli attraverso strumenti più sofisticati per suggestionare il cliente e indurlo all’acquisto. I nuovi artisti-scienziati del marketing spingono la comunicazione attraverso canali sempre nuovi, sia che si tratta di inventare un nuovo format, sia di attualizzarne un altro, in modo da creare sempre nuovi trend. Ecco quindi la nascita di concept store sempre nuovi, ognuno adatto a soddisfare un’esigenza diversa: lavanderie a gettone con bar annesso per permettere ai clienti di poter scambiare quattro chiacchiere nell’attesa; centri commerciali che contengono anche sale giochi e cinema, caffetterie dove poter sfogliare riviste e leggere libri, ecc. Ad esempio negli Stati Uniti una banca, Umpqua Bank, ha trasformato le proprie filiali in aree simili a internet cafè, con la possibilità di navigare, ascoltare musica, e acquistare tanti prodotti locali di cui viene rinnovato spesso l’assortimento (F. Valente, “Umpqua Bank – USA”, www.mymarketing.net, 24/2/2008)
Il concept store può essere definito come lo spazio commerciale, costruito intorno ad un tema specifico, in cui i prodotti sono messi in scena in un contesto spettacolare ed espressivo, e dove prima dei prodotti ciò che si vuole proporre è la gratificante esperienza che il consumatore può provare nel negozio stesso. Il punto vendita da luogo d’acquisto a luogo di permanenza e di entertainment.


Showroom in via Condotti a Roma realizzato per il marchio di scarpe americano Stuart Weitzman

Tendenze della distribuzione

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Ottava puntata – Tendenze

La caratteristica comune che può essere riscontrata in questi ultimi anni di sviluppo del moderno sistema distributivo al dettaglio è senza alcun dubbio una sempre crescente pressione competitiva tra le imprese del settore. Concorrenza sia di tipo trasversale, tra formati di imprese appartenenti un tempo a settori ben distinti e non interagenti sotto il profilo competitivo, sia di tipo verticale, coinvolgendo la filiera a monte della distribuzione. Accrescimento del livello concorrenziale che può essere imputato principalmente alla spinta di quattro diverse tipologie di forze riconducibili (S. Castaldo, “L’innovazione di marketing dell’impresa commerciale: una ricerca esplorativa” in Micro & Macro Marketing, Il Mulino, Dicembre 2001):

  • Ad un’innovazione della regolamentazione legislativa (eliminazione della licenza e delle tabelle merceologiche e introduzione della disciplina europea)
  • Ad una interdipendenza competitiva (tendenza alla globalizzazione e introduzione in Italia di grandi catene straniere che non hanno trovato molti vincoli all’ingresso nel mercato, accrescimento della concorrenza verticale – negozi gestiti dai produttori – e orizzontale – marche private)
  • Allo sviluppo tecnologico (diffusione dell’ITC, commercio elettronico)
  • All’evoluzione della domanda (maggiore consapevolezza del cliente, sensibilità alla dimensione esperienziale dello shopping)

I dati attuali e le previsioni indicano, per i prossimi anni, una considerevole crescita dei punti vendita del grande commercio a scapito del commercio tradizionale.
Nella sostanza dei fatti, ciascuna forma distributiva soddisfa esigenze differenti, tali per cui agli occhi della grande maggioranza delle persone la media e grande distribuzione e il piccolo commercio tradizionale sono parti inscindibili e complementari di un medesimo sistema.

 

La grande e media distribuzione è particolarmente apprezzata per la vasta gamma di prodotti che essa propone, per la possibilità, che essa dà, di scegliere in totale autonomia e con calma, per prezzi percepiti generalmente come più contenuti rispetto alle altre forme di distribuzione. Del dettaglio tradizionale, viceversa si apprezza particolarmente il rapporto di fiducia che si instaura tra venditore e cliente, l’assistenza diretta del venditore, l’elevata qualità dei prodotti. Una più efficace convivenza e una complementarietà tra le differenti forme distributive pertanto è possibile.
A fronte del calo del numero dei piccoli punti vendita si denota una crescita delle forme associative tra dettaglianti al fine di ottenere la necessaria forza per stare sul mercato ed economie di scala a livello d’acquisto, di gestione, di vendita, di comunicazione. Lo scenario evidenzia la continua tendenza verso la concentrazione del commercio al dettaglio a seguito delle possibili economie di scala raggiungibili (approvvigionamenti più consistenti e quindi a migliori condizioni, gestione finanziaria unitaria, gestione sistemi informativi, economie di scala di vendita, ecc.). Con il dettaglio più concentrato e rinforzato aumenterà la pressione nei confronti dei fornitori, per avere prezzi più competitivi, maggiore qualità, più servizi, ma anche all’interno del dettaglio stesso.
Questa crescita si concretizzerà simultaneamente in alcune direzioni ben definite: ampliamento delle superfici di vendita, introduzione del libero servizio per quel tipo di prodotti che lo consentono, perdita di considerevoli quote di mercato da parte dei negozi indipendenti in favore della grande distribuzione, soprattutto di grandi magazzini, ipermercati, supermercati, ricorrendo a negozi interni e corner con un’ampia gamma offerta sia a livello di fasce di prezzo che di stile, continua crescita di catene di negozi, sia quelli gestiti dalle imprese produttrici (negozi monomarca), di negozi in franchising, di catene varie, infine nuove tipologie di vendita (vendita per corrispondenza, vendite per telefono, vendita on-line).
Ci troviamo così davanti due ambiti ben precisi e differenziati del commercio al dettaglio, quello tradizionale indipendente e quello organizzato ed associato (grande distribuzione e distribuzione organizzata).
Il dettaglio presenta oggi notevoli punti di debolezza sul fronte organizzativo, ma nel suo insieme registra a livello quantitativo una considerevole cifra di affari. Il commercio indipendente risulta molto vario (negozi tradizionali multimarca, negozi di proprietà delle imprese produttrici, negozi monomarca esclusivisti, shop in shop o corner, ecc.) ma si caratterizza per l’approvvigionamento che viene fatto regolarmente e prevalentemente presso le imprese produttrici o presso grossisti, per la conduzione per lo più familiare con minimo personale impiegato, per prezzi spesso superiori a quelli del commercio associato, per l’elevata specializzazione di vendita in talune categorie di prodotti.
Anche se il commercio indipendente registra oggi un continuo calo dei punti vendita mantiene le quote di mercato. Ciò significa che il consumatore continua a prediligere per i suoi acquisti boutiques e negozi di abbigliamento, dove riesce ad avere ancora un valido supporto da parte del personale di vendita. Il punto vendita diventa una delle motivazioni che invoglia l’acquisto del consumatore, e difatti il negozio specialistico tradizionale è l’unico che mantiene e talvolta rafforza le sue posizioni. La sua validità sta nella profondità e varietà dell’assortimento che può offrire al consumatore sempre più esigente e sofisticato, alle competenze che può mettere a disposizione del cliente e alla cura e attenzione verso quest’ultimo.

La maggiore difficoltà per la grande distribuzione sarà infatti quella di dare un servizio adeguato al cliente. Questi punti vendita proprio per la loro forza dovuta a qualità, prezzo e vasto assortimento porteranno la battaglia concorrenziale ad un livello tale che difficilmente i piccoli negozi, in particolare in alcuni settori, riusciranno a competere con loro, come quello dell’abbigliamento di massa.

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