Ultima puntata, con gli ultimi santini trovati in giro. Voglio ribadire che sono tutti santini che ho trovato nei bar e che li ho pubblicati tutti.
Ultima puntata, con gli ultimi santini trovati in giro. Voglio ribadire che sono tutti santini che ho trovato nei bar e che li ho pubblicati tutti.
Ecco la terza parte delle critiche sui santini elettorali a Voghera:
Ecco la seconda parte delle critiche sui santini elettorali a Voghera:
Domani altra puntata…
Anche a Voghera, il prossimo 28 e 29 marzo ci saranno le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale e regionale. Ho raccolto alcuni "santini" e li vorrei commentare, come sempre facendomi i fatti degli altri senza guardare i fatti miei ;-)
Clicca sulle anteprime per ingrandire la foto.
Pero oggi ho criticato abbastanza… a domani…
Vi ricordate il mio post su Viale Bligny 42? Come potete vedere è cliccatissimo e commentatissimo. Dopo anni di distanza tutte le volte che passo di lì in auto mi viene da dare un’occhiata a quel posto. Nel frattempo ho scoperto che si è creata anche su internet un’attenzione sul "caso" B42.
C’e addirittura una pagina su Facebook che recita : "Benvenuti nella pagina di B42, lo stabile più controverso e denso di storia di Milano. La sua collocazione, in Viale bligny 42, lo tiene a solo un km e mezzo da piazza Duomo e a 150 m dall’ Università Bocconi".
Ne hanno parlato i giornali e la tv, ecco un servizio del Tg Rai regionale:
Ed ecco un interessante articolo di Grazia che dice "un palazzo gigantesco molto vicino all’idea di Babilonia che vi siete fatti al catechismo":
http://blog.graziamagazine.it/2010/01/15/il-mondo-di-viale-bligny-42-a-milano/
Ed è stato realizzato addirittura un breve film presentato al Festival Internazionale FILMAKER di Milano, "Storie da un edificio mondo":
C’è chi ne ha fatto un blog:
http://edificiomondo42.wordpress.com/
Chi un’opera d’arte:
http://orticanoodles.deviantart.com/art/Viale-Bligny-42-142710812
Anche il noto artista Maurizio Cattelan ha uno studio in quel posto.
Oppure provate a cercare con Google
Insomma, quel posto è ormai leggendario.
Diciannovesima puntata
Il grande magazzino è un formato di punto vendita che si caratterizza per:
Magazzini La Rinascente di Milano
Il declino che si è registrato ultimamente della formula del grande magazzino è attribuibile a due principali circostanze: il mantenimento di un’offerta basata sul modello programmato in un mercato che si stava progressivamente orientando verso il fast fashion (gli acquirenti seguono le tendenze del momento) unitamente all’incapacità di integrarsi pienamente a monte nello sviluppo del prodotto di moda attrabverso la marca commerciale.
Il punto vendita non food ha un diverso ruolo nella creazione della domanda rispetto al punto vendita food: non si può contare sul traffico generato dal punto vendita per stimolare gli acquisti d’impulso.
Recentemente si è assistito ad un ulteriore tentativo di rilancio della formula del grande magazzino mediante il riposizionamento verso l’alto della gamma, ottenuto esasperando la logica dello shop in shop con spazi dedicati alle marche leader della moda e creando corner con un coinvolgimento diretto dei produttori di marca. Il futuro della formula è fortemente condizionato dall’ubicazione dei punti vendita, che attualmente sono localizzati nelle vie del centro storico delle principali città.
MATRICE SWOT |
Utili | Pericolosi |
Interni | Facilità per chi abita in centro o per i turisti di raggiungere il punto vendita. Assortimento di marche prestigiose. Orari di apertura prolungati |
Alti costi. Poca propensione della clientela al libero servizio per i prodotti più sofisticati |
Esterni | Rivalutazione dei centri storici | Concorrenza delle boutiques del centro |
Sono sveglio, arriva il dottor Vonnegut. Mi chiama col mio nome e ammette l’errore, è stato un incidente. E’ stato un incidente anche il fatto che il dottor Faber si sia suicidato dopo avermi operato. Strano eh? Fatto che sta che la mia cartella clinica indica una massa di materia oscura nel mio addome. Non si sa di preciso cosa sia, siamo in attesa dei responsi delle analisi. Non so se è colpa della notizia, ma sto subito male, mi viene il sangue dal naso e ho conati di vomito. Ho freddo, il dottore dice che non devo perdere i sensi, ma a me pare di stare scivolando via, lontano dalla luce….fin dentro il buio.
Sono di nuovo con Vincent, gli chiedo dove ci troviamo e mi risponde che siamo nel giardino della consunzione, davanti all’albero delle pene, pieno di corpi morti o moribondi che penzolano. Lo trovo mostruoso, lui è affascinato dalla sua sinistra bellezza, dice che i frutti della sofferenza sono amari, ma hanno fiori bellissimi. Ha quindici anni, ma sembra ne abbia duemila, la malattia lo ha fatto crescere in fretta e lo ha reso forte, almeno nello spirito. Mi fa discorsi senza senso, parlandomi ancora di Mater Morbi, e dicendo che la mia malattia si sta aggravando…piove…
Mi portano in terapia intensiva, l’ultimo avamposto prima del grande nulla. I pazienti possono essere visitati solo dai familiari, uno per volta e per pochi minuti al giorno. Stanze senza finestre, niente televisione, nessun suono aldilà del ronzio delle macchine che tengono in vita i malati più gravi. Qui il paziente non è un uomo ma solamente una macchina guasta e come tale viene trattata. Tutto quello che non è necessario alla sua riparazione è superfluo. Niente vestiti, nemmeno un camice ospedaliero, perché in casi d’emergenza potrebbero intralciare un intervento d’urgenza. Materassi ricoperti di plastica per essere velocemente ripuliti dai fluidi corporei. Medici e infermieri non ti guardano nemmeno in faccia, ma si limitano a controllare i tuoi parametri vitali su un monitor. Nessuno ti ascolta perché i numeri dicono più verità sul tuo conto di quanto tu possa fare con le parole… sempre che tu ce la faccia a parlare…
Il letto si muove, mi spiegano che è un "letto ad assetto dinamico". Ogni cinque minuti sposta il peso del paziente evitando le piaghe da decubito. Deprimente. Sono qui da sette giorni, mi viene solo da piangere. Piangere e dormire, lasciarmi andare…
Ora sono impigliato ai rami di un albero, ma una donna mi libera. Lo capisco subito, è Mater Morbi. Mi accompagna con lei. In realtà mi costringe, ma la scelta è un lusso che a un malato non è concesso. L’unica cosa che può fare è accettare la sua sorte, per quanto amara e dolorosa questa possa essere. Il sogno continua in modo confuso, sempre se si tratta di un sogno, o un’allucinazione. La donna mi offre da bere, poi mi bacia, poi mi incatena e inizia a frustarmi a sangue. Vuol farmi cedere ma io la mando al diavolo. Ma forse anche il diavolo ha paura di lei, è la madre di tutte le malattie. E’ la morsa che mi stringe le ossa, la febbre che mi fa rabbrividire, il dolore che mi mette in ginocchio. E’ quella materia oscura che mi cresce dentro, il mio corpo che impazzisce, il delirio, la disperazione e la pazzia. E alla fine, quando tutto sarà consumato, sarà la mia fine. Si diverte a giocare con me, mi prende in giro, mi vuole umiliare. Poi se ne va, arriva Vincent e mi libera dalle catene, anche se sembra rassegnato al suo destino. Io non lo sono, non voglio esserlo, e tento di fuggire da questo incubo. La donna ritorna, accompagnata da mostruose creature, che scatena contro di me: mi picchiano, mi feriscono, fino a farmi perdere i sensi…
Nel frattempo i dottori stanno decidendo del mio destino. I miei segnali vitali sono sempre più deboli. Per aiutarmi a respirare devono collegarmi ad un macchinario. C’è chi si interroga sull’utilità di questo accanimento terapeutico, ma il dottor Vonnegut insiste, è suo preciso dovere fare di tutto, di tutto, per tenermi in vita, anche in modo artificiale. Il dottor Harker non è d’accordo a prolungare questa agonia, vorrebbe lasciarmi morire dignitosamente, e se ne va sbattendo la porta. Come faccio a sapere tutto questo? Non lo so, continuo a vagare tra la realtà e i sogni, non riuscendo più a discernere quali siano gli uni o gli altri…
Mater Morbi mi sta curando le ferite. Perché lo fa? Vuole tenermi in vita. La verità è che si sente terribilmente sola. Gli esseri umani sono creature bizzarre e certe volte amano le cose più impensate, persino la sofferenza o la morte hanno i loro estimatori, ma la malattia, quella non piace a nessuno. Nessuno la ama. E’ per questo che è costretta a tenersi stretta le persone riducendole in catene.
Alla fine mi da ragione, dice che è così: la gente ha paura della morte, ma è lei che odia veramente. Per secoli le persone hanno preferito morire sui campi di battaglia piuttosto che tra le sue braccia, nei loro letti. E’ stata disprezzata e combattuta sin da quando il genere umano ha visto la luce. Sola contro il mondo intero.
Mi lascia libero.
L’infermiera corre ad avvertire il dottor Vonnegut: il paziente numero 13… no, non è morto… si è svegliato! Nonostante le sue condizioni critiche i segni vitali sono tutti in ripresa e senza alcun intervento farmacologico.
…
Casa, dolce casa, credevo che non l’avrei mai più rivista. Tutto mi sembra nuovo e allo stesso tempo familiare, diverso e uguale, estraneo e intimo. Mi sveglio la mattina presto e continuo ad aspettarmi di veder spuntare un’infermiera con una siringa in mano. Solo quando mi rendo conto che non arriverà mi decido ad alzarmi. Mi muovo con cautela, come avessi paura che qualcosa in me si possa di nuovo rompere, che qualche cucitura possa riaprirsi. Poi, lentamente, la mia vita riprende il suo corso normale. Anche se, probabilmente, tanto normale non sarà mai.
Il dottor Harker ha alzato un gran polverone con i media, e oggi per tutto il paese si discute di accanimento terapeutico, testamento biologico e suicidio assistito. Personalmente, sono convinto che chiunque sia in possesso delle sue facoltà mentali debba anche essere padrone del proprio destino, specie se quel destino è fatto di atroci sofferenze. D’altra parte, nel caso in cui io non fossi in grado di esprimere la mia opinione o non avessi lasciato alcuna disposizione, non vorrei mai che qualcuno decidesse della mia vita al posto mio. In fondo, chi sono io per mettere in dubbio i miracoli?
(Trallo, un po’ liberamente, da Mater Morbi, in Dylan Dog n280, Gennaio 2010, Copyright Sergio Bonelli Editore, sceneggiatura Roberto Recchioni, disegni di Massimo Carnevale)
C’è stato un tempo in cui avevo un nome… c’è stato un tempo in cui avevo un lavoro… c’è stato un tempo in cui ero un uomo… qualsiasi cosa questo significhi. Poi le cose sono cambiate… La malattia mi ha cambiato.
Sono stato male e sono stato ricoverato in ospedale. Non sto bene, forse non starò bene mai più. Risonanza magnetica… è così che la chiamano. I dottori mi hanno spiegato che questa macchina bombarda il corpo di onde radio e permette una scrupolosa indagine diagnostica. Come sono arrivato qui dentro? Quand’è che la mia vita ha cominciato a finire? Credo che il primo segnale sia stato una leggera influenza. Mi sono prescritto da solo un paio di aspirine e sono andato avanti con la mia vita. Poi è arrivato il tremore alle mani e la debolezza nelle gambe. Ho pensato di aver esagerato con i medicinali e li ho sospesi. A quel punto ho cominciato ad avere problemi alla vista e le vertigini. Mi sentivo malissimo e sarei dovuto andare subito da un dottore, ma le malattie mi spaventano a morte e, come ogni buon ipocondriaco che si rispetti, i dottori mi spaventano ancora di più. Quando vado da un medico ho sempre paura che scopra che sono affetto da qualche male incurabile e mortale. E’ per questo che non ci vado mai, preferisco non sapere.
Sono al Royal Free Hospital, la mia nuova casa. Il professor Faber, un luminare nel campo della medicina diagnostica dice che hanno escluso tutte le patologie mortali conosciute. Dovrebbe essere una buona notizia, ma il fatto che la cosa che mi sta uccidendo non abbia nemmeno un nome non mi è di gran consolazione. Mi hanno messo il lista per un’altra serie di esami, per andare maggiormente a fondo del problema, “chirurgia endoscopica”… insomma si trattava di infilarmi dei tubi dentro al corpo. Sembrano tutte cose dolorose, ma sarebbero state fatte in anestesia locale o generale, come se questo dovesse rassicurarmi: l’unica cosa che mi terrorizza di più di un intervento chirurgico è l’anestesia, è come fare un salto nel vuoto, lontano dalla luce, fin dentro il buio.
Mi risveglio in una stanza fredda e vuota, c’è una vecchia infermiera strana, che mi dice, mentre fuma una sigaretta, di non conoscere nessun dottor Faber. Io mi alzo, sono debolissimo, mi alzo il camice e vedo una lunghissima ferita chiusa alla bell’e meglio, come fossi un maialino ripieno. Svengo.
Mi riprendo, ho la vista annebbiata e vedo un dottore. Non è Faber, dice di chiamarsi Vonnegut e mi chiama “signor Carver”. Io non mi chiamo Carver! Non sono confuso come dicono loro, voglio andarmene da qui, voglio parlare col mio dottore. Arrivano gli inservienti , mi costringono a letto, mi danno un sedativo, dicono che sono sotto shock. Tento di spiegargli chi sono, ma il sedativo fa effetto e perdo nuovamente i sensi.
Ho un incubo tremendo: sono a casa, finalmente, ma l’amico che è con me si trasforma in un mostro e mi dice che Lei mi vuole. Lei chi? “Mater Morbi”. Poi appare un ragazzino, Vincent, sono di nuovo in ospedale. Mi spiega che è normale il fatto che i dottori non mi riconoscano, l’identità è la prima cosa che Lei ti strappa via, poi ti toglie la dignità e alla fine si prende la tua stessa vita. Mi guardo allo specchio, sembro un letto sfatto, ma questo è solamente l’inizio: Lei mi consumerà poco a poco, fino a quando non si sarà stancata di me.
L’ospedale è il luogo dove ci si sente più soli al mondo. Non conta quanta gente possa venire a farti compagnia e a darti il suo sostegno: la distanza che passa tra sani e malati è uno spazio infinito che neanche l’amore può colmare. La malattia mette chi ne viene colpito fuori del consorzio umano. E per quanto amici e parenti possano volerti bene, nella parte più atavica del loro cervello ci sarà sempre un uomo delle caverne ansioso di allontanarsi dall’animale infetto che sei diventato. Del resto, agli occhi di chi sta male, quelli in salute saranno sempre manchevoli, perché incapaci di comprendere il loro bisogno, perché ignari della loro sofferenza e perché colpevoli di potersene andare sulle proprie gambe.
Il malato è un vampiro assetato di vita e poco importa quante lacrime vengono versate per lui… non saranno mai abbastanza da placare la sua sete. La malattia non celebra alcuna comunione. I letti di una stanza d’ospedale sono come le camere di scoppio di un revolver, con i pazienti a fare da proiettili e la guarigione come unico obiettivo…quello che conta è colpire il bersaglio personalmente, perché non c’è alcuna ricompensa nel successo degli altri.
Nessuno è triste nell’abbandonare un ospedale, e quel lieve senso di rammarico per i compagni di sventura lasciati indietro si scioglierà come neve al sole appena tornati in libertà. Qualcuno ha detto che nessun uomo è un’isola, ma sono ragionevolmente certo che a dirlo è stata una persona in buona salute.
(continua domani…)
Quando ero proprio piccolino si vedeva solo la rai, il "primo" e il "secondo" e l’occasione di vedere qualche cartone animato era aspettare la domenica dopo pranzo oppure qualche inaspettato sciopero dei giornalisti o cose simili. Erano sempre e solo cartoons americani, della Warner o della Disney.
Verso la fine degli anni ’70 la rivoluzione giapponese con la trasmissione dei primi manga animati. Per dire come stavamo messi, il primo e uno dei più famosi, Goldrake, noto anche come Atlas Ufo Robot, veniva trasmesso sul secondo (l’odierna RaiDue) alla sera preceduto da un intervento in studio. Insomma era un evento. Io Goldrake me lo ricordo poco, ero proprio piccolo. Il mio preferito è sicuramente Mazinga Z, trasmesso negli anni successivi, sebbene in realtà come storia venisse prima (Le serie sono, in successione, "Mazinga Z", "Il Grande Mazinga" e "Goldrake", ma la Rai li ha comprati e trasmessi in sequenza diversa. Anzi a dire la verità il Grande Mazinga era su Canale 5. Infatti io, qui lo dico pentendomene amaramente e rendendomi ridicolo di fronte ai miei coetanei, non l’ho mai visto !!!).
Successivamente la cività ha raggiunto anche il Passo del Brallo e quindi vedevo un sacco di altri canali, come EuroTV, Odeon, Italia7, Canale5, Rete4 (Italia1 solo molto più tardi, infatti io Holly e Benji l’ho potuto vedere solo anni dopo, maledizione). Su quei canali ho visto cartoni che sono stati delle pietre miliari degli anime giapponesi: Lupin III, L’Uomo Tigre, Capitan Harlock, Galaxy Express 999.
Quest’ultimo è un cartone animato che mi è piaciuto molto, forse per quel velo malinconico che lo pervade. Lo so, i comics dovrebbero essere d’evasione, ma che male c’è se un cartone ha un’anima e cerca di dirti qualcosa? Parla di un ragazzino, Masai, che in un lontano futuro vuole raggiungere un pianeta ai confini dell’universo dove può ricevere organi meccanici per il proprio corpo, in modo da poter allungare la propria esistenza. E’ il suo grande sogno, di una vita fatta finora di stenti e povertà. Per andare in quel pianeta c’è un’astronave molto particolare: viaggia nello spazio ma è in tutto e per tutto uguale a un vecchio treno con locomotiva a vapore. Masai ha come compagna di viaggio Maisha, una donna misteriosa. Durante il loro viaggio sono protagonisti di numerose avventure e disavventure, e tappa dopo tappa Masai si rende conto che la felicità non sta nell’avere o meno un corpo meccanico, ma in altri valori della vita.
Il tutto accompagnato dalla meravigliosa sigla degli Oliver Onions. Prima che arrivasse Cristina d’Avena che belle che erano le sigle dei cartoni !
In questi giorni di neve ne è venuta già parecchia dappertutto, ma a Brallo siamo avanti: guardate quanta neve c’era già domenica scorsa, quando a valle c’era ancora il sole:
Voglio sottoporvi un altro editoriale di Virgilio Degiovanni, come questo che avevo pubblicato un anno fa.
Quando le cose si fanno pesanti, io ho una mia filosofia di vita: attaccare e mai difendersi. O, peggio ancora, ripegare. E’ quella che ha contraddistinto tutte le mie attività, e non sono mai venuto a meno a ciò. Anche oggi, a 20 anni dai miei esordi nel mondo dell’impresa, la penso allo stesso modo. Non mi interessa nulla dei titoloni dei giornali che, da oltre due anni, strillano questa crisi destinata a continuare. Non mi perdo dietro lamentele, piagnistei, o cose che vorrei ma non ho nè posso avere. Vado avanti. Non mi spavento per le previsioni dei ben informati. D nuovo, vado avanti. Perché, alla fine, se ci pensiamo bene, l’unico vero rimedio è proprio questo: non fermarsi, proseguire, insistere fino all’ultima goccia di sudore. Oggi come oggi, abbiamo un Paese malconcio. Ma ci sono altri che stanno ben peggio di noi. Cosa dovrebbero dire in Grecia, in Portogallo o in quella Spagna che tanta enfasi dava al suo inarrestabile sviluppo? Nulla da ridere, per carità. Ma un po’ di ottimismo sì. Infatti, ne sono più che mai convinto, è in tempo di crisi che possono nascere la grandi aziende. Quelle davvero grandi, quelle inarrestabili, inarrivabili. Un’azienda come la Walt Disney è nata in un periodo terribile, quello ai margini della Grande Depressione statunitense, ricordiamocelo tutti. E anche colossi come la Hewlett Packard hanno fatto altrettanto. Perché? Perché hanno sosato un credo profondo: quello che porta in primo piano le persone e non i dati, in qualunque mercato. E se le persone ci sono, il futuro c’è. Ed è roseo, al di là di qualsiasi dato e numero. […]
Insignificanti pedine
o assoluti protagonisti
di quel fantastico videogioco.
Mirabolanti rockstar
o scadenti controfigure
su quel palco illuminato.
Decadenti poeti
o illusi menestrelli
illuminati dalla luna.
Eravamo pura energia
elettricità libera
fiamme ardenti.
Viaggiatori nell’iperspazio
in quel caleidoscopico mondo.
—————————————–
Eravamo io e Christian, persi nello spaziotempo.
E non ce ne fregava niente.
Non c’importava se non ci capivano, noi ci capivamo.
Non c’importava degli insulti, delle risate, ci scivolavano addosso.
Se non credevano in noi… noi credevamo in noi.
Non ce ne fregava niente se noi eravamo gli ultimi,
i reietti, gli sfigati, i balordi, quelli che non seguivano la massa.
E’ un grave peccato non esser convenzionali?
Probabilmente è un peccato per l’uomo qualunque.
Ma noi non eravamo qualunque.
E di quelli qualunque non ce n’è mai fregato nulla.
E siamo sempre andati avanti, con chi era con noi,
oppure soli, senza problemi.
Ti dedicherei una canzone,
|
Anche oggi sono polemico (strano eh?). Oggi con chi ce l’ho? Ma con quelli che mangiano l’aglio. Anche lunedi scorso mi è capitata in negozio una signora che aveva un alito da stendere un elefante. Mamma mia, insopportabile, non le si poteva star vicino.
Cari agliofili, lo so che la scienza e le tradizioni popolari attribuiscono a questo bulbo fantastiche proprietà terapeutiche, ma se state bene voi fate star male gli altri. Forse non ve ne rendete conto, ma si sente a distanza di metri appena aprite bocca. Quindi perdonatemi se in negozio magari sto un po’ distante…
R.Magritte, Tentativo Impossibile, 1928
Prenditi quello che sei e non rimpiangerti mai se non ti piaci, vedrai… non cambierai…non cambierai… mai!
Prenditi quello che vuoi e non nasconderti mai guarda le spalle che hai forse ce la farai
Guarda che cielo che hai guarda che sole che hai guardati e guarda cos’hai e…….. guarda dove vai!
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