(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Month: January 2009

Le taglie da donna

Questa vuole essere una lettera aperta a chi disegna e a chi produce abbigliamento, in particola modo quello femminile.

Da parecchi anni ormai, la moda ci impone modelli molto attillati e sciancrati che, per loro stessa natura, vestono meglio le taglie magre, in quanto stanno male a chi è più “in carne”. Ovviamente non vale per tutti i modelli, ci sono quelli più o meno attillati. Il problema ruguarda le taglie. Sembra che i creatori di moda si divertano a fare quello che io reputo una pessima mossa sotto il profilo del marketing, vale a dire produrre capi di taglia piccola scrivendo sull’etichetta una taglia grande. Mi spiego meglio: mi arrivano in negozio delle giacche femminili di cui la taglia L veste si e no una 42 e quindi la XL arriva a malapena alla 46. E poi? E poi stop. Quindi tutte le donne (e sono tantissime) che hanno una 46 o oltre non riescono a trovare la loro misura. E inoltre ci rimangono male e dicono: ma come, non mi va più bene neanche una XL? Emblematico il caso di una signora a cui piaceva un maglioncino. Prova la S e dice che è piccolo, allora prova la M. Esce dal camerino e dice che va benissimo, la taglia è perfetta e il colore le piace molto, solo che ha deciso di non comprarlo perché lei è magra e una taglia M non la vuole mettere.
Ma cari produttori, non sarebbe meglio fare il contrario? Fare delle belle taglie 48 e scriverci sopra “Medium” ? Anche perché, se veramente vogliamo vestire la maggioranza delle donne italiane, dobbiamo pensare dalla taglia 40 alla taglia 50. Poi, certamente, ci sono anche le taglie più piccole (generalmente le ragazzine) e quelle più grandi… Quindi io direi di fare così: 40 = XXS, 42 = XS, 44=S, 46=M, 48=L, 50=XL, 52=XXL, invece di fare, come fate voi 40=S,42=M,44=L,46=XL e stop!
 

CD Burner XP

Quando installo bello fresco un nuovo sistema operativo su un mio computer, ho tutta una serie di applicazioni da installare successivamente: Word, Excel, Firefox, Thunderbird, Winamp, Winzip (anzi no, solitamente uso dei cloni), Acrobat Reader, Emule, Live Messenger, Skype, Videolan, ACDsee, Vim, Filezilla, Avast, Paint Shop Pro, ecc. Oggi vi parlerò del programma che uso per masterizzare. Ho sempre usato Nero, ma ho trovato questa applicazione freeware, quindi completamente gratuita.

Si chiama CDBurnerXP, ma a dispetto del nome funziona benissimo anche x Win Vista e masterizza anche i DVD. Nella home page c’è direttamente il link per il donwload. (cavoli ma quanti termini inglesi si utilizzano su internet?? Beh allora diciamo che nella pagina principale c’è il collegamento per scaricare il programma).
Cliccate su Scarica ora! e salvate sul Desktop per comodità. Dopo lanciate l’installazione cliccandoci sopra. Come al solito ci sarà una serie di cliccate su "Avanti", "Accetto i termini del contratto di licenza", "Avanti", "Avanti", "Avanti", "Avanti", "Avanti", "Installa", "Fine".

Fatto! Ora proviamo ad utilizzare il programma. Ci sono 5 opzioni: Disco dati, disco audio, masterizza immagine ISO, copia disco, cancella disco. Ve le spiego brevemente:

  • Disco dati. Serve per creare un disco con dei file. Quindi anche per creare un disco di foto, un disco di MP3, o anche di film in formato DIVX
    Selezionando quest’opzione si aprirà una finestra che mostra tutti i file e cartelle del vostro computer. Inserite il disco vergine e trascinate nella parte in basso a destra le cartelle o i file che volete mettere sul cd/dvd. Nella barra in fondo viene indicata la dimensione totale dell’operazione che, ovviamente, deve essere inferiore (o uguale) alla dimensione del disco. Una volta terminato cliccate su "Masterizza", che è la prima icona nella barra centrale. Fatto.
  • Disco audio serve invece a masterizzare un cd in formato tracce audio, quindi leggibile dai comuni lettori audio. Inserite il disco vergine e trascinate nella parte inferiore della finestra i file mp3 che volete trasformare in tracce audio. Cliccate su "Masterizza". Fatto.
  • Masterizza immagine ISO. Questo lo useranno quelli un po’ più esperti. Serve semplicemente a "copiare" su disco un’immagine che avremo salvato da qualche parte sul disco fisso. A volte capita di scaricare, magari da Emule o programmi simili, un grosso file ISO che poi dobbiamo mettere su CD usando questa opzione. Si aprirà una finestrella. Cliccate sul pulsante coi tre puntini […] e selezionate il file .iso e infine poi cliccate sul tasto "Masterizza". Fatto.
  • Copia disco. Questo è autoesplicativo, serve a copiare un disco. Per prima cosa selezionate "Copia Audio" opure "Copia dati" a seconda del tipo di disco da copiare. Se usate un solo lettore/masterizzatore verrà creata prima l’immagine del disco da copiare sul disco fisso e successivamente vi sarà chiesto di inserire il disco vergine. Fatto
  • Cancella disco. Serve se utilizzate i cd riscrivibili. Io non li ho mai usati in vita mia, quindi non saprei…

 Tutto sommato è un programma facile da usare e completamente gratuito.

Il curioso testamento

Ecco un paradosso tratto dal libro "Ah! Ci sono!" di Martin Gardner:

Un ricco avvocato possedeva 11 automobili d’epoca, ciascuna del valore di circa 25000 dollari. Alla sua morte, lascia un curioso testamento in cui si chiede che le sue 11 macchine siano divise tra i suoi tre figli: metà al maggiore, un quarto al secondo e un sesto al più giovane. Tutti rimangono perplessi. Come si fa a dividere 11 macchine in due parti uguali? O in quattro parti? O in sei parti? Mentre i figli stanno discutendo sul da farsi, arriva la dottoressa Zero, famosa numerologa, alla guida della sua nuova macchina sportiva.

Dr. Zero: Salve ragazzi. Mi sembra che abbiate un problema. Posso esservi d’aiuto?

Dopo che i figli hanno spiegato la situazione, la dottoressa Zero parcheggia la sua auto sportiva vicino alle 11 macchine d’epoca e salta giù.

Dr. Zero: Ditemi, ragazzi, quante macchine ci sono? I ragazzi ne contano 12.

Allora la dottoressa Zero esegue i termini del testamento e dà al maggiore metà delle macchine, cioè 6, al secondo ne dà un quarto, cioè 3, e al minore un sesto, cioè 2.

Dr. Zero: 6 più 3 più 2 fa esattamente 11. Così rimane un’automobile, la mia.

La dottoressa Zero salta sulla sua macchina sportiva e se ne va.

Dr. Zero: Sempre lieta di aiutarvi, ragazzi! Vi manderò la mia parcella!

(Nota di Fabio: Il paradosso sta nel fatto che 1/2 + 1/4 + 1/6 NON è uguale a 1, quindi il testamento non divide l’intero ammontare delle auto e bisogna quindi arrotondare per ottenere un numero intero di auto per ciascun erede)

(Ora guardate la figura: il prima triangolo è composta da 4 figure, le stesse identiche del secondo triangolo. E allora come è possibile che ci sia un qudratino in più? La risposta la trovate qui)

Malaspina

Avevo scritto anche qui che vi avrei raccontato un po’ la storia dei Malaspina. Quello che scriverò è essenzialmente tratto dallo splendido libro "I Malaspina" di Giorgio Fiori.

Dunque, per prima cosa: da dove vengono i Malaspina? Diciamo subito che provengono da una delle più grandi famiglie feudali del medioevo, gli Obertenghi.  Questi nel corso della storia si divisero dando vita a numerose dinastie, tra cui gli Estensi, i Pallavicino e, appunto i Malaspina. Il primo ad avere questo soprannome fu un tal Alberto, circa nel XII secolo. Il perchè (e anche il percome) lo avessero chiamato così resta un mistero… forsè perchè non era proprio di animo buono e gentile, ecco ! A quel tempo la sua stirpe aveva in mano due territori ben distinti: quello in Lunigiana e quello più al nord nelle valli Trebbia, Aveto, Staffora e Bormida. Un personaggio molto importante fu Obizzo, figlio di Alberto, che passò allegramente più volte da guelfo a ghibellino, aiutando sia il Barbarossa che la Lega Lombarda. I figli e nipoti di questo, Corrado e Obizzino, ebbero invece numerosi problemi con Piacenza, sia a causa di guerriglie che soprattutto di problemi finanziari (dovevano gestire un territorio troppo grande e sterile). Per far fronte a questa situazione divisero i possedimenti: a Corrado (capostipite della linea dello Spino Secco) andò la maggior parte della Lunigiana, la val d’Aveto, Trebbia e Borbera, mentre ad Obizzino (linea dello Spino Fiorito) la rimanente parte della Lunigiana , la Valle Staffora e Curone.

Qui incominciò l’ulteriore suddivisione dei possessi, che minarono la potenza politica ed economica della famiglia. Al figlio di Corrado, Alberto (che fantasia nei nomi eh?) andò il feudo di Pregola nel 1266.Questo feudo era composto dal territorio alla sinistra del Trebbia, da Torriglia fin quasi a Bobbio. Pregola ne era la capitale e il limite occidentale. Un personaggio degno di nota è il marchese Corradino, che nei primi anni del 1300 riuscì ad occupare Bobbio e fu alleato dei Visconti di Milano. I suoi eredi, per manifesta paura di attacchi da parte dei genovesi, dei piacentini o dei milanesi, si accordarono proprio coi Visconti, a cui donarono ufficialmente tutti i loro possessi, col patto di esserne nominati feudatari.
Malgrado tutte le divisioni i Malaspina conservarono una certa influenza nella politica italiana e si mantennero alleati degli Sforza, i nuovi duchi di Milano.

I Malaspina di Pregola si suddivisero in diversi rami, tra cui quello di gran lunga più importante e che è durato fin quasi ai giorni nostri è il ramo, appunto, di Pregola. Ebbe come capostipite Azzo figlio di Corradino, che a sua volta ebbe un figlio sempre di nome Azzo. Siamo circa nel sedicesimo secolo. Nel 1541 Oliviero Malaspina, figlio di Azzo, ricevette la conferma dell’investitura imperiale per il suo feudo,  e successivamente venne assassinato da altri Malaspina. Suo figlio Gian Maria (finalmente un nome diverso!!!) tentò nel 1570 di occupare con la forza il castello di Pregola, di cui era condomino, ma che allora era tenuto da altri suoi parenti. Il colpo non gli riuscì e, per vendicarsi, devastò e incendiò per rappresaglia Zerba e Belnome, bruciando persone e rubando il bestiame. L’anno successivo gli vennero confiscati i beni e Gian Maria nel 1575 pose nuovamente l’assedio al castello di Pregola ma, non essendogli riuscito di averlo a patti, lo incendiò distruggendolo completamente.

A Pregola fu costruito un palazzo, probabilmente alla fine del ‘500, che venne sempre denominato "castello", in quanto residenza dei marchesi, ma che più propriamente era una casaforte. Rimase residenza per lungo tempo e appartenne al ramo della famiglia fino alla sua estinzione.

L’ultimo feudatario di Pregola fu Baldassarre, dato che nel 1797 l’invasione francese pose fine ai feudi imperiali che furono annessi prima alla Repubblica Ligure, poi alla Francia e infine, in seguito alla caduta di Napoleone, al Regno di Sardegna. La fine del feudalesimo non provocò veri danni finanziari ai signori di Pregola, che già nel ‘700 avevano accumulato anche un vasto patrimonio fondiario, sia in Valle Staffora che in Val Trebbia. Antonio, figlio di Baldassarre, fu l’ultimo a risiderere stabilmente a Pregola. Suo figlio e i suoi nipoti abitarono prevalentemente a Varzi. Indovinate come si chiamò suo figlio? Esatto: Baldassarre! Il quale ebbe a sua volta due figli: Antonio (ma va?) e Rodolfo.

Questo Baldassarre morì giovane e i figli furono cresciuti dalla madre, donna energica ed avveduta. Nel 1868 essa acquistò per loro conto il palazzo posto sulla piazza principale di Varzi e che divenne sede principale della famiglia; il palazzo di Pregola era invece utilizzato come villeggiatura estiva. I due giovani orfani Malaspina si diedero a quel tipo di vita ozioso piuttosto diffuso nella società provinciale del tempo, poichè la loro posizione sociale, tanto più invidiabile se paragonata all’indigenza generale della popolazione della montagna, rendeva loro assai più facili i successi di un certo tipo.
Il marchese Antonio, a furia di fare lo sbruffoncello, quasi quasi ci lasciò le penne. Verso il 1873 frequanteva una signorina appartenente ad una delle migliori famiglie di Varzi, Maria Giacobone che, lusingata dalla prospettiva di un grande matrimonio, lasciò cadere altre occasioni. Nel 1879 il Malaspina troncò il rapporto e si trasferì a Roma, dove già abitava il fratello Rodolfo che, laureatosi in legge, si dedicava alla carriera giudiziaria. Per giustificare questa rottura Antonio raccontò in giro delle ragioni assai lesive all’onorabilità della ragazza che ne risentì anche in salute. Il fratello Ambrogio giurò di vendicarla, qualora il Malaspina si fosse azzardato a ricomparire in paese.

Il Malaspina, forse ignorando il seguito della vicenda e le chiacchiere di paese, ritornò in Varzi e, il 29 aprile 1880, davanti al caffè Callegari, posto sulla piazza principale e luogo di ritrovo dei notabili locali, si avvicinò senza darsi pensiero al crocchio ove era anche il Giacobone, che sentendosi con ciò provocato, estrasse una pistola e gli sparò, ma lo colpì solo superficialmente. Subito fermato e disarmato, il Giacobone si costituì spontaneamente; al giudizio che seguì in Voghera, l’opinione pubblica era tutta dalla sua parte; egli venne addirittura assolto e la vicenda finì in tal modo. Sua sorella trovò ugualmente marito, mentre il Malaspina continuò con le sue attività galanti, imitato dal fratello che a Roma mandava avanti una lunga relazione con la sua governante.
L’ormai maturo Antonio si prese a servizio una giovane di Pregola, certa Rhos, che a sua volta nutrì notevoli speranze di essere sposata, ma non ottenne nulla. Mise al mondo un figlio, che il marchese Antonio si guardò bene dal riconoscere anche perchè era mezzo scemo e fisicamente disgraziato; e men che meno ne sposò la madre. Non si sposò mai e morì nel 1923 nel suo palazzo di Varzi.

Suo fratello Rodolfo, rimasto unico erede del patrimonio, passò a sua volta la vita tra le facili avventure, ma infine i congiunti della sua convivente lo obbligarono a regolarizzare con il matrimonio la sua posizione. Naturalmente, per l’età più che matura dei coniugi, non vi era più speranza di prole, ed anche il marchese Rodolfo, che spesso veniva a soggiornare a Varzi, vi morì improvvisamente nel 1924. Il palazzo di Varzi divenne sede del municipio, quello di Pregola fu acquistato da una famiglia di amici e congiunti e vi continuò ad abitare la Rhos e una sua sorella fino alla morte.

(ps posso aggiungere che ne primi anni del 2000 una parte del palazzo, detto castello, è stato animato da centinaia di persone che frequentavano un pub nato nell’ala meno nobile del palazzo e chiamato, appunto "Castello Malaspina")

Tarako…. tarako….

E si anche io sono finito nel vortice "Tarako", che da tempo impazza sul web. Per merito (o per colpa) di Elisa sono venuto a sapere di questo web-trend trash (ma come cazzo parlo??)

C’è una ditta alimentare in Giappone che si chiama QP che ha inventato un pupazzetto che si pronuncia allo stesso modo e che si chiama Kewpie per pubblicizzare la propria schifezza salsa alle uova di merluzzo per condire gli spaghetti. E fin qui tutto ok. Poi ha lanciato uno spot dove due bambine cantano una canzoncina che ti entra nel cervello e non ti lascia più che ha avuto un successo stepitoso. Eccola:

Di seguito hanno realizzato uno spot dietro l’altro, uno più inquetante dell’altro. Li potrei definire opere d’arte, in quanto sono allucinanti ed inquetanti. Ricordano capolavori come Shining di Kubrick (tratto dal libro di King). Avolte mi ricordano anche l’Esorcista.

Eccovi qualche esempio.

E per finire, se volte e mulare le gesta delle due bambine, eccovi il testo della canzoncina:

Tattara tattara taratara tarako
Tattara tattara taratara tarako
Onaka ga naru to yatte kuru
Nakama wo tsurete yatte kuru
Tarako kabutte kao dashite
Suiccho suiccho dekakemasu
Futo ki ga tsukeba mado no soto
Futo ki ga tsuku to ie no naka
Tarako tarako tappuri tarako
Tarako tarako tappuri
Tarako ga yatte kuru
Tarako tarako tsubutsubu tarako
Tarako tarako tsubutsubu
Tarako ga yatte kuru
Tarako tappuri tappuri tarako
Tarako tappuri tappuri tarako
Pasuta yuderu to yatte kuru
Kirei ni narande yatte kuru
Itsumo nikoniko suteki na egao
Chakapoko chakaraka chaamingu
Futo ki ga tsukeba kata no ue
Futo ki ga tsuku to sara no naka
Tarako tarako tappuri tarako
Tarako tarako tappuri
Tarako ga yatte kuru
Tarako tarako tsubutsubu tarako
Tarako tarako tsubutsubu
Tarako ga yatte kuru
Tarako tappuri tappuri tarako
Tarako tappuri tappuri tarako
Nengara nenjuu yatte kuru
Akai osoroi yatte kuru
Punyo punyo kunyo kunyo tarako rinko
Tsubutsubu puchipuchi tarako rinko
Futo ki ga tsukeba kuchi no naka
Futo ki ga tsuku to yume no naka
Tarako tarako tappuri tarako
Tarako tarako tappuri
Tarako ga yatte kuru
Tarako tarako tsubutsubu tarako
Tarako tarako tsubutsubu
Tarako ga yatte kuru
Tarako tappuri tappuri tarako
Tarako tappuri tappuri tarako
Tattara tattara taratara tarako
Tattara tattara taratara tarako
Tattara tattara taratara tarako
Tattara tattara taratara tarako

Feel the snow

Giorni fa sono andato a Pila con Michele per la prima sciata della stagione. Ogni anno, quando riprendo, ho bisogno di almeno un paio di discese per riprendere il feeling con la neve. Quando siamo arrivati abbiamo trovato subito i nostri amici che erano già li e ci siamo immediatamente sparati la nuova pista del bosco…. Fiiiiiiiiiiiiii….. che bello, che sensazione… stavolta il feeling è arrivato subito. Che bello: la velocità, la neve compatta che sembrava quasi guidasse gli sci, le curve larghe per cercare quasi di "sentire" il contatto col bianco mantello… uuu-huuuuuuuu….. si si, proprio bello.

Noi che…

Noi che la penitenza era ‘dire fare baciare lettera testamento‘.
Noi che ci sentivamo ricchi se avevamo ‘Parco Della Vittoria e Viale Dei Giardini‘.
Noi che i pattini avevano 4 ruote e si allungavano quando il piede cresceva.
Noi che chi lasciava la scia più lunga nella frenata con la bici era il più figo.
Noi che il Ciao si accendeva pedalando.
Noi che suonavamo al campanello per chiedere se c’era l’amico in casa.
Noi che dopo la prima partita c’era la rivincita, e poi la bella, e poi la bella della bella.
Noi che giocavamo a nomi, cose, animali, città.. (e la città con la D era sempre Domodossola).
Noi che ci mancavano sempre quattro figurine per finire l’album Panini.
Noi che avevamo il ‘nascondiglio segreto‘ con il ‘passaggio segreto‘.
Noi che ci divertivamo anche facendo ‘Strega comanda color‘.
Noi che le cassette se le mangiava il mangianastri, e ci toccava riavvolgere il nastro con la bic.
Noi che al cine usciva un cartone animato ogni dieci anni e vedevi sempre gli stessi tre o quattro (di Walt Disney) .
Noi che sentivamo i 45 giri nel mangiadischi e adesso se ne vedi uno in un negozio di modernariato tuo figlio ti chiede cos’è
Noi che le barzellette erano Pierino, il fantasma formaggino o un francese, un tedesco e un italiano.
Noi che ci emozionavamo per un bacio su una guancia.
Noi che si andava in cabina a telefonare.
Noi che c’era la Polaroid e aspettavi che si vedesse la foto.
Noi che andavamo a letto dopo il carosello. (beh no cavoli, questo no… nota di Fabio)
Noi che suonavamo ai campanelli e poi scappavamo.
Noi che ci sbucciavamo il ginocchio, ci mettevamo il mercuro cromo, e più era rosso più eri figo.
Noi che la Barbie aveva le gambe rigide.
Noi che nelle foto delle gite facevamo le corna ed eravamo sempre sorridenti.
Noi che quando a scuola c’era l’ora di ginnastica partivamo da casa in tuta.
Noi che a scuola ci andavamo da soli, e tornavamo da soli.
Noi che se a scuola la maestra ti dava un ceffone, la mamma te ne dava 2.
Noi che se a scuola la maestra ti metteva una nota sul diario, a casa era il terrore.
Noi che le ricerche le facevamo in biblioteca, mica su Google.
Noi che il ‘Disastro di Cernobyl‘ vuol dire che non potevamo bere il latte alla mattina.
Noi che si poteva star fuori in bici il pomeriggio.
Noi che se andavi in strada non era così pericoloso.
Noi che sapevamo che ormai era pronta la cena perché c’era Happy Days.
Noi che il primo novembre era ‘Tutti i santi‘, mica Halloween.
Noi che se la notte ti svegliavi e accendevi la tv vedevi il segnale di interruzione delle trasmissioni con quel
rumore fastidioso. (si chiama monoscopio, e aveva il dubbio servigio di poter calibrare lo schermo tv. nota di Fabio)
Noi che abbiamo avuto le tute lucide che facevano troppo figo.
Noi che l’unica merendina era il Buondì Motta e mangiavamo solo i chicchi di zucchero sopra la glassa
Noi che all’oratorio le caramelle costavano 50 lire..
Noi che si suonava la pianola Bontempi.
Noi che la Ferrari era Alboreto, la McLaren Prost, la Williams Mansell, la Lotus Senna e Piquet e la Benetton Nannini e la Tyrrel a 6 ruote!!!!!
Noi che guardavamo allucinati il futuro con Spazio 1999 Base Lunare Alpha.
Noi che il Twix si chiamava Raider e faceva competizione al Mars.
Noi che nei mercatini dell’antiquariato troviamo i giocattoli di quando eravamo piccoli e diciamo "guarda! te lo ricordi?" e poi sentiamo un nodo in gola
Noi che le mamme mica ci hanno visti con l’ecografia
NOI CHE SIAMO ANCORA QUI E CERTE COSE LE ABBIAMO
DIMENTICATE E SORRIDIAMO QUANDO CE LE RICORDIAMO.
QUESTA è LA NOSTRA STORIA. . .

Aneddoti 11

In questi giorni di neve, dopo aver spalato davanti al negozio lascio fuori la pala. Entra una signora e mi chiede:

Scusi quanto costa la pala?
Guardi, non la vendo io, l’ho usata per togliere le neve qui davanti, se vuole le vende Maconi qui a fianco.
A grazie, mi scusi.

Sale in macchina e se ne va. Boh???

Entra una signora con figlia:

Vorrei solo un’informazione
Mi dica
Vorrei sapere se c’è il numero
Eh…
Si, insomma, se c’è il numero
Si ma di che cosa?
Dei doposci
Che numero?
38
No, mi spiace, il 38-40 non c’è più
In che senso?
Nel senso che i numeri dei doposci vanno a 3 a 3, c’ è il 35-37, il 38-40, il 41-43, ecc.
Bene, potrei avere un 38-40 allora?
Non ne, ho. Ho finito i 38-40
Ah
Se vuole posso farle provare un 35-37…
Si ma… quelli la in alto non sono doposci?
Si
Allora mi dia un 38-40
Signora: NON NE HO. FINITI! FI-NI-TI. Mi spiace, ma non ne ho.

Ho la faccia di uno che mente, o comunque non sono credibile

Nostalgia della Val Boreca

Ecco un articolo apparso tempo fa su "La Trebbia" a firma di Dario Rebolini (mio zio):

La Val Boreca è bella e selvaggia. Quanta nostalgia di tornare in città!

Leggo spesso sul vostro ottimo settimanale le notizie che spesso parlano della Val Trebbia e mi ha colpito in particolar modo lo strazio che prova ad ogni fine estate quel giovane di Gorreto quando giunge l’ora di lasciare la valle. -Sul n. 31 del 18 settembre.- È uno sgomento che io provo da più di sessant’anni ad ogni fine agosto.
Lascio la Val Boreca che, anche se non se ne parla molto, non è meno bella della Val Trebbia.
I monti che la circondano – I’Alfeo, it Carmo, il Chiappo e il Lesima, le cui "cime ineguali ed elevate al cielo" potrebbero benissimo sostituire quelle del Manzoni sul lago, e Zerba con le sue "case sparse sul pendio come branchi di pecore pascenti" completerebbero l’opera, e, il Manzoni se si fosse trovato qui e non sul lago, avrebbe di sicuro creato la stessa magnifica opera de "I Promessi Sposi".
La Val Boreca è bella quanto la Val Trebbia ma io sono nato li, e non c’e nessun altro paese al mondo piu bello del tuo. Più di sessant’anni a contare gli ultimi giorni d’agosto che poi bisognava tornare in città e farli durare il più possibile, sessant’anni ad aspettare gli altri undici mesi per tornare lassù e passare un altro agosto a respirare a pieni polmoni e ritemprarti per gli altri prossimi undici mesi e via di seguito ad ogni anno.
Ma ora le cose sono cambiate, eravarno in due a provare questo strazio e ora sono solo, sono solo in questo 2008 che "lei" se ne è andata prima, ha voluto precedermi e salir lassù da sola, è andata su il diciannove aprile e non ha voluto aspettare il solito agosto.
Ma lei aveva la fede totale e senza dubbi, diceva sempre che lassù a Zerba (pur essendo nata e cresciuta a Genova) si sentiva felice perchè le pareva d’essere piu vicino al cielo ma not riusciremo a fare altrettanto? Riusciremo ad avere la sua fede? Ci aiuterà a conquistarla? Sarebbe atroce se non ci riuscissimo e dobbiamo pregarla che ci aiuti. Solo con la fede si potrebbe continuare a vivere quei tre giorni che ci mancano per raggiungerla a riunirsi a lei per sempre. Con la fede.
In agosto ma anche a luglio sono stato molto tempo con lei e non ho provato quel dolore che era nel mio cuore da quel diciannove aprile.
Ma l’estate è volata in un soffio e il ritorno è stato doloroso. Non solo lascio le bellezze della valle che ha descritto molto bene quel giovane poeta di Gorreto, ma devo lasciare li anche un pezzo del mio cuore e d’ora innanzi non dovrò tornare solo in agosto, ma molto più spesso.

(Articolo di Dario Rebolini – Foto tratta da www.zerba.org)

Italiano da SMS

In questi anni la diffusione di sistemi di comunicazione alternativi (e complementari) ai tradizionali ha portato ad un cambiamento del modo di scrivere. È innegabile che il linguaggio utilizzato via posta elettronica, sistemi di messaggistica istantanea e brevi messaggi di testo sia diverso da quello utilizzato scrivendo una lettera, formale o  meno, e anche da quello parlato. (Ora che ho utilizzato i corrispondenti termini in italiano posso continuare a parlare di email, instant messengers IMe SMS hehehe) .
Questi linguaggi sono anche diversi tra loro, pur se con qualche punto in comune. Oggi volevo parlare in particolare dell´italiano utilizzato negli SMS.

Per esigenze logistiche ed economiche (gli sms costano) si utilizzano abbreviazioni e trucchetti per contenere quanti più concetti possibili nello spazio concesso ad un messaggino. Ci sono esempi di veri e propri capolavori di sintesi in 160 caratteri standard. Come spesso succede, le generazioni abituate a scrivere in modo tradizionale probabilmente  continueranno a farlo, mentre sono i giovanissimi che hanno inventato e utilizzano più spesso queste abbreviazioni. Con le dovute eccezioni. Un mio fornitore, anche se ha superato i 50, preferisce gli sms alle telefonate ed è un mago delle abbreviazioni. Io stesso le utilizzo parecchio, anche se prima di farlo cerco di intuire il grado di comprensibilità che ha il mio interlocutore.

Ma quali sono queste "regole" ? Eccone una descrizione, che non sarà  certo esaustiva ma rende bene l´idea. Per prima cosa si troncano alcune parole. Ad esempio tutte quelle che finiscono in "zione", "mente" possono essere abbreviate. Esempi: velocemente = velocem, maledizione = malediz.
Altre parole, soprattutto quelle più utilizzate, sono scritte senza le vocali. Esempi: comunque = cmq, sempre = spr, volta = vlt, tutto = tt, sono = sn, tanto = tnt, non = nn, dopo = dp, del e dello = dl, della = dla, quando = qnd, qualche = qlc. Ci sono i casi particolari, non usati da tutti, come oggi = gg e ogni = gn. Molti non riescono ad interpretarli, probabilmente perché non iniziano con la stessa lettera della parola da abbreviare.

Molte volte per capire il genere e il numero delle parole occorre interpretare il senso della frase. Ad esempio tutto, tutta, tutti e tutte sia abbreviano in tt.

Poi c´è la k che sostituisce le due lettere "ch" e talvolta le tre lettere "che". Quindi che = k, anche = ank, pochi = poki. Alcune scuole di pensiero utilizzano la k anche per sostituire la doppia c dura. Quindi pacco = pako (ma doccia = doccia). Parlando di doppie, c´è chi, per sostituire la doppia s utilizza la x. È comune al termine della parola, come massimo = max, prossimo = prox. Ma è usato anche a metà parola, come assassino = axaxino.

Altro capitolo, quello dei simboli e dei numeri. Per prima cosa bisogna dire che i numeri ovviamente non si scrivono mai in lettere, quindi tre = 3, ecc. E poi si utilizza il 6 come voce del verbo essere e il numero 1 come articolo indeterminativo che sostituisce un, uno, una. Ed è usato anche nei pronomi come qualcuno = qlc1, nessuno = ns1. Più = +, meno = – e soprattutto per = x. In contrapposizione (o a volte come complemento) dell´utilizzo della x come doppia s la x è usata al posto delle tre lettere "per" anche all´interno delle parole, quindi speriamo = sxiamo, persona = xsona, perfetto = xfetto, perché = xk.  "Però" è scritto da alcuni x´, da altri xò. Non cambia niente in quanto si utilizzano in entrambi i casi due caratteri, anche se a parer mio la seconda è più leggibile.

Bisogna citare a questo punto l´uso della punteggiatura. Siccome (così come nelle altre nuove forme di comunicazione scritta che ho citato) non è facile alle volte interpretare il tono della frase si ricorre alla punteggiatura o alle emoticons. I puntini di sospensione lasciano la frase, appunto, sospesa e comunque non le danno un tono troppo formale, freddo e distaccato, come potrebbe dare il punto fermo. Il punto esclamativo, specie se è più di uno, da maggiore enfasi alla frase, così come la scrittura in maiuscolo. Enfasi positiva così come negativa. Le emoticons sono le cosiddette "faccine" che segnalano il nostro tono. Le più utilizzate sono quella allegra :-) quella triste :-( e quella ammiccante ;-) Poi ci sono quelle che esprino sorpresa :-0, un bacio :-*  ecc. Per cartenza di spazio a volte non si mette il "naso" e quindi :-) diventa :)

Un´altra regola ci dice che  prima e dopo i numeri possiamo eliminare gli spazi senza compromettere la comprensiblità. Porto tre amici = porto3amici. Una minoranza di persone scrivono addirittura tutto attaccato, distinguendo l´inizio delle parole con a lattera maiuscola. SecondoMeQuestoMetodoRendeDifficileLaLetturaVeloce.
 
Note sparse: anche e ancora si possono scrivere entrambi con ank. Po´ si  scrive con la o accentata e quindi , per rispariamiare il carattere dell´apostrofo. Anche il T9 (il sistema di riconoscimento automatico degli sms) scrive po´ digitando i tasti "7" e "6". Buongiorno e buonanotte possono essere scritti bgiorno o e bnotte o addirittura bg e  bn. La parola "ora" viene sostituita dalla lettera "h". I pronomi ti, ci, si, vi, mi diventano t c s v m. Così = csì. Proprio = pr. Sono = sn. Siamo = sm. Detto = dt.

hKaveteLettoQstPostEsapeteTTslAbbreviazPotreteScrivMexCriptatiMeglioDlaNasa!

Mezzo cioè 6 cioè 184

Sono sicuro che se non ti conoscessi e tu arrivassi ora all’improvviso mentre me ne sto qui a non fare niente immerso nella strada se non ti conoscessi dicevamo e non avessi mai detto ti amo mai a nessuna donna prima d’ora per imbarazzo o perchè non c’era se non ti conoscessi e a un certo punto mentre distrattamente guardo avanti così come si fa…sovrappensiero e tu passassi ora come sei io per la prima volta nuovamente mi sentirei così come mi sento ancora un’altra volta nuovamente starei proprio così come sto adesso: innamorato
Se tu apparissi ora come sei con quel tuo modo di guardare …netto coi tuoi capelli che come un sipario si aprono soltanto a chi ha il biglietto io nuovamente ancora un’altra volta mi sentirei così come mi sento incatenato nella tua atmosfera imprigionato come piuma al vento io per la prima volta nuovamente mi sentirei così come mi sento ancora un’altra volta nuovamente starei proprio così come sto adesso: innamorato

Nebbia nel cuore

Aiser scrive:
 si tutto quello che era negativo
 tutta quella sofferenza
 tutta quella nebbia
 fuori dal giardi
Fabio Più scrive:
 si nebbia
Aiser scrive:
 e quel freddo
Fabio Più scrive:
 si cavoli che bell’immagine
Aiser scrive:
 nelle ossa
 e si quell’aspettare un nulla
 nelle sere d’inverno
 ricordi
 l’ansia
 cazzo morivo
Fabio Più scrive:
 l’ansia x qualcosa che non c’era mai
Aiser scrive:
 si esatto
Fabio Più scrive:
 e speravi che prima o poi…
Aiser scrive:
 esatto
 beh ci voleva
 la vita se no diventa assurda


R. Magritte – La memoria
 

Il salumiere che fotografava l'impossibile

Ho diversi libri su Magritte, geniale artista del secolo scorso. In nessuno avevo mai trovato una spiegazione così lucida e calzante dell’opera di questo fenomenale pittore, come quella del saggio di Robert Hughes. Eccola:

Magritte è morto nel 1967 all’età di sessantotto anni, ma la sua opera continua a esercitare sugli spettatori di oggi [..] il fascino del narratore di storie. L’arte moderna era ben fornita di creatori di miti, […] ma possedeva pochi maestri con l’impulso della narrazione e Magritte […] era il suo principale affabulatore. Le raffigurazioni di Magritte erano prima di tutto storie, poi dipinti veri e propri. Ma le storie non erano narrazioni alla maniera vittoriana, tranche de vie o episodi storici: erano istantanee che fotografavano l’impossibile, e lo rappresentavano nel modo più noioso e prosaico; vignette sul linguaggio e la realtà, imprigionati nel reciproco annullamento. La maestria di Magritte come pittore dell’enigma non aveva eguali e, nonostante la grande influenza che esercitò sul modo di creare immagini (e su come lo spettatore debba decodificarle), non ebbe dei seguaci nel senso proprio del termine.
Il vero omaggio alla sua vita e alla sua arte è stata la reazione che ha suscitato a posteriori. All’interno di un movimento, il surrealismo, che aveva posto l’accento su  exploit eclatanti, tumulti politici, scandali sessuali e violente crisi in parte religiose, Magritte […] sembrava la personificazione dell’indifferenza e dell’imperturbabilità. Visse a Bruxelles, non a Parigi, e restò sposato per tutta la vita alla stessa donna, Georgette Berger. In base alla concezione di bohème ed élite predicata dal surrealismo, Magritte avrebbe potuto benissimo fare il salumiere.
La svolta di Magritte avvenne nel 1927, quando trasferendosi a Parigi si trovò a vivere il movimento surrealista dall’interno […] Con la sua tecnica essenziale, lucida, Magritte dipinse gli oggetti in modo così banale quasi fossero usciti da un abbecedario: una mela, un pettine, una bombetta, una nuvola, una gabbia, una strada di provincia con casette squadrate, un uomo d’affari con il soprabito scuro, un nudo impassibile. Nel suo repertorio non vi erano molte cose, prese singolarmente, che a un qualunque impiegato belga non capitasse di vedere nel corso di una giornata qualunque nel 1935. Ma il modo in cui Magritte le combinava tra loro era assolutamente nuovo. La sua poesia era impensabile senza la banalità che egli rielaborava e trasformava, fino a sovvertire la normale nomenclatura delle cose. Il bicchiere in La Corde Sensible è un normale bicchiere, la nuvola è una normale nuvola; ma la cosa che sorprende è il loro incontro, in quella limpidezza azzurra, resa con tanta pazienza. Le più belle rappresentazioni di Magritte sembrano legate piuttosto alla descrizione che non alla fantasia, grazie alla quotidianità degli elementi da cui sono composte. […]
Magritte creò alcune tra le immagini più scioccanti di alienazione e paura all’interno di tutta l’arte moderna. Non esiste un simbolo più raccapricciante della frustrazione del congiungimento carnale di Les Amants […]
Se l’arte di Magritte si fosse limitata a scioccare non avrebbe avuto vita lunga, come è avvenuto nel caso di tante altre meteore del surrealismo. Ma il suo impegno andava più in profondità, all’interno dello stesso linguaggio, del modo in cui il significato viene comunicato o annullato dai simboli. Il suo manifesto era il celebre dipinto di una pipa, con la scritta “Ceci n’est pas une pipe”. Ed è proprio così: è un quadro, un’opera d’arte, un segno che indica un oggetto, e non l’oggetto stesso. Nessun pittore aveva mai formulato con tanta chiarezza questa verità fondamentale sull’arte e sull’attività dell’artista. […]

sogno ad occhi aperti

non trovi che sia bella la luna in cielo?
riesco a vederla anche quando c’è nuvolo
non senti la risacca del mare?
quel rumore delle onde che si infrangono di notte sugli scogli
le fronde degli alberi scosse dal vento
sento le tue mani fredde che mi accarezzano la nuca
percepisco il caldo del tuo cuore
la tua risata argentina
vorrei soffiare tra i tuoi capelli più forte del vento
potrebbe essere un sogno
ti sto baciando allora in quel sogno
e vago con le labbra attorno alla tua bocca
percepisco la tua pelle liscia
siamo illuminati da questa luna d’autunno
sto volando insieme a te
ti tengo stretta
potrebbe essere un sogno
ma ci siamo noi in quel sogno
potrebbe esserci freddo
non trovi che sia bello il rumore del fuoco?
quel crepitio della legna che arde
quel fuoco che ti fa arrossare le guance
siamo io e te
un divano una coperta e il caldo delle fiamme
mi baci e ti addormenti
io ti osservo
passo una mano sotto ai tuoi capelli
ti do un bacio
e mi addormento
e quando mi sveglio vedo te
che mi sorridi
potrebbe essere un sogno
potresti esserci tu in quel sogno
potresti essere tu quel sogno
ma se anche apro gli occhi
continuo a vederti nei miei pensieri
quindi
non è un sogno
tu ci sei
e io ci sono
siamo noi

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