Ieri sono stato alla filiale della mia banca, la BRE. Si vede che dopo innumerevoli rapine nelle varie filiali della zona, stanno cercando di prendere delle contromisure. La novità è che per entrare devi appoggiare il dito su un “coso” che registra le impronte digitali.
A parte il fatto della palese violazione della privacy, in quanto manca (o non è ben visibile) il cartello che spiega tutto questo… ma si sa che l’Italia è il posto dove si fanno le leggi solo per il gusto di non applicarle. Allo sportello mi hanno detto che dopo una settimana vengono cancellate. Si come no, come se io non avessi lavorato anni fa per il sistema informatico di una grande banca: non si cancella mai nulla. Ovviamente all’utente si giura e spergiura che tutti i suoi dati sono stati cancellati… ma secondo voi?? Al giorno d’oggi i dati personali sono talmente importanti che ci si può permettere di cancellarli??
A parte questo discorso, il sistema delle impronte digitali mi sembra accettabile e discreto: non fa perdere tantissimo tempo e spero che così venga eliminato quel fastidissimo sistema che non ti permetteva di entrare se avevi oggetti metallici in tasca che per chi come me ha sempre una paio di cellulari, monete, due o tre mazzi di chiavi ecc. è veramente una seccatura. Il fatto è che, per quegli utenti che non capiscono il meccanismo, la porta viene aperta lo stesso, per poi spiegargli, una volta dentro, come funziona il sistema. Bene, se io fossi un rapinatore farei finta di non capire e mi farei aprire. Ma si, magari poi la cosa migliora, staremo a vedere…
Month: February 2008 Page 1 of 2
Leggevo stamane un articolo del Corriere della Sera dove si diceva che solo il 30% degli studenti universitari in Italia si laurea in tempo, tutti gli altri restano fuoricorso. Io una mia idea sul perchè ce l’ho. Uno dei motivi è la ripresa dei refrain del ministrone Padoa Schioppa: i bamboccioni. E’ innegabile che tantissimi studenti, arrivati alla maturità (o come si chiama adesso) non hanno intenzione di fare il salto nel mondo del lavoro. Primo perchè non ne hanno voglia: hai 19 anni e non ti va di andare a lavorare. Secondo perchè non ne hanno bisogno, paga papà. Terzo perchè sia lo studente che i genitori sono dell’idea che con il titolo di studio di scuola superiore non puoi trovare un lavoro che ti soddisfi appieno, o magari ribaltare il discorso e dire che con un titolo universitario è più facile. Un mix di questi motivi porta il giovine ad iscriversi a qualche ateneo, magari con poca voglia, giusto per provarci e intanto dilatare un po’ i tempi. Nella mia vita ne ho conosciuti tanti, tra amici e colleghi di studio, che hanno usato l’università come "parcheggio", nell’attesa di "diventare grandi". E così l’iter universitario si trasforma in un percorso dai tempi quasi lassativi: ogni tanto un esamino, tanto per giustificare l’appartenenza al mondo degli studenti. Ma di motivo ce n’è un altro, che si lega anche al primo motivo: troppi esami con la riforma universitaria del 3+2 (lo spiego per chi non la conosce: i corsi di laure sono di 3 anni. Finiti quelli hai in mano la Laurea di primo livello. Se vuoi la Laurea Specialistica devi fare altri 2 anni). In pratica come hanno fatto? Hanno preso gli esami che c’erano prima, li hanno divisi e spalmati e ne hanno aggiunti altri. Vi faccio l’esempio del corso di laurea che sto seguendo io: Laurea di primo livello in Marketing e e-Business all’Università di Pavia. Ci sono circa 40 esami. Si avete capito bene: quaranta. Da sostenersi in 3 anni. Questo perchè l’anno accademico, che va da settembre a giugno, è diviso in quattro "quadrimestri" (lo scrivo tra virgolette in quanto durano meno di due mesi cascuno, tolte tutte le vacanze e i periodi dedicati agli esami) e per ogni quadrimestre ci sono almeno 4 corsi. Capite benissimo che è dispersivo. Se un ragazzo non ha una volontà di ferro, una passione incrollabile, un’ambiente che lo sprona allo studio, come fa a seguire (magari anche bene) così tanti corsi? Anche se mi vengono a dire che sono più facili (singolarmente) di una volta: ma certo, ci mancherebbe, un corso che prima richiedeva tre o quattro mesi di insegnamento non può certo venir ridotto in un mese e mezzo. Ma questo non semplifica le cose, la testa dello studente è tempestata di troppe cognizioni diverse l’una dalle altre, contemporaneamente. Si rischia di studiare un po’ di tutto, ma male. Se invece si volesse fare le cose per bene (come Locatelli. Questo riferimento lo capisce solo chi ha più di 30 anni), magari ci si dedica solo ad un paio di corsi al quadrimestre, lasciando perdere gli altri. E così si accumulano i ritardi, e alla fine si resta fuori corso. Questa è la mia critica. Detto questo, posso egoisticamente dire che per me è stato meglio così in quanto lavorando ho poco tempo da dedicare agli studi, e quindi esami più "piccoli" mi vanno meglio, anche se sono più numerosi. Infatti ci ho messo quasi 6 anni per fare il corso di 3 anni, però, forse ma forse, sono (quasi) arrivato alla fine. Anzi adesso è meglio che vada avanti a scivere un po’ la tesi, visto che sono già le 9 e trenta.
Mi raccomando, cari italiani, alle prossime elezioni votate ancora Prodi, eh?
Stranamente, nel corso dell’ultimo anno, quando si parlava di Prodi tutti ne dicevano male. Tutti. Scusate, ma allora chi l’ha votato?? Io no di sicuro.
Strano eh? Chissà come mai.
E adesso Veltroni viene a fare il saputello, a dire di votare lui che cambierà le cose. Proprio domenica sentivo alla radio veltroni che diceva "porteremo il cambiamento". Cambiamento? Vogliono far passare in secondo piano che, a parte Prodi, tutti gli altri sono gli stessi del governo precedente. Beh… "a parte Prodi" forse non dovevo scriverlo, visto che è il presidente del Partito Democratico!
Bravi, voi cascateci un’altra volta, mi raccomando. Votate Veltroni. Si ma poi velo tenete!!! Non venite a lamentarvi, non vi voglio più sentire.
Un po’ come quelli che non votano. Troppo comodo: chiunque vinca, loro non l’hanno votato e quindi si sentono in diritto di criticare… patologia da opposizione. ma piuttosto allora votate… che ne so…. Casini oppure i Socialisti… oppure Forza Nuova.. o quello che volete voi…
Un uomo con la bombetta è arte? Forse no. Una mela? probabilmente no. Un uomo con la bombetta con il viso nascosto da una mela diventa arte.
Un quadrato, delle linee? Se sono disposte da un’anima diventano arte.
Due manichini sono artistici? Dipende.
Giorgio Morandi – Natura morta metafisica
Questi sono solo esempi, per cercare di spiegarvi perchè il codice è poesia. Per codice intendo il codice di un programma, si insomma quella serie quasi interminabile di astrusi comandi che i presunti cervelloni danno in pasto agli ammassi di rame e silicio. Come fa una cosa che è figlia della matematica ad essere assimilata alla poesia? Orrore. Se è questo quello che pensate non avete capito nulla. Per prima cosa vi assicuro che la matematica e l’informatica sono parenti tanto come la ginnastica e la latteratura. Certo, se fai ginnastica sarai un letterato più attivo, ma puoi benissimo essere un appassionato di letteratura senza dover fare ginnastica!!! E poi…
E poi… quando con delle pennellate di enigmatici geroglifici riesci a dare vita a figure, disegni, animazioni, movimenti, quando con delle note sottoforma di simboli grafici riesci a far suonare, a far vibrare l’anima di un inanimato computer, o creare movimento, far nascere sensazioni, dubbi, conclusioni…. Voi non conoscete che emozione. Come il bambino che costruisce con anonimi pezzi di Lego un bel robot semovente. Che bello.
Ti metti li e, pezzo dopo pezzo, con fatica, con tanti errori e ripensamenti, riesci a far fare cose strabilianti. Dai un pizzico di vita, un pizzico di fantasia, di sapere, di incantesimo. Forse allora è vero, code is poetry, o forse no, it’s a kind of magic:
il codice è magia !
L’unico atto poetico necessario è la scrittura della poesia, e tutto quello che viene dopo è propaganda.
Le due più grandi invenzioni dell’uomo sono il letto e la bomba atomica: il primo ti tiene lontano dalle noie, la seconda le elimina.
Mi guardai intorno. Non c’era nessuna donna, lì in quel caffè. Ripiegai sulla cosa che sta al secondo posto in graduatoria: sollevai il mio bicchiere e lo scolai.
Leggo su il Corriere della Sera: "Immobili, centinaia di persone si sono bloccate di colpo, all’improvviso, contemporaneamente alla stazione Termini, rimanendo ferme, come «in stand by», per tre minuti di fila sotto lo sguardo attonito dei passanti: chi stava baciando la fidanzata, chi allungando il braccio per dare la mano al collega appena arrivato, chi guardava l’orologio. Tutti fermi, come congelati davanti agli occhi increduli di pendolari e turisti in una sorta di un due tre stella collettivo. Ma tutta la gente che sfrecciava loro intorno, di qua e di là, per contrasto sembrava quasi più assurda di questa massa di improvvisate statue viventi. L’adunata è partita via web, dal blog Frozen Termini, nato apposta per lanciare l’iniziativa appena 48 ore prima. Risultato: un’installazione vivente che strappando un sorriso ha spezzato il ritmo serioso e serrato della vita metropolitana, mostrandone il lato paradossale. Ma anche in questo caso come nei flash mob, a dare l’esempio sono stati gli americani"…(segue).
Falso! Rivendico l’originalità del gesto, anche a nome del mio fratello Jim Christian L.
Anzi, ammetto pubblicamente che noi l’abbiamo a nostra volta copiato da una campagna pubblicitaria della Diesel abbastanza vecchia, perlomeno antecedente al 1994. Ecco le prove:
Qui a Rimini estate 1997
Qui alla discoteca Rolling Stone di Milano nel 2003 (una delle nostre ultime "Ice Action", per fortuna direbbe qualcuno)
Noi in pratica siamo il nostro cervello. Cioè noi siamo dentro la nostra materia cerebrale, siamo formati da neuroni. Riceviamo impulsi dalle altre parti del cormpo o dall’esterno e le elaboriamo. E’ come se noi fossimo il nostro cervello: tutte le conoscenze e tutte le sensazioni le proviamo a partire dal cervello.
Suoni, sensazioni tattili, luci, colori, caldo/freddo, ecc. Ma noi, la nostra "coscienza" (non quella morale) dove sta? Nel cervello. Che strana cosa.
Adesso vi faccio un esempio stupido che in poschi capiranno: è come quando l’Aliante Slittante entra in Mazinga Z. In pratica Mazinga Z è Rio Kabuto che lo comanda. Allo stesso modo se a noi mancassero braccia gambe, vista, udito e quant’altro, saremmo sempre "rinchiusi" nel cervello. Che costa strana.
Tempo fa sono stato al Casino di Saint Vincent, in Valle d’Aosta. Erano esattamente 15 anni che non entravo in un posto del genere (se si escude un rapido passaggio in quello di San Remo e a quello di Montecarlo, ma erano brevi visite turistiche solo nelle sale delle slot machine).
Ragazzi, quanti soldi che girano. C’è un sacco di gente, ma veramente tanta, che butta palate di soldi sui tavoli verdi come se niente fosse. E quando dico palate di soldi intendo proprio tanti. Al piano di sotto puoi entrare senza giacca e i giochi hanno solitamente delle poste minime più basse. C’era pieno di giapponesi che giocavano ad un gioco strano che non sono riuscito bene a decifrare. Dei tizi giocavano a dadi e uno di loro aveva in mano una mazzetta di 500 euro!!
Al piano di sopra l’ambiente è un poco più raffinato, e lì c’è gente che picchia duro come un fabbro. Al tavolo di Chemin de Fer ho visto un tale che in una mano si è portato a casa dodicimila euro. Do-di-ci-mi-la. Io e i miei soci abbiamo scambiato qualche soldino in fiches, che distribuivamo parsimoniosamente sul tavolo della roulette. Ogni tanto passava uno e buttava un gettone da 500 euro e se ne andava, come se niente fosse. Poi ne è arrivato un altro e ha cambiato una fiche da diecimila euro, lamentandosi, a cuor leggero però, che la serata era un po’ sfortunata.
Édouard Manet – Le Chemin de fer
Commmento della serata: ma si bel posto, un giro ogni 15 anni si può anche fare (magari anche senza aspettare così tanto, per la carità), avendo però bene in mente che l’unico che vince sempre e comunque è il Casino. Punto e basta. Se ci vai e dici "passo una serata diversa e butto via TOT euro" va bene, se pensi di vincere invece è meglio che te ne stai a casa. I soldi che hai in tasca quando entri devi considerarli persi, se li riporti a casa è già una fortuna.
A te che sei l’unica al mondo, l’unica ragione per arrivare fino in fondo ad ogni mio respiro: quando ti guardo dopo un giorno pieno di parole, senza che tu mi dica niente, tutto si fa chiaro.
A te che mi hai trovato all’angolo coi pugni chiusi, con le mie spalle contro il muro pronto a difendermi, con gli occhi bassi; stavo in fila con i disillusi. Tu mi hai raccolto come un gatto e mi hai portato con te.
A te io canto una canzone perchè non ho altro, niente di meglio da offrirti. Di tutto quello che ho prendi il mio tempo e la magìa che con un solo salto ci fa volare dentro l’aria come bollicine.
A te che sei… Semplicemente sei sostanza dei giorni miei… sostanza dei giorni miei.
A te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande, a te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più.
A te che hai dato senso al tempo senza misurarlo, a te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore.
A te che io ti ho visto piangere nella mia mano, fragile che potevo ucciderti stringendoti un pò… e poi ti ho visto con la forza di un aeroplano prendere in mano la tua vita e trascinarla in salvo.
A te che mi hai insegnato i sogni e l’arte dell’avventura, a te che credi nel coraggio e anche nella paura.
A te che sei la miglior cosa che mi sia successa, a te che cambi tutti i giorni e resti sempre la stessa.
A te che sei… Semplicemente sei sostanza dei giorni miei… sostanza dei sogni miei.
A te che sei, essenzialmente sei sostanza dei sogni miei… sostanza dei giorni miei.
A te che non ti piaci mai e sei una meraviglia, le forze della natura si concentrano in te che sei una roccia sei una pianta sei un uragano, sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano.
A te che sei l’unica amica che io posso avere, l’unico amore che vorrei se io non ti avessi con me.
A te che hai reso la mia vita bella da morire, che riesci a render la fatica un immenso piacere.
A te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande, a te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più.
A te che hai dato senso al tempo senza misurarlo, a te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore.
A te che sei… semplicemente sei sostanza dei giorni miei… sostanza dei sogni miei
E a te che sei… semplicemente sei compagna dei giorni miei… sostanza dei sogni miei.
(Jovanotti)
Ma cosa diavolo ci mettono dentro per farlo così buoni? La droga?
Sto parlando dei Fagolosi, che per chi non lo sapesse sono i mitici grissini prodotti dalla GrissinBon. Io li ho scoperti qualche anno fa nei ristoranti. Solitamente non sono un vorace divoratore di grissini, ma quando ho assaggiato i Fagolosi… mamma mia che scorpacciata. Sono proprio buoni. E così ho iniziato a comprarli anche per casa. Se mi avessero predetto che un giorno avrei comprato i grissini da mangiare a casa avrei sicuramente negato: a che servono?? Al risotrante li sgranocchi nell’attesa delle pietanze, in casa non ha senso: se sto preparando io da mangiare non ho tempo di sgranocchiare alcunchè, se non sto preparando io preferisco fare dell’altro piuttosto che stare seduto a perdere l’appetito coi grissini.
Invece ora in casa li uso come stuzzichini, quando non ha proprio fame ma… voglia qualcosa di buono, come diceva la contessa in giallo. E siccome io in casa non ho la scorta di Rocher come il mitico Ambrogio, mi butto sui Fagolosi. La scorsa settimana ho voluto provare quelli coi semi di sesamo: buonissimi anche quelli. Ma come fanno quelli della GrissinBon? Complimenti.
Che emozione, guardate cosa hanno realizzato Darron Schall e Claus Wahlers:
un emulatore Commodre 64 in flash !!! Che figata!!!
Il progetto è sicuramente da milgiorare, ma è veramente una figata.
Lo potete provare cliccando qui.
Ieri sera sono stato al teatro Arlecchino di Voghera ad assistere al musical sulla vita del pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo. Molto bello. Ecco cosa dice il volantino:
Lo spettacolo mette in rilievo attraverso la musica e l’azione teatraIe i principali anni della vita e della produzione artistica del pittore, compresi fra il 1891 e il 1907, anni intensi e amari in cui la piena maturità e consapevolezza del pittore si scontrano con la fragilita, le difficoltà e i dolori dell’uomo.
Una particolare forma di teatro musicale (vicina al musical) che indaga l’universo "pubblico" e quello "privato" del pittore: i suoi quadri, le sue passioni artistiche, il suo impegno sociale, le sue amicizie, i suoi affetti.
Viene affrontato il tema dell’amore di Pellizza per il paesaggio, per la luce e i colon, e in modo piu approfondito l’amore di Pellizza per la mogiie (quella Teresa che egli sposo giovanissima) insieme all ‘attenzione del pittore per l’ universo femminile, per quelle presenze austere, silenziose, proprietarie di misteri che, nei suoi quadri, Pellizza osserva attento e partecipato (un’attenzione e un rispetto inediti nella cultura pittorica di fine ottocento).
Viene tratteggiato il Pellizza autore di Ricordo di un dolore, di Pensieri o La sposa (i suoi primi capolavori) ma anche il pittore dei famosi Panni a/ sole, Le ciliegie, Mammine, Sul fenile, con i primi esiti divisionisti fino al periodo simbolista de "Lo Specchio della vita".
E, naturalmente, emerge con forza il mondo contadino di Volpedo, quel mondo da cui Pellizza non riuscira mai a staccarsi, con i suoi amici di sempre che immortalerà nel suo quadro piu famoso: quel Quarto Stato che lo ha fatto conoscere nel mondo.
Si evidenziano inoltre le relazioni che Giuseppe Pellizza ebbe con il mondo culturale fra Tortona e Voghera. Si assisterà a dialoghi sulla pittura tra Pellizza e Angelo Morbelli (altro importante pittore alessandrino) e a discussoni sulla politica e sulla società con Emesto MaJocchi, giornalista vogherese, anarchico socialista e suo fraterno amico. Non mancano in scena anche il fotografo vogherese Cicala e il piu giovane pittore Barabino. Riferimenti d’obbligo sono infine l’intenso diario e le lettere, i materiali piu privati del Pellizza cui la drammaturgia dello spettacolo intende rendere discreto omaggio.
per altre info www.teatrodegliacerbi.it oppure www.pellizza.it
C’era un re egizio, insomma un faraone, che era figlio di Amenofi terzo, e così lui sarebbe stato Amenofi 4. Alcuni, forse più propriamente, lo chiamano Amenhotep quarto. Come è successo molte volte nella storia (per esempio con l’imperatore romano Costantino) ad un certo punto ha pensato bene di cercare di manipolare la religione per fini personali, vale a dire per aumentare il proprio potere (a scapito dei santoni del tempo). E così iniziò a propagandare il culto del dio Aton, al posto di quello del dio Amon. A questo punto si rese conto che il suo nome, Amenofi, derivava da Amon e quindi non stava facendo una bella figura. E così cambiò nome in Akhenaton (d’altronde lui era il re e poteva fare ciò che voleva, no?). Un po’ come poi fece il suo successore, altrettanto famoso, Tutankhamon (quello che porta una sfiga pazzesca), che prima si chiamava Tutankhaton. Che casino eh?
Ma perchè arlare di Amenofi/Akhenaton? Perchè egli aveva una moglie, la mitica regina Nefertiti, bella gnocca, famosa in tutto il mondo per le statuette che la raffigurano in tutta la sua bellezza. Pensate che sono passati più di tremila lunghi anni. Infatti si sa poco di lei, notizie frammentarie. I più la vogliono come giovane sposa del re, morta giovane, altri azzardano addirittura che invece se la filava con Tutankhamon. Potrebbe anche darsi, visto che ho ricevuto in dono una statuetta di gesso raffigurante la regina e porta una iella incredibile ;)
Ma tanto è andata in premio al vincitore del "Maestro 2007"