Il lettore del blog Matteo mia ha mandato tempo fa questa foto. Ha trovato in una soffitta questo ritratto di un uomo con l’iscrizione: "morto a Pregola – Stato di Sardegna – 22 Marzo 1851", ma purtroppo nessun nome.
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Se c’è una bella al mondo sei più bella tu. Se c’è chi è troppo bella tu lo sei di più. Sei qui davanti a me ma non mi sembra vero. Accidenti come sei bella. Tu mi guardi negli occhi con un sorriso e mi dici sussurrando piano piano. Me non esagerare che non è vero. Sei proprio carina davvero. Accidenti come sei bella. Accidenti come sei bella. Sei bella come quando l’acqua viene giù. Sei bella anche di più. Sei bella anche di più. Poi guardandoti negli occhi. Non importa che mi tocchi. Basta che mi stai vicino. Io sto fermo e non respiro. Più ti guardo e mi consolo. Sei più bella che in un sogno. Quasi non mi sembra vero. Sei la mia metà del cielo. Sei la mia metà del cielo. Se c’è una bella al mondo sei più bella tu. Se c’è chi è troppo bella tu lo sei di più. Sei qui davanti a me ma non mi sembra vero. Accidenti come sei bella. Accidenti come sei bella. Accidenti come sei bella. Sei bella come quando l’acqua viene giù. Poi guardandoti negli occhi. Non importa che mi tocchi. Basta che mi stai vicino. Io sto fermo e non respiro. Più ti guardo e mi consolo. Sei più bella che in un sogno. Quasi non mi sembra vero. Poi guardandoti negli occhi. Non importa che mi tocchi. Basta che mi stai vicino. Io sto fermo e non respiro.
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Dunque, parliamo di tasse (balzelli, diritti, gabelle, imposte, canoni, tariffe, gravami, tributi, pedaggi, contributi, imposizioni, dazi, trattenute, o come le volete chiamare).
Ci sono quelle da pagare per l’utilizzo di un bene o servizio, come il canone Rai, il pedaggio delle autostrade, il ticket sanitario, l’iscrizione a scuola, ecc.
Poi ci sono quelle sul reddito: tu guadagno un tot e su quel tot una percentuale va a finire nelle casse pubbliche. Su quanto sia o meno la giusta percentuale possiamo stare qui a discuterne, ma non è l’argomento di questo articolo.
L’argomento è: le tasse sul patrimonio. Funziona così: tu hai un qualcosa e solo per il fatto di possedere questo qualcosa devi pagare, anche in questo caso una percentuale. Questo crea delle difficoltà. Se nel caso delle tasse sul reddito tu disponi di liquidità (a meno che il tuo reddito non sia costituito da prodotti agricoli, ma solitamente si tratta di una cosa sola: soldi) e puoi quindi accantonarne una parte per poi devolverla all’erario, nel caso di un patrimonio potresti non averne.
A me piace parlare per esempi, quindi eccone un paio: sei un dipendente, hai il tuo bel stipendio su cui vengono trattenute le opportune gabelle. A fine anno avrai quindi contribuito alle spese dello stato (cioè di tutti, in teoria) con una parte del tuo reddito (che invece di esserti stato versato è stato versato direttamente allo stato). Oppure sei un lavoratore autonomo: incassi 70 mila euro, hai 40 mila euro di spese, quindi guadagni 30 mila euro, su cui pagherai un po’ più della metà, ma per semplificare facciamo che ti rimangono 15 mila euro. Hai versato una parte dei tuoi guadagni allo stato. Fine. Semplice.
E invece no. Ci sono le famose tasse "patrimoniali", prima tra tutte la celeberrima IMU o ICI o COMECAVOLOSICHIAMA. Tu hai una casa, magari perché con tanti sacrifici l’hai comprata, o perché l’hai ereditata, o magari te l’hanno regalata o comprata a tua insaputa come Scajola. Fatto sta che ce l’hai lì, non ne stai ricavando reddito (o magari si, ma nota bene che su quel reddito ci stai già pagando le tasse). Però lo stato ti impone di pagare un piccola percentuale sottoforma di tassa.
Non lo trovo giusto. Se io ho una casa che vale 100 e la tassa patrimoniale fosse del 1%, io ogni anno devo pagare 1. Dove li prendo? Vendo 1/100 di casa. Dopo 10 anni avrei un "pezzo" di casa che vale 90. Perché 10 li ho dati allo stato. E’ giusto? A me sembra di no. Qualcuno può dire: e va beh affittala a qualcuno e paga l’IMU. Si, io posso anche affittarla, ma come detto su quell’affitto ci pago già le tasse. Perchè devo pagarle ANCHE sul valore della casa? E poi diciamocelo: magari non riesco ad affittarla, magari non mi pagano l’affitto, ecc. E oltre alla beffa dei dover (per legge!) pagare le tasse anche sugli affitti non realmente percepiti (che è già un’anomalia), il danno di dover pagare anche l’IMU su una casa di cui non dispongo.
Forse ho capito: lo stato ladro, per mantenere la suo voracità, come fosse il Nulla che si pappa il Regno di Fantàsia, ha bisogno sempre di nutrimento. E nella realtà non si mangia la fantasia dei bimbi, ma il grano degli adulti. E quindi prima per 50 anni ha convinto gli italiani a risparmiare, a mettere i soldi nel mattone, e adesso dice: "Ti ho fottuto! Adesso te li piglio tutti a poco a poco (ma neanche così poco), tanto so dove prenderli, nelle case, ti ho convinto io!"
Bella roba. Ma almeno vedessimo i risultati, e invece vediamo sempre quei fanfaroni scaldasedie che pensano solo ed esclusivamente ai cazzi propri, mangiando e bevendo alla facciazza nostra.
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Immagina non ci sia il Paradiso
prova, è facile
Nessun inferno sotto i piedi
Sopra di noi solo il Cielo
Immagina che la gente
viva al presente…
Foto di "GiamesPhoto: Foto, Storie e Leggende dall’Appennino delle Quattro Province"
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Dario Rebolini è mio zio. E’ stato partigiano. Qualche anno fa ha scritto una storia romanzata, intitolata "I tre colonnelli", che poi è stata pubblicata sottoforma di libro.
Deve essere stata un’esperienza che ti sconvolge la vita. Parti militare, ti mandano in Jugoslavia a combattere a 19 anni, età in cui i ragazzi di oggi giocano alla Playstation e si lamentano che la squadra del cuore ha perso. E’ tornato in Italia e dopo l’8 settembre ’43 ha disertato, si è dato alla macchia e poi si è arruolato nella resistenza. Non voglio sindacare su cosa fosse giusto e sbagliato, perché quei momenti, quel periodo storico, quella vita l’ha vissuta lui e non io. Io conosco molte storie che mi ha raccontato mia mamma –sua sorella– sul periodo del fascismo, sui rastrellamenti, sul comportamento dei "regolari" (i "fascisti") e di quelli dei "ribelli" (come venivano definiti allora quelli che poi sono stati chiamati "partigiani").
Penso tuttavia a quello che poteva succedere, anche leggendo questo racconto che, a parte la parte romanzata, racconta tutte storie vere, fatti e avvenimenti realmente accaduti e vissuti in prima persona da Dario. Il governo si butta in una guerra, che già per definizione (come tutte le guerre) è inutile, dannosa, rovinosa, e questa più delle altre. Tanti ragazzi vengono arruolati e mandati a morire per la brama di pochi. Quando mezza Italia viene invasa dagli Alleati a molti è chiaro che la dittatura è prossima alla fine, è solo una questione di tempo. E si organizzano le frange di resistenza. E’ storia abbastanza nota, o perlomeno risaputa. Dove è più facile darsi alla macchia? Naturalmente sui monti, e quindi anche sui nostri monti. Per la varietà del genere umano immagino che ci fosse chi stava da una parte o dall’altra perché ci credeva e chi invece lo faceva per convenienza. Hai una casa, una famiglia, una posizione e rischi tutto per difendere una fantomatica "libertà"? Puoi decidere di farlo, ma sei giustificato se non lo fai. Mio zio scelse di farlo, non so se per convinzione, se per l’incoscienza dei vent’anni, se per non tornare a combattere per un capo "ingiusto", se perché ritenesse di poter realmente contribuire a qualcosa di grande e nobile, se per una presunta convenienza o se una miscela di tutte queste cose. Mia mamma mi diceva che in famiglia questo suo unirsi ai "ribelli" non era stato visto molto di buon occhio, non fosse altro per la paura di ritorsioni sulla famiglia. Era pur sempre un figlio, ma aiutarlo significava rischiare di compromettere gli altri membri: i fratelli, i genitori, ecc. Ma tant’è: Dario aveva vent’anni, non era più un bambino, aveva già vissuto sulla sua pelle la guerra, e come tutti i ventenni era convinto di poter cambiare il mondo. In quei mesi in cui è stato partigiano deve averne viste e vissute di tutti i colori, atti di eroismo e di vigliaccheria, momenti di disperazione e di trionfo. Che cosa orribile la guerra, e ancora più orribile la guerra civile, quella che c’è stata in Italia, nei nostri luoghi, dal ’43 al ’45. L’amico, il parente, il vicino che in tempo di pace conoscevi come amico, potevi trovartelo "dall’altra parte". Magari tu eri un "partigiano" e sparavi, mentre di là c’era un "fascista", e un tempo eravate amici. La guerra tira fuori le brutture e trovarsi con un fucile in mano può portare a gesti orribili. Perchè i caduti della guerra in quel caso non erano gli "stranieri", i "nemici", ma i tuoi connazionali.
E pensate forse che i soldati tedeschi mandati a combattere e morire nelle nostre valli fossero dei cattivoni senza cuore? Indubbiamente qualche gerarca si, senza dubbio, così come qualche gerarca fascista. Ma a morire di solito non sono mai i capi. Bush ha fatto tante guerre stando comodamente seduto nella sua poltrona. Ripeto: che cosa brutta la guerra.
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Come sempre all’inizio dell’anno si fanno dei buoni propositi: starò attento a mangiare poco e bene, più attività fisica, ad essere sempre positivo… poi dopo qualche giorno arrivano i "solo per questa volta" e si finisce coi "chissenefrega".
Quindi quest’anno niente buoni propositi, se non quello di cercare di essere un po’ più positivo (come naturalmente sono). Allora approfitto di questo spazio per ringraziare perlomeno quelle persone che hanno contribuito a rendere meno negativo più positivo questo 2014 che è finito. Non faccio nomi, ma dai, lo sapete chi siete, no? Grazie. Non è stato un anno facile per me, e quello prima meno anche quindi… che dire, vi ringrazio. Senza di voi sarebbe stato triste. E invece è bello sapere che c’è gente che mi vuole bene (e che me lo dimostra, perché le parole in questi casi servono a poco. Da alcuni me lo aspettavo, da altri è stata una gradita sorpresa. Quindi…. quindi BUON ANNO e buon 2015, spero di essere vostro amico come voi lo siete per me!
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Ma che bello è essere una nuvola. Sei lì, per i fatti tuoi, che fluttui nel cielo... Ma non una nuvola di quelle grandi, rompiballe, che vogliono scatenare la pioggia. Ma una di quelle nuvoline carine piccoline tutte bianche che sembrano uscire da un quadro. Ti metti lì, nel tuo angolino di cielo, che fai la siesta. Ah, che pace. Poi se ti annoi, puoi sempre metterti a pancia in giù e osservare quello che succede nel mondo, ma in modo molto distaccato: tanto a te cosa te ne frega, sei lì nel tuo mondo...
Berndnaut Smilde – "Nimbus II" – 2012 – Hotel MariaKapel, Hoorn
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è Natale… ma io non ci sto dentro
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Ecco qui il mio intervento alla trasmissione Jump il Salto, andata in onda su radio PNR domenica 7 dicembre 2014:
(se non hai sbatti di ascoltare tutto vai al minuto 40:27)
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A m’fuma l’anma (Mi fuma l’anima)
Sono irritatissimo, arrabbiatissimo.
Mangià i arghêss (Mangiare gli avanzi di un pasto precedente)
Sono, letteralmente, ciò che resta in un setaccio o in un ventilabro dopo la vagliatura.
Bôn sul da bacaià (Capace soltanto di blaterare)
Baccagliare è voce regionale, usata anche in lingua, di etimo incerto.
L’è andà ai benvenüti (E’ andato al manicomio)
Modo di dire nato con la creazione dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale, avvenuta a Voghera nel 1876. Nel nuovo moderno e attrezzatissimo nosocomio i malati di mente erano i "benvenuti".
Bat i bruchêt (Battere i chiodi)
Soffrire per il freddo. L’espressione fa riferimento al suono prodotto dal battere dei denti a causa del freddo, molto simile al rumore prodotto dal martello del ciabattino che batte in rapida successione di colpi sui piccoli chiodi che fissano la suola di una scarpa.
L’è negar me un cadnén (E’ nero come una catenella)
La catena che pendeva al centro di ogni camino, alla quale stava di solito appesa, ventiquattr’ore su ventiquattro, qualche pentola, non solo era annerita da decenni, da secoli, dal fumo e dalle scorie della combustione ma era anche un "accessorio" che raramente veniva pulito. L’espressione deve dunque essere interpretata non solo nel significato di sporco, ma anche di moralmente turpe, sordido, in misura aberrante e in modo irreversibile.
Un g’ha ra califòrgna (E’ in bolletta)
Per "california" si intende, nell’Oltrepo Pavese, una malattia della vite – l’oidio – originaria degli USA e giunta in Europa intorno alla metà dell’Ottocento. Per i viticoltori oltrepadani rappresentavano un vero flagello, in grado di distruggere non solo il raccolto di una stagione, ma un intero vigneto, mettendo quindi "in bolletta" il viticoltore.
Trà in casté (Gettare in castello)
Mangiare. Ovvero rinchiuder il cibo all’interno della cintura fortificata e merlata dei…denti.
U farid dnè ins’ra capèla d’un ciood (Riuscirebbe a far soldi sulla capocchia di un chiodo)
Affaristi si nasce.
Dùpi cme na sigùla (Doppio come una cipolla)
Falso, ambiguo.
Avègh r’moort in canténe (Avere il morto in cantina)
Avere un gruzzolo ben nascosto e guardarsi bene dal metterne altri a conoscenza.
U g’ha di pruvèrbi (Ha dei proverbi)
Ha solo chiacchiere, racconta solo favole.
M’è’ndat ar sângu in sacòcia (Mi è andato il sangue in tasca)
Mi sono spaventato e, di conseguenza, sono impallidito.
Mangià ar vidé int’ra pânsa a ra vàca (Mangiare il vitello nella pancia della vacca)
Spendere soldi prima di averli guadagnati, fare debiti prima di sapere se sarà possibile pagarli.
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Da un articolo sulla Fila del 1978: “A Voghera, nell’Oltrepò pavese, sorge la più importante fabbrica italiana di racchette da tennis, sia in ordine di capacità di produzione (potrebbe raggiungere i 250.000 telai l’anno), sia in ordine alle dimensioni dell’unità produttiva: 5.500 metri quadrati di superficie coperta su oltre 10.000 metri quadrai di area complessiva. Questa fabbrica della Fila è operativa da sedici mesi e occupa un centinaio di dipendenti. Ma al di là delle cifre, che servono a dare una dimensione allo stabilimento della fila, è interessante sapere che questa unità vogherese è stata protagonisa , circa due anni or sono, di uno dei più interessanti casi di riconversione industriale del nostro Paese. Là dove oggi si fabbricano racchette, infatti, per decenni e decenni venivano prodotte fibre sintetiche da parte della SNIA Viscosa; gli stessi dipendenti, che oggi con perizia e amore artigianale fabbricano telai, fino a qualche mese fa muovevano complessi macchinari destinati a ben altra produzione. E’ successo che la SNIA, a causa delle difficoltà del mercato delle fibre, ha liquidato l’azienda di Voghera e messo in cassa integrazione i dipendenti. Il meccanismo è fin troppo logico , purtroppo. E’ a questo punto che interviene la Fila, società di grande prestigio nel campo dell’abbigliamento sportivo. D’accordo col Cotonificio Olcese, nel dicembre 1977, preleva lo stabilimento di Voghera e ne fa, in pochi mesi, una fabbrica di racchette. L’investimento iniziale è di un miliardo e mezzo. Il posto di lavoro è salvo per tutti gli operai, anzi qualcuno viene assunto ex novo. La Fila (30 miliardi di fatturato nel 1978) opera da oltre 100 anni nel campo dell’abbigliamento: si è guadagnata un’immagine di azienda seria, al servizio di clienti particolarmente esigenti; c’è da prevedere che la tradizionale serietà e correttezza della Fila saranno sicuramente confermate in questa fase operativa del tutto nuova: la produzione dell’attrezzo. “ Siamo solo agli inizi – commenta il responsabile della ditta – e cerchiamo di operare secondo quanto è emerso dalle precedenti fasi di ricerca, sia tecnologica sia commerciale. Abbiamo considerato tutte le tendenze nel campo delle racchette, abbiamo ascoltato i rivenditori, ci siamo valsi della preziosa esperienza di Martin Mulligan, che è stato un grande giocatore di livello mondiale. A questo punto abbiamo fatto le nostre scelte e abbiamo privilegiato il legno, presentando una gamma diversificata e ragionata di racchette. Dice un nostro slogan pubblicitario: “la Fila ha migliorato un materiale già perfetto in natura, il legno”. Abbiamo puntato su una racchetta che sia tendenzialmente rigida, la più adatta al gioco aggressivo e moderno che oggi si va imponendo. Per legni base, abbiamo scelto il faggio e il frassino, un frassino speciale che cresce solo in Francia: si presenta piuttosto chiaro con fibra longitudinale e col giusto peso specifico per la lavorazione dei telai. Come assoluta novità abbiamo inserito nelle nostre Wud legni grassi, pregiati, mai usati nel tennis: il padouk e il palissandro. Si tratta di legni molto costosi: provengono dai boschi dell’India e dell’Africa, dove il clima particolare favorisce la crescita di alberi dotati di non comune robustezza e rigidità”. La visita allo stabilimento ci ha permesso di prendere atto dell’alta tecnologia e della valida esperienza che presiedono alla produzione di 600 telai al giorno per un totale di 120 mila all’anno. Per chi ama le cifre, diciamo che una racchetta finita (non incordata) nello stabilimento di Voghera, comporta 108 successive operazioni. Di sicuro effetto è una macchina speciale che piega il telaio agendo con una forza impressionante, pari a 4,5 atmosfere, corrispondente ad un peso di 80 chilogrammi. Si capisce che se la serie delle operazioni è stata ben fatta, il telaio deve superare brillantemente anche questa prova.”
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Il neurochirurgo Sergio Canavero sostiene che la tecnologia per fare un trapianto di testa esiste. Si può fare. Funzionerebbe.
In pratica, con questo sistema, si diventerebbe quasi immortali. Hai un corpo che non funziona più? Rischi un infarto? Sei un disabile? Tranquillo, ti fai trapiantare la testa su un nuovo corpo e tutto tornerà a funzionare. Basta attaccare un po’ di fili, cioè un po’ di nervi o cosa cavolo sono e il gioco è fatto. Torni ad avere un corpo giovane e sano. Fantascienza? Lui dice di no.
Ma ci pensate? E con quali conseguenze? Così facendo ti scegli il corpo che più ti aggrada, bello sano, magari in forma, muscoloso. Puoi magari diventare un ragazzino, oppure perché no diventare uomo se sei donna e viceversa. Chissà che casino.
Ma veramente?
E poi scusate, ovviamente dovranno essere cadaveri, cioè corpi di gente morta, ma con il corpo sano. Ma come è possibile? Va be metti uno che muore perché ha preso una botta in testa. E va beh, te la concedo. Ma mica tutti muoiono così, se uno muore, di solito, è perché ha qualcosa nel corpo che non funziona, fosse anche "solo" un foro di proiettile.
E quindi? Ovviamente non ce ne sarebbero per tutti. In questo caso perché non pensare di fabbricarli? Dei bei corpi già pronti per sostituire il precedente.
Si ma che du bal, se uno mi sta antipatico non posso neanche sperare che muoia, devo sorbirmelo…per sempre? Ma anche no.
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Una mattina esco di casa con il sacchetto della spazzatura indefferenziata, quello della plastica e il cartone. C’è una mamma che ha parcheggiato davanti alle suore un po’ in mezzo alla strada e un camioncino aperto che non riesce a passare. Il tizio alla guida scende a protestare. Io passo e ammicco: "Bel parcheggio, eh?" e vado. Lui nel frattempo nota che ho la spazzatura in mano e mi richiama: "Hei capo, butta pure qui tutto". Io gli dico: "No, ma è differenziata". Lui mi risponde "Ma si, tanto poi va tutto insieme". Io gli chiedo: "Ma sei sicuro?" e lui: "Oooooooh!".
Caso a: stava scherzando. E va beh mi ha fatto buttare indifferenziata, plastica e cartone tutto insieme, ma non è la morte di nessuno.
Caso b: è vero. In questo caso mi chiedo: ma perchè io devo essere lo stronzo che in casa ha 4 bidoni della spazzatura? Carta, Plastica, Vetro/Metallo e Indifferenziata. Lo ammetto, l’umido lo butto nell’indifferenziata, tanto ne produco talmente poco, e poi, cazzo, 4 bidoni mi sembrano già eccessivi, ho mezza cucina destinata alla rumenta. (E per inciso il bidoncino ASM dell’umido non me l’hanno mai consegnato, gliel’ho pure chiesto a quelli che passavano in una via vicina alla mia ma mi hanno risposto picche, che sarei dovuto andarmelo a prendere alla sede ASM. Si, come no, faccio prima a comprarmelo). Dicevo: ma perchè io devo fare ‘sto estremo sbattimento se fosse vero che poi va tutto insieme? Facciamo che è vera la prima e che il tizio sia stato un burlone o uno che per simpatia voleva soltanto risparmiarmi la fatica di andare fino al bidone. D’altronde li spostano sempre più lontano, ancora una volta che me li spostano dovrò andare a buttare l’immondizia in macchina.