(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Category: Citazioni Page 9 of 10

Pneumatici

Riporto interamente un articolo pubblicato su Wroar.net, un sito realizzato da chi ama le autovetture in tutti i loro aspetti, riservato a chi ha gli stessi sentimenti, riguardante le "misteriose" misure degli pneumatici. Insomma, tutti quei numerini che ci indicano quali sono gli pneumatici giusti che possiamo mettere sulla nostra macchinina…

(tratto da http://www.wroar.net/pages/misure-sigle-pneumatici.html )

——————————

Spesso ho trovato sui forum specializzati domande sulle dimensioni degli pneumatici e sul misterioso significato di tutte quelle cifre sopra stampigliate. In quest’articolo vi spiegherò cosa significano le

Sigle sugli Pneumatici

Ogni autoveicolo può montare uno o più tipi di gomme con misure e caratteristiche proprie.

E’ importante ricordare come il non montare pneumatici adatti al proprio veicolo può comportato, in caso di controllo, una multa dell’ammontare minimo di 370 euro (fino ad oltre 1400 in caso di non pagamento immediato) ed il ritiro della carta di circolazione (libretto).

Vediamo quindi di capire quali gomme montare sul nostro veicolo e prima ancora cosa significano quei numeri stampigliati sul pneumatico e sul libretto prendendo l’immagine successiva come esempio.

Sigla pneumatico185

: Il primo numero indica la larghezza del pneumatico nel punto più largo, corda, indicato in millimetri.

70: Rapporto d’aspetto o serie. Indica il grado di ribassamento della gomma. In pratica indica la distanza dalla base del cerchio a terra espresso in percentuale rispetto all larghezza. In questo caso specifico la larghezza è 185×0,7=129,5 mm, circa 13 centimetri.

R: Se presente indica che il pneumatico ha una struttura radiale, cioè con le tele montate ad anello. Tali gomme sono molto più sicure di quelle convenzionali poiché sono meno deformabili. Se la R è presente nella sigla richiesta dalla carta di circolazione è obbligatorio montare pneumatici radiali, se mancanti si può scegliere tra un radiale ed un convenzionale.

15: Diametro di calettamento del cerchio, espresso in pollici. Un pollice sono circa 2,54 centrimetri: detto in altre parole… 4 pollici=10 cm. In questo caso indica un cerchio di un diametro di  38,1 cm.

88: Indica il codice o indice di carico. Tale numero è tabellato. (Troverete alcuni esempi in fondo)

T: Indice di velocità. Il valore tabellato (vedi dopo) indica il valore per il quale il pneumatico è stato testato. Questo non significa che se si supera tale limite il pnuematico scoppi, significa però che non è consigliabile farlo perché aumenta il rischio che le prestazioni decadano e, al limite, ceda con conseguenze prevedibili.

PR 10: Indica il numero di tele con le quali è formato. 10 in questo esempio.

DOT 1606: Rappresenta il periodo di fabbricazione della gomma. Le prime due rappresentano la settimana, le ultime l’anno. Questa indicata è stata prodotta la sedicesima settimana del 2006. E’ uno dei valori più importanti di cui tener conto quando si acquista una serie di pneumatici. Una gomma troppo vecchia è molto pericolosa in quanto potrebbe cedere o scoppiare senza preavvisi. E’ consigliabile non acquistare gomme più vecchie di 3 anni.

Altre possibili sigle presenti sono:

TWI: indica il punto dove presenti i segnalatori di usura. Sono dei tasselli che si scoprono quando il battistrada è spesso meno di 1,6 millimetri, il limite di legge oltre il quale è obbligatorio cambiare pneumatico. E’ comunque consigliabile non arrivare a tale valore ma cambiarli sotto i 3 millimetri, poiché una ruota con battistrada eccessivamente consumato è pericoloso in curva, in frenata e soprattutto sull’acqua dove aumenta esponenzialmente il rischio di aquaplanig.

TT: con camera d’aria.

TUBELES: senza camera d’aria. Ricordo che tali gomme sono più sicure poiché in caso di foratura tendono a sgonfiarsi più lentamente di quelle con camera d’aria.

INFLATE MAX 5.0: indica la pressione di gonfiaggio massima ammissibile da quella gomma.

Ex- ex dove x è un numero: indica la sigla di omologazione EU, obbligatoria.

M+S: indica che tale pnuematico è adatto sulla neve. Può essere usato in alternativa alle catene dove tali dispositivi sono obbligatori.

DA: Difetto di aspetto. E’ una stampigliatura applicata a caldo ed indica che tale pneumatico ha qualche difetto. Non necessariamente indica un grave difetto, potrebbe essere anche una stampigliatura venuta male.

Quali pneumatici montare sulla propria vettura?

  • Le misure delle gomme che possono esser usate sul nostro veicolo sono indicate sulla carta di circolazione.
  • Le dimensioni (larghezza, rapporto d’aspetto e diametro del cerchio devono essere le stesse, né più né meno).
  • Gli indici di carico e velocità devono essere almeno quelli indicati sul libretto. Sono ovviamente ammessi carichi della ruota maggiori.

Esempi:

195/60 R16 88T oppure 185/65 R 15 88T : NON possono essere usati rispetto al nostro esempio in quanto nel primo caso la gomma è più larga di quella ammessa, nel secondo più bassa.

185/70 R 15 84T : NON può essere usato in quanto l’indice di carico è inferiore a quello richiesto.

185/70 R 15 90 V : PUO’ esser montato perché le dimensioni sono corrette e gli indici di carico e velocità son superiori a quelli richiesti.

Unica eccezione a tali regole sono le gomme da neve (M+S): è possibile montare pneumatici anche con indice di velocità più basso di quello richiesto a condizione che la sigla sia almeno Q, e che venga riportato nell’abitacolo un’indicazione che ricordi che tale limite. Es. Lim max 170 km/h.

Tabella con indici di carico del pneumatico:

Indice di carico 52 60 66 76 84 90 95 100 104 108 116 122
Peso max (in Kg per ruota) 200 250 300 400 500 600 700 800 900 1000 1250 1500

Tabella con indice di velocità del pneumatico:

Indice velocità L
M N
P Q R S T O H VR
V ZR W Y
Velocità  (Km/h) 120 130 140 150 160 170 180 190 200 210 210+ 240 240+ 270 300

Il re degli Elfi

Chi cavalca così tardi per la notte e il vento?
È il padre con il suo figlioletto;
se l’è stretto forte in braccio,
lo regge sicuro, lo tiene al caldo.

«Figlio, perché hai paura e il volto ti celi?»
«Non vedi, padre, il re degli Elfi?
Il re degli Elfi con la corona e lo strascico?»
«Figlio, è una lingua di nebbia, nient’altro.»

«Caro bambino, su, vieni con me!
Vedrai i bei giochi che farò con te;
tanti fiori ha la riva, di vari colori,
mia madre ha tante vesti d’oro».

«Padre mio, padre mio, la promessa non senti,
che mi sussurra il re degli Elfi?»
«Stai buono, stai buono, è il vento, bambino mio,
tra le foglie secche, con il suo fruscio.»

«Bel fanciullo, vuoi venire con me?
Le mie figlie avranno cura di te.
Le mie figlie di notte guidano la danza
ti cullano, ballano, ti cantano la ninna-nanna».

«Padre mio, padre mio, in quel luogo tetro non vedi
laggiù le figlie del re degli Elfi?»
«Figlio mio, figlio mio, ogni cosa distinguo;
i vecchi salci hanno un chiarore grigio.»

«Ti amo, mi attrae la tua bella persona,
e se tu non vuoi, ricorro alla forza».
«Padre mio, padre mio, mi afferra in questo istante!
Il re degli Elfi mi ha fatto del male!»

Preso da orrore il padre veloce cavalca,
il bimbo che geme, stringe fra le sue braccia,
raggiunge il palazzo con stento e con sforzo,
nelle sue braccia il bambino era morto.

Johann Wolfgang von Goethe

Baciami !

C’était dans un quartier de la ville lumière
Où il fait toujours noir où il n’y a jamais d’air
Et l’hiver comme l’été là c’est toujours l’hiver
Elle était dans l’escalier
Lui à côté d’elle elle à côté de lui
C’était la nuit
Ça sentait le souffre
Car on avait tué des punaises dans l’après-midi
Et elle lui disait
Ici il fait noir
Il n’y a pas d’air
L’hiver comme l’été c’est toujours l’hiver
Le soleil du bon dieu ne brill’ pas de notr’ côté
Il a bien trop à faire dans les riches quartiers
Serre-moi dans tes bras
Embrasse-moi
Embrasse-moi longtemps
Embrasse-moi
Plus tard il sera trop tard
Notre vie c’est maintenant
Ici on crèv’ de tout
De chaud et de froid
On gèle on étouffe
On n’a pas d’air
Si tu cessais de m’embrasser
Il me semble que j’mourais étouffée
T’as quinze ans j’en ai quinze
A nous deux on a trente
A trente ans on n’est plus des enfants
On a bien l’âge de travailler
On a bien celui de s’embrasser
Plus tard il sera trop tard
Notre vie c’est maintenant
Embrasse-moi !

Jacques Prévert

Poe

Io avevo ormai da tempo cessato sia di lottare che di muovermi, ed ero rimasto a sedere immobile sul divano, preda smarrita di un turbine di emozioni violente, tra le quali la meno terribile, la meno divorante era forse un supremo arcano terrore.

(E. A. Poe, "Ligeia")

Un brivido di ghiaccio mi corse per le ossa; mi sentii oppresso da una sensazione d’insopportabile angoscia; una curiosita’ divorante mi pervase l’anima, e ricadendo all’indietro sulla sedia rimasi per qualche tempo immobile e senza fiato, gli occhi fissi sulla sua persona.

(E. A. Poe, "Berenice")


"Vita e Morte", Gustav Klimt, 1908, Leopold Museum, Vienna

Talento

…ma c’é voluto del talento
per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti…

 

Mon amour
Mon doux mon tendre mon merveilleux amour
De l’aube claire jusqu’à la fin du jour
Je t’aime encore tu sais je t’aime

 

(Jacques Brel)

Mater Morbi (2)

Sono sveglio, arriva il dottor Vonnegut. Mi chiama col mio nome e ammette l’errore, è stato un incidente. E’ stato un incidente anche il fatto che il dottor Faber si sia suicidato dopo avermi operato. Strano eh? Fatto che sta che la mia cartella clinica indica una massa di materia oscura nel mio addome. Non si sa di preciso cosa sia, siamo in attesa dei responsi delle analisi. Non so se è colpa della notizia, ma sto subito male, mi viene il sangue dal naso e ho conati di vomito. Ho freddo, il dottore dice che non devo perdere i sensi, ma a me pare di stare scivolando via, lontano dalla luce….fin dentro il buio.

Sono di nuovo con Vincent, gli chiedo dove ci troviamo e mi risponde che siamo nel giardino della consunzione, davanti all’albero delle pene, pieno di corpi morti o moribondi che penzolano. Lo trovo mostruoso, lui è affascinato dalla sua sinistra bellezza, dice che i frutti della sofferenza sono amari, ma hanno fiori bellissimi. Ha quindici anni, ma sembra ne abbia duemila, la malattia lo ha fatto crescere in fretta e lo ha reso forte, almeno nello spirito. Mi fa discorsi senza senso, parlandomi ancora di Mater Morbi, e dicendo che la mia malattia si sta aggravando…piove…

Mi portano in terapia intensiva, l’ultimo avamposto prima del grande nulla. I pazienti possono essere visitati solo dai familiari, uno per volta e per pochi minuti al giorno. Stanze senza finestre, niente televisione, nessun suono aldilà del ronzio delle macchine che tengono in vita i malati più gravi. Qui il paziente non è un uomo ma solamente una macchina guasta e come tale viene trattata. Tutto quello che non è necessario alla sua riparazione è superfluo. Niente vestiti, nemmeno un camice ospedaliero, perché in casi d’emergenza potrebbero intralciare un intervento d’urgenza. Materassi ricoperti di plastica per essere velocemente ripuliti dai fluidi corporei. Medici e infermieri non ti guardano nemmeno in faccia, ma si limitano a controllare i tuoi parametri vitali su un monitor. Nessuno ti ascolta perché i numeri dicono più verità sul tuo conto di quanto tu possa fare con le parole… sempre che tu ce la faccia a parlare…

Il letto si muove, mi spiegano che è un "letto ad assetto dinamico". Ogni cinque minuti sposta il peso del paziente evitando le piaghe da decubito. Deprimente. Sono qui da sette giorni, mi viene solo da piangere. Piangere e dormire, lasciarmi andare…

Ora sono impigliato ai rami di un albero, ma una donna mi libera. Lo capisco subito, è Mater Morbi. Mi accompagna con lei. In realtà mi costringe, ma la scelta è un lusso che a un malato non è concesso. L’unica cosa che può fare è accettare la sua sorte, per quanto amara e dolorosa questa possa essere. Il sogno continua in modo confuso, sempre se si tratta di un sogno, o un’allucinazione. La donna mi offre da bere, poi mi bacia, poi mi incatena e inizia a frustarmi a sangue. Vuol farmi cedere ma io la mando al diavolo. Ma forse anche il diavolo ha paura di lei, è la madre di tutte le malattie. E’ la morsa che mi stringe le ossa, la febbre che mi fa rabbrividire, il dolore che mi mette in ginocchio. E’ quella materia oscura che mi cresce dentro, il mio corpo che impazzisce, il delirio, la disperazione e la pazzia. E alla fine, quando tutto sarà consumato, sarà la mia fine. Si diverte a giocare con me, mi prende in giro, mi vuole umiliare. Poi se ne va, arriva Vincent e mi libera dalle catene, anche se sembra rassegnato al suo destino. Io non lo sono, non voglio esserlo, e tento di fuggire da questo incubo. La donna ritorna, accompagnata da mostruose creature, che scatena contro di me: mi picchiano, mi feriscono, fino a farmi perdere i sensi…

Nel frattempo i dottori stanno decidendo del mio destino. I miei segnali vitali sono sempre più deboli. Per aiutarmi a respirare devono collegarmi ad un macchinario. C’è chi si interroga sull’utilità di questo accanimento terapeutico, ma il dottor Vonnegut insiste, è suo preciso dovere fare di tutto, di tutto, per tenermi in vita, anche in modo artificiale. Il dottor Harker non è d’accordo a prolungare questa agonia, vorrebbe lasciarmi morire dignitosamente, e se ne va sbattendo la porta. Come faccio a sapere tutto questo? Non lo so, continuo a vagare tra la realtà e i sogni, non riuscendo più a discernere quali siano gli uni o gli altri…

Mater Morbi mi sta curando le ferite. Perché lo fa? Vuole tenermi in vita. La verità è che si sente terribilmente sola. Gli esseri umani sono creature bizzarre e certe volte amano le cose più impensate, persino la sofferenza o la morte hanno i loro estimatori, ma la malattia, quella non piace a nessuno. Nessuno la ama. E’ per questo che è costretta a tenersi stretta le persone riducendole in catene.
Alla fine mi da ragione, dice che è così: la gente ha paura della morte, ma è lei che odia veramente. Per secoli le persone hanno preferito morire sui campi di battaglia piuttosto che tra le sue braccia, nei loro letti. E’ stata disprezzata e combattuta sin da quando il genere umano ha visto la luce. Sola contro il mondo intero.
Mi lascia libero.

L’infermiera corre ad avvertire il dottor Vonnegut: il paziente numero 13… no, non è morto… si è svegliato! Nonostante le sue condizioni critiche i segni vitali sono tutti in ripresa e senza alcun intervento farmacologico.

Casa, dolce casa, credevo che non l’avrei mai più rivista. Tutto mi sembra nuovo e allo stesso tempo familiare, diverso e uguale, estraneo e intimo. Mi sveglio la mattina presto e continuo ad aspettarmi di veder spuntare un’infermiera con una siringa in mano. Solo quando mi rendo conto che non arriverà mi decido ad alzarmi. Mi muovo con cautela, come avessi paura che qualcosa in me si possa di nuovo rompere, che qualche cucitura possa riaprirsi. Poi, lentamente, la mia vita riprende il suo corso normale. Anche se, probabilmente, tanto normale non sarà mai.

Il dottor Harker ha alzato un gran polverone con i media, e oggi per tutto il paese si discute di accanimento terapeutico, testamento biologico e suicidio assistito. Personalmente, sono convinto che chiunque sia in possesso delle sue facoltà mentali debba anche essere padrone del proprio destino, specie se quel destino è fatto di atroci sofferenze. D’altra parte, nel caso in cui io non fossi in grado di esprimere la mia opinione o non avessi lasciato alcuna disposizione, non vorrei mai che qualcuno decidesse della mia vita al posto mio. In fondo, chi sono io per mettere in dubbio i miracoli?

(Trallo, un po’ liberamente, da Mater Morbi, in Dylan Dog n280, Gennaio 2010, Copyright Sergio Bonelli Editore, sceneggiatura Roberto Recchioni, disegni di Massimo Carnevale)

Mater Morbi comics trailer from Massimo Carnevale on Vimeo.

Mater Morbi (1)

C’è stato un tempo in cui avevo un nome… c’è stato un tempo in cui avevo un lavoro… c’è stato un tempo in cui ero un uomo… qualsiasi cosa questo significhi. Poi le cose sono cambiateLa malattia mi ha cambiato.
Sono stato  male e sono stato ricoverato in ospedale. Non sto bene, forse non starò bene mai più. Risonanza magnetica… è così che la chiamano. I dottori mi hanno spiegato che questa macchina bombarda il corpo di onde radio e permette una scrupolosa indagine diagnostica. Come sono arrivato qui dentro? Quand’è che la mia vita ha cominciato a finire? Credo che il primo segnale sia stato una leggera influenza. Mi sono prescritto da solo un paio di aspirine e sono andato avanti con la mia vita. Poi è arrivato il tremore alle mani e la debolezza nelle gambe. Ho pensato di aver esagerato con i medicinali e li ho sospesi. A quel punto ho cominciato ad avere problemi alla vista e le vertigini. Mi sentivo malissimo e sarei dovuto andare subito da un dottore, ma le malattie mi spaventano a morte e, come ogni buon ipocondriaco che si rispetti, i dottori mi spaventano ancora di più. Quando vado da un medico ho sempre paura che scopra che sono affetto da qualche male incurabile e mortale. E’ per questo che non ci vado mai, preferisco non sapere.

Sono al Royal Free Hospital, la mia nuova casa. Il professor Faber, un luminare nel campo della medicina diagnostica dice che hanno escluso tutte le patologie mortali conosciute. Dovrebbe essere una buona notizia, ma il fatto che la cosa che mi sta uccidendo non abbia nemmeno un nome non mi è di gran consolazione. Mi hanno messo il lista per un’altra serie di esami, per andare maggiormente a fondo del problema,  “chirurgia endoscopica”… insomma si trattava di infilarmi dei tubi dentro al corpo. Sembrano tutte cose dolorose, ma sarebbero state fatte in anestesia locale o generale, come se questo dovesse rassicurarmi: l’unica cosa che mi terrorizza di più di un intervento chirurgico è l’anestesia, è come fare un salto nel vuoto, lontano dalla luce, fin dentro il buio.

Mi risveglio in una stanza fredda e vuota, c’è una vecchia infermiera strana, che mi dice, mentre fuma una sigaretta, di non conoscere nessun dottor Faber. Io mi alzo, sono debolissimo, mi alzo il camice e vedo una lunghissima ferita chiusa alla bell’e meglio, come fossi un maialino ripieno. Svengo.

Mi riprendo, ho la vista annebbiata e vedo un dottore. Non è Faber, dice di chiamarsi Vonnegut e mi chiama “signor Carver”. Io non mi chiamo Carver! Non sono confuso come dicono loro, voglio andarmene da qui, voglio parlare col mio dottore. Arrivano gli inservienti , mi costringono a letto, mi danno un sedativo, dicono che sono sotto shock. Tento di spiegargli chi sono, ma il sedativo fa effetto e perdo nuovamente i sensi.

Ho un incubo tremendo: sono a casa, finalmente, ma l’amico che è con me si trasforma in un mostro e mi dice che Lei mi vuole. Lei chi? “Mater Morbi”. Poi appare un ragazzino, Vincent, sono di nuovo in ospedale. Mi spiega che è normale il fatto che i dottori non mi riconoscano, l’identità è la prima cosa che Lei ti strappa via, poi ti toglie la dignità e alla fine si prende la tua stessa vita. Mi guardo allo specchio, sembro un letto sfatto, ma questo è solamente l’inizio: Lei mi consumerà poco a poco, fino a quando non si sarà stancata di me.

L’ospedale è il luogo dove ci si sente più soli al mondo. Non conta quanta gente possa venire a farti compagnia e a darti il suo sostegno: la distanza che passa tra sani e malati è uno spazio infinito che neanche l’amore può colmare. La malattia mette chi ne viene colpito fuori del consorzio umano. E per quanto amici e parenti possano volerti bene, nella parte più atavica del loro cervello ci sarà sempre un uomo delle caverne ansioso di allontanarsi dall’animale infetto che sei diventato. Del resto, agli occhi di chi sta male, quelli in salute saranno sempre manchevoli, perché incapaci di comprendere il loro bisogno, perché ignari della loro sofferenza e perché colpevoli di potersene andare sulle proprie gambe.
Il malato è un vampiro assetato di vita e poco importa quante lacrime vengono versate per lui… non saranno mai abbastanza da placare la sua sete. La malattia non celebra alcuna comunione. I letti di una stanza d’ospedale sono come le camere di scoppio di un revolver, con i pazienti a fare da proiettili e la guarigione come unico obiettivo…quello che conta è colpire il bersaglio personalmente, perché non c’è alcuna ricompensa nel successo degli altri.
Nessuno è triste nell’abbandonare un ospedale, e quel lieve senso di rammarico per i compagni di sventura lasciati indietro si scioglierà come neve al sole appena tornati in libertà. Qualcuno ha detto che nessun uomo è un’isola, ma sono ragionevolmente certo che a dirlo è stata una persona in buona salute.

(continua domani…)

Energia del sole

Un articolo che parla del mio amico Rudy tratto da "La Provincia Pavese" del 14 novembre 2009:

Ottobiano, energia dal sole

OTTOBIANO. E’ stato inaugurato ieri alla cascina Bonaparte il parco fotovoltaico «Papà Pierino», il più grande impianto a film sottile d’Italia, realizzato dalla famiglia Sacchi. La Lomellina diventa capitale degli impianti a fonti rinnovabili con un investimento da 24 milioni di euro.  Il progetto è dell’azienda agricola Afelio, presieduta da Rodolfo Sacchi, che ha ricevuto la collaborazione tecnica di Enel.si, società di Enel Green Power. L’impianto a terra è costituito da 59.040 pannelli fotovoltaici con una potenza installata superiore a 4 megawatt, produrrà oltre 5 milioni di chilowattora l’anno e sarà in grado di soddisfare il fabbisogno di 1.900 famiglie. Sotto l’aspetto ambientale, saranno evitate 3mila tonnellate l’anno di emissioni di anidride carbonica. Intorno alla cascina, 17 ettari di risaie e campi di mais sono stati convertiti in più di 4 megawatt di energia solare.  L’impianto fotovoltaico, collegato alla rete elettrica già da alcuni mesi, è stato realizzato con pannelli solari a film sottile, che garantiscono una buona risposta alle alte temperature e alla luce diffusa. «Questo impianto, intitolato alla memoria di mio padre, rappresenta l’inizio di un percorso industriale che ci porterà nel prossimo anno a realizzare impianti per almeno 30 megawatt di potenza – ha commentato Sacchi -. Ora siamo pronti per sbarcare nel Sud d’Italia».  Il taglio del nastro è stato affidato a Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo Economico. Poco prima avevano parlato il vice presidente della Provincia, Marco Facchinotti, e il sindaco di Ottobiano, Giuseppe Campeggi; presente anche l’onorevole Carlo Nola. «Oggi la Lomellina è minacciata da progetti che non tutelano l’ambiente: qui a Ottobiano hanno fatto esattamente l’opposto», ha detto Facchinotti.

Umberto De Agostino


(Foto tratta da Ottoblog.it)

 

Dateci le date

Scusate se anche oggi "prendo a prestito" un editoriale di Alberoni, si vede che quello che scrive è in sontonia col mio pensiero:

Studiare le date a scuola fa capire l’identità del Paese

Negli ultimi quarant’anni i pedagogi­sti hanno quasi distrutto le basi del pensiero razionale e i fondamenti del­la nostra civiltà. L’hanno fatto con una sola decisione: eliminando le date, to­gliendo dalle scuole l’obbligo di mettere i fatti in ordine cronologico. Ormai è nor­male sentirsi dire che Manzoni è vissuto nel 1500. Ma non c’e da meravigliarsi, perché nella scuola non si insegna più a porre gli accadimenti nel loro ordine tem­porale dicendo, per esempio, che Ales­sandro Magno è vissuto prima Cesare, questo prima di Carlo Magno e solo do­po viene Dante e, in seguito, Cristoforo Colombo.

Questa pedagogia è stata copiata da­gli Stati Uniti, un Paese senza storia che cerca di annullare le radici storiche deisuoi abitanti per farne dei cittadini. Ma applicarla all’Italia, che è il prodotto di una stratificazione storica di 3000 anni e all’Europa che ha radici culturali gre­che, romane e giudaico-cristiane, vuol di­re distruggerne l’identità. Al contrario di noi la civiltà Islamica e quella Cinese studiano accanitamente la propria sto­ria per conoscersi e rafforzarsi.

Ma perdere la capacità di porre gli ac­cadimenti in ordine cronologico vuol di­re perdere anche la propria identità per­sonale. Quando domandiamo a qualcu­no «Chi sei?», ci racconta cosa ha fatto e sta facendo. Quando cerchiamo lavoro presentiamo il nostro curriculum. Quan­to ci innamoriamo raccontiamo al no­stro amato la nostra vita. Oggi c’e molta gente che non sa più mettere in ordine ciò che ha vissuto, e vede il proprio pas­sato come un insieme caotico di accadi­menti.

Il disordine del modo di pensare si ri­flette nella lingua. Nelle scuole non si in­segnano più la grammatica, l’analisi lo­gica e la «consecutio temporum». Diver­si ragazzi non distinguono il passato prossimo da quello remoto, non capisco­no la logica del congiuntivo e del condi­zionale e alcuni confondono addirittura il presente con il futuro. E’ il disfacimen­to mentale, la demenza.

Caro ministro Gelmini, la prego, mi ascolti, mandi via tutti i pedagogisti di questa nefasta corrente; poi faccia fare un corso di storia con le date e uno di grammatica italiana a tutti gli insegnan­ti. Infine imponga ai presidi di mettere in ogni aula un grande poster orizzonta­le in cui sono segnati in ordine cronologi­co tutti gli episodi significativi della sto­ria, in modo che i nostri ragazzi possano abituarsi alla loro successione tempora­le. Una stampella per il loro cervello.

Francesco Alberoni
Corriere della Sera, 2 novembre 2009

Eugenio

L’errore di confondere la genialità con l’intelligenza
di Francesco Alberoni
tratto da Corriere della Sera del 21 settembre 2009

Come abusiamo della parola genio! Un bravo avvocato, un bravo medi­co, un bravo manager, un bravo affari­sta, un bravo conduttore vengono subito considerati dei «geni». No, il genio non è un uomo più intelligente o più abile de­gli altri, ma uno che pensa in modo diver­so e fa cose che essi non potrebbero mai fare. Alcuni eccellono in un solo campo, per esempio la musica, come Mozart o Beethoven, altri in diversi campi, come Michelangelo, che era scultore, pittore ed architetto. O Leonardo, che si poneva problemi inimmaginabili nella sua epo­ca, o Galileo, che ha rivoluzionato la fisi­ca e l’astronomia.

I geni militari fanno mosse che agli al­tri non verrebbero mai in mente perché guardano dove guardano tutti. Napoleo­ne a Tolone con un colpo d’occhio ha vi­sto che spostando l’artiglieria in un luo­go diverso, la flotta inglese sarebbe sta­ta sconfitta. Cesare a Fàrsalo ha lancia­to un attacco da un punto così impreve­dibile che l’esercito nemico è fuggito nel panico. Spesso essi hanno anche una grande versatilità. Napoleone ha rifor­mato i codici e l’urbanistica, Cesare era un bravo ingegnere e un grande scritto­re, Alessandro un fondatore di città.

Non sempre queste straordinarie ca­pacità portano ad una personalità armo­nica. I grandi uomini compiono anche azioni sconcertanti, esagerate, o errori grossolani. Alessandro beveva in modo smodato, Napoleone si è fatto intrappo­lare a Mosca, Cesare ha licenziato la sua scorta appena prima di essere ucciso. E tutti e tre avevano spaventosi eccitamen­ti nervosi che sfociavano in crisi epiletti­che. Ma è sbagliato associare genio a sre­golatezza. La sregolatezza è più frequen­te nei mediocri che si abbandonano ad eccessi, esagerano per differenziarsi da­gli altri, per apparire originali. I veri ge­ni invece sono capaci di progetti a lungo termine, sono estremamente rigorosi e si prendono cura anche dei minimi detta­gli perché non sopportano ciò che non è perfetto.

Un’altra caratteristica del genio è che riesce sempre a vedere la soluzione più semplice, più diretta, quella che, succes­sivamente, gli altri troveranno ovvia. Ma che sia ovvia lo vedono solo dopo, prima la ritenevano irrealizzabile, assur­da. Il giudizio che soprattutto i colleghi e gli addetti ai lavori danno del genio è per­ciò quasi sempre sbagliato: prima lo con­siderano troppo fantasioso, poi banale. E nemmeno il conclamato riconoscimen­to li rende obbiettivi perché se prima lo deridevano, dopo lo invidiano.

Il corvo

Una volta in una fosca mezzanotte, mentre io meditavo, debole e stanco, sopra alcuni bizzarri e strani volumi d’una scienza dimenticata; mentre io chinavo la testa, quasi sonnecchiando – d’un tratto, sentii un colpo leggero, come di qualcuno che leggermente picchiasse – pichiasse alla porta della mia camera. «È qualche visitatore – mormorai – che batte alla porta della mia camera.» Questo soltanto, e nulla più.

Ah! distintamente ricordo; era nel fosco Dicembre, e ciascun tizzo moribondo proiettava il suo fantasma sul pavimento. Febbrilmente desideravo il mattino: invano avevo tentato di trarre dai miei libri un sollievo al dolore – al dolore per la mia perduta Eleonora, e che nessuno chiamerà in terra – mai più.

E il serico triste fruscio di ciascuna cortina purpurea, facendomi trasalire – mi riempiva di tenori fantastici, mai provati prima, sicchè, in quell’istante, per calmare i battiti del mio cuore, io andava ripetendo: «È qualche visitatore, che chiede supplicando d’entrare, alla porta della mia stanza. Qualche tardivo visitatore, che supplica d’entrare alla porta della mia stanza; è questo soltanto, e nulla più».

Subitamente la mia anima divenne forte; e non esitando più a lungo: «Signore – dissi – o Signora, veramente io imploro il vostro perdono; ma il fatto è che io sonnecchiavo: e voi picchiaste sì leggermente, e voi sì lievemente bussaste – bussaste alla porta della mia camera, che io ero poco sicuro d’avervi udito». E a questo punto, aprii intieramente la porta. Vi era solo la tenebra, e nulla più.

Scrutando in quella profonda oscurità, rimasi a lungo, stupito impaurito sospettoso, sognando sogni, che nessun mortale mai ha osato sognare; ma il silenzio rimase intatto, e l’oscurità non diede nessun segno di vita; e l’unica parola detta colà fu la sussurrata parola «Eleonora!» Soltanto questo, e nulla più.

Ritornando nella camera, con tutta la mia anima in fiamme; ben presto udii di nuovo battere, un poco più forte di prima. «Certamente – dissi – certamente è qualche cosa al graticcio della mia finestra.» Io debbo vedere, perciò, cosa sia, e esplorare questo mistero. È certo il vento, e nulla più.

Quindi io spalancai l’imposta; e con molta civetteria, agitando le ali, si avanzò un maestoso corvo dei santi giorni d’altri tempi; egli non fece la menoma riverenza; non esitò, nè ristette un istante ma con aria di Lord o di Lady, si appollaiò sulla porta della mia camera, s’appollaiò, e s’installò – e nulla più.

Allora, quest’uccello d’ebano, inducendo la mia triste fantasia a sorridere, con la grave e severa dignità del suo aspetto: «Sebbene il tuo ciuffo sia tagliato e raso – io dissi – tu non sei certo un vile, orrido, torvo e antico corvo errante lontanto dalle spiagge della Notte dimmi qual’è il tuo nome signorile sulle spiagge avernali della Notte!» Disse il corvo: «Mai più».

Mi meravigliai molto udendo parlare sì chiaramente questo sgraziato uccello, sebbene la sua risposta fosse poco sensata – fosse poco a proposito; poichè non possiamo fare a meno d’ammettere, che nessuna vivente creatura umana, mai, finora, fu beata dalla visione d’un uccello sulla porta della sua camera, con un nome siffatto: «Mai più».

Ma il corvo, appollaiato solitario sul placido busto, profferì solamente quest’unica parola, come se la sua anima in quest’unica parola avesse effusa. Niente di nuovo egli pronunziò – nessuna penna egli agitò – finchè in tono appena più forte di un murmure, io dissi: «Altri amici mi hanno già abbandonato, domani anch’esso mi lascerà, come le mie speranze, che mi hanno già abbandonato». Allora, l’uccello disse: «Mai più».

Trasalendo, perchè il silenzio veniva rotto da una risposta sì giusta: «Senza dubbio – io dissi – ciò ch’egli pronunzia è tutto il suo sapere e la sua ricchezza, presi da qualche infelice padrone, che la spietata sciagura perseguì sempre più rapida, finchè le sue canzoni ebbero un solo ritornello, finchè i canti funebri della sua Speranza ebbero il malinconico ritornello: «Mai, – mai più».

Ma il corvo inducendo ancora tutta la mia triste anima al sorriso, subito volsi una sedia con ricchi cuscini di fronte all’uccello, al busto e alla porta; quindi, affondandomi nel velluto, mi misi a concatenare fantasia a fantasia, pensando che cosa questo sinistro uccello d’altri tempi, che cosa questo torvo sgraziato orrido scarno e sinistro uccello d’altri tempi intendea significare gracchiando: «Mai più».

Così sedevo, immerso a congetturare, senza rivolgere una sillaba all’uccello, i cui occhi infuocati ardevano ora nell’intimo del mio petto; io sedeva pronosticando su ciò e su altro ancora, con la testa reclinata adagio sulla fodera di velluto del cuscino su cui la lampada guardava fissamente; ma la cui fodera di velluto viola, che la lampada guarda fissamente Ella non premerà, ah! – mai più!

Allora mi parve che l’aria si facesse più densa, profumata da un incensiere invisibile, agiato da Serafini, i cui morbidi passi tintinnavano sul soffice pavimento, «Disgraziato! – esclamai – il tuo Dio per mezzo di questi angeli ti ha inviato il sollievo – il sollievo e il nepente per le tue memorie di Eleonora! Tracanna, oh! tracanna questo dolce nepente, e dimentica la perduta Eleonora!» Disse il corvo: «Mai più».

«Profeta – io dissi – creatura del male! – certamente profeta, sii tu uccello o demonio! Sia che il tentatore l’abbia mandato, sia che la tempesta t’abbia gettato qui a riva, desolato, ma ancora indomito, su questa deserta terra incantata in questa visitata dall’orrore – dimmi, in verità, ti scongiuro. Vi è – vi è un balsamo in Galaad? dimmi, dimmi – ti scongiuro». Disse il corvo: «Mai più».

«Profeta! – io dissi – creatura del male! – Certamente profeta, sii tu uccello o demonio! Per questo Cielo che s’incurva su di noi – per questo Dio che tutti e due adoriamo – di’ a quest’anima oppressa dal dolore, se, nel lontano Eden, essa abbraccerà una santa fanciulla, che gli angeli chiamano Eleonora, abbraccerà una rara e radiosa fanciulla che gli angeli chiamano Eleonora». Disse il corvo: «Mai più».

«Sia questa parola il nostro segno d’addio, uccello o demonio!» – io urlai, balzando in piedi. «Ritorna nella tempesta e sulla riva avernale della notte! Non lasciare nessuna piuma nera come una traccia della menzogna che la tua anima ha profferita! Lascia inviolata la mia solitudine! Sgombra il busto sopra la mia porta!». Disse il corvo: «Mai più».

E il corvo, non svolazzando mai, ancora si posa, ancora è posato sul pallido busto di Pallade, sovra la porta della mia stanza, e i suoi occhi sembrano quelli d’un demonio che sogna; e la luce della lampada, raggiando su di lui, proietta la sua ombra sul pavimento, e la mia, fuori di quest’ombra, che giace ondeggiando sul pavimento non si solleverà mai più!

Edgar Allan Poe

Impossibile is nothing

Per me il giro del mondo in barca a vela, e la vela in generale, si differenzia dagli altri sport perché non ti da né soldi, né successo, né gloria, però ti da estetica e poesia. Ecco per me queste cose non sono comprabili.Io penso che qualsiasi persona se dentro di sé ricorda quando aveva diciotto o vent’anni… forse non tutti pensavano di fare il giro del mondo in barca a vela ma qualcosa di simile, qualcosa di grandioso e senza prezzo… ecco io in questo senso sono infantile, ma sono contento di esserlo stato.

Ambrogio Fogar

Migliorarsi la vita

Moooolti anni fa ero abbonato alla rivista Millionaire, diretta dal funambolico ed elettrizzante Virgilio Degiovanni.
Il mese scorso ho preso il nuovo numero e ho trovato un suo editoriale molto interessente, in risposta ad un lettore che lo accusava di essere un "venditore di illusioni".  Eccone alcuni punti:

[…] la vita non è un sogno né i sogni aiutano a vivere meglio. Ma trasformare la vita in un sogno è possibile. Ci sono persone che pensano che tutto sia deciso e altre che provano a cambiare il loro destino. Noi amiamo quest’ultimo tipo di persone. Che siano imprenditori o navigatori, poeti o meccanici. Il successo che ci piace non è la ricchezza finanziaria fine a se stessa, ma fare della propria vita ciò che si desidera. È possibile? Si. […]
[Ognuno può decidere] se gli basta l’indispensabile per godersi paesaggi mozzafiato o preferisce diventare il più ricco del cimitero.
Avere successo mettendosi in proprio non è facile e nulla è scontato. E pochi ci riescono perché, come nel Monopoli, sono ugualmente importanti le carte degli “imprevisti” e delle “probabilità”. Ma se si è preparati e si conoscono le regole principali, nulla è impossibile. L’Italia non è il Paese più facile del mondo dove fare impresa, lo dicono anche le statistiche internazionali. In ogni caso intraprendere e mettersi in proprio non è obbligatorio. Si può accarezzare l’idea tutta la vita e vivere felici lo stesso senza farlo. Si può farlo e miseramente fallire. Ma magari riuscire in altri tentativi. Prima di pensare a fatturare “milioni su milioni”, se vuole un consiglio, focalizzi un suo talento particolare. E lavori su quello senza risparmiarsi. Il resto verrà da solo. Ho iniziato a intraprendere alla fine del 1987. Capitale da me personalmente impiegato: 7 milioni di lire, 3500 euro di oggi. Non ho mai ricevuto un vero e proprio finanziamento bancario in vita mia. E non mi sono mai ritenuto un eroe.
 

 

Facebook è per le persone anziane

In questo articolo apparso sul Time viene proposta una tesi per cui FB sarebbe adatto alle persone di una certa età. Non ci credete? Ecco le motivazioni per te che non sei più giovane:

  1. FB serve per trovare persone di cui hai perso traccia. I non-giovani hanno molta più gente di cui si sono perse le tracce di un giovane, che è ancora in contatto coi suoi amici, compagni di scuola, ecc.
  2. Stai ancora aspettando che qualcuno ti telefoni, ma quelli che prima ti chiamavano adesso chiedono la tua amicizia su FB
  3. Non hai foto in cui sei ubriaco ad una festa mentre tieni bottiglie di birra in posizioni suggestive…
  4. FB non è solo un social network, è una rete aziendale.
  5. Sei pigro. Lavori, hai famiglia e figli e il tempo per cercare notizie da altri è poco.
  6. Sei abbastanza vecchio per fare in modo che le foto della scuola o della colonia estiva non ti rappresentano, per riconoscerti dovresti essere taggato.
  7. Hai dei figli. ogni genitore vuol mostrare le foto dei propri figli. FB è il modo milgiore per farlo.
  8. Sei troppo vecchio per ricordarti indirizzi email
  9. Non capisci come si usa twitter. Non lo conscepisci. FB è molto più semplice.
  10. Non sei cool, ma non ti importa. C’è stato un momento in cui non era bello esserre su FB, ma quel tempo è lontano

 

Tristezza

Interrogo la tristezza e scopro
che non ha il dono della parola;
eppure, se potesse,
sono convinto che pronuncerebbe
una parola più dolce della gioia.

Kahlil Gibran

Page 9 of 10

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén