(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Category: Citazioni Page 8 of 10

Avvocata nostra

Per una donna si dice "avvocato" o "avvocata" ? Lo so che io mi disturbo il sonno con queste questioni di lana caprina, ma è un pour parler, poi ognuno fa come meglio crede…

Ho trovato spunti interessanti nella pubblicazione "Donne, politica e istituzioni. Percorsi, esperienze e idee" a cura di Maria Antonella Cocchiara, edita da Aracne Editrice. Contiene un saggio di Lucrezia Zingale dal titolo "Donne e linguaggio: la cultura della differenza". L’autrice, citando diverse fonti, compie un viaggio attraverso gli ultimi decenni di discussioni sul genere delle parole, rilevando il fatto che molte parole in uso nelle varie lingue, e in quella italiana nella fattispecie, hanno da sempre avuto solo la forma maschile (lo definisce "linguaggio sessista"). Il perchè e il percome e il comemai bisogna cambiare le cose lo lascio a voi. L’autrice riporta le origini di questa discussione, che nascono dal movimento femminista, quando per esempio consigliò l’abolizione dei termini "Signora / Signorina", ritenuti asimmetrici rispetto al termine "Signor", utilizzato per gli uomini, perchè identificano le donne non rispetto a se stesse, ma in relazione a qualcun altro. Il pensiero femminista ha aperto una riflessione sul fatto che l’uso della lingua riflette differenze legate al sesso / genere.

In Europa gli studi sulla rappresentazione linguistica di uomini e donne e
sul carattere discriminatorio riscontrabile in certi usi della lingua cominciano
a presentare una certa vitalità intorno alla fine degli anni Novanta. Essi partono
dalla considerazione che il principio del maschile come genere dominante,
variamente parametrizzato in ciascuna lingua, è causa alternativamente
di invisibilità e di eccessiva visibilità delle donne: da un lato ne oscura la presenza,
nascondendole sotto una morfologia maschile, e dall’altro, qualora
venga usato il femminile anziché il maschile, ne enfatizza la presenza, così da
farla apparire deviante rispetto alla norma.

Da qui nascono delle riflessioni sulla necessità di un nuovo uso della lingua. Ma come? Prima una premessa:

Il linguaggio è soggetto a modificazioni nel tempo, esso si contamina ed
arricchisce di nuove forme e di nuovi vocaboli.
Se mettiamo a confronto i testi di oggi con quelli di un secolo fa ci accorgiamo
che il linguaggio utilizzato è profondamente diverso: termini in disuso,
arcaici e termini di nuovo conio. Diversi i vocaboli, diverse le forme lessicali
e grammaticali.

e ancora:

Il linguaggio si modifica e risente della storia, della cultura, delle tradizioni
e delle abitudini. […] L’italiano, per esempio, come molte altre lingue distingue sul piano formale
tra genere femminile e genere maschile. La scelta fra l’uno e l’altro genere
grammaticale non è neutra ed ha risentito di una tradizione nella quale,
inevitabilmente, si sono stratificate le convenzioni sociali determinate, a loro
volta, dalle caratteristiche storiche e culturali delle varie epoche.
[…]

Eppure se nuove parole entrano con naturalezza nel linguaggio corrente,
tra la gioventù in particolare, per alcune di esse, per il linguaggio di genere ad
esempio, non si riesce a trovare uno spazio. L’introduzione di termini nuovi,
professionalizzanti per le donne, come dottora, avvocata, ministra, questora,
magistrata etc., viene osteggiata in ogni modo con diverse giustificazioni:
«suona male», «non è corretto», «è inutile, non serve», «vi sono altri vocaboli
sostitutivi», «esistono vocaboli neutri che si riferiscono a uomini e donne»,
«perché forzare la lingua», «che motivo c’è di cambiare se uomini e donne
sono uguali» etc.
In realtà le resistenze si registrano anche tra le stesse donne che spesso
preferiscono definirsi al maschile, forse perché si sentono più titolate e riconosciute
nel mondo degli uomini.

[…]

È necessario oggi, alla luce dei cambiamenti avvenuti nella società e al fine
di costruire la coscienza di tali innovazioni, rinnovare la lingua, introdurre
e utilizzare parole nuove di genere femminile, mutare il significante, cioè la
forma di una parola (sia essa un sostantivo o una forma verbale) usata fino ad
oggi solo al maschile, affinché essa denoti un referente femminile.
Non possono essere invocate ragioni di grammatica, sintassi, morfologia
per giustificare il conservatorismo.
Prima non esisteva la donna magistrata, ministra, avvocata (qualcuna).
Erano ruoli maschili e come tali erano definiti. Non era necessario ripensare a
queste professioni al femminile perché nessuna donna ricopriva la carica o il
ruolo.

Infine, citando SABATINI A. (1987), Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, in EAD., Il sessismo nella lingua italiana con la collaborazione di Marcella Mariani e la partecipazione alla ricerca di Edda Billi, Alda Santangelo, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma:

Nella sezione dedicata a “titoli, cariche, professioni, mestieri” la Sabatini
raccomanda di
1. Evitare di usare il maschile di nomi di mestieri, professioni, cariche, per segnalare
posizioni di prestigio quando il femminile esiste ed è regolarmente usato
solo per lavori gerarchicamente inferiori e tradizionalmente collegato al
“ruolo” femminile (amministratrice unica, segretaria generale) […]
2. Evitare di usare al maschile nomi di cariche che hanno la regolare forma femminile
(senatrice, notaia) […]
3. Evitare di usare al maschile, con articoli e concordanze
maschili, nomi epiceni (la stessa forma ha doppia valenza maschile e
femminile) o di formare un femminile con l’aggiunta del suffisso –essa, o anteponendo
o posponendo il modificatore donne (la parlamentare, la preside, la
comandante, la presidente) […]

4. Evitare di usare al maschile o di femminilizzare
con il suffisso –essa nomi di professione che hanno un regolare femminile
in –a (deputata, avvocata è un participio passato dal latino advocatus, advocata);
vedi la preghiera “Salve Regina”; Eia ergo, advocata nostra […]
(Satta, 1971) […]
5. Evitare di usare al maschile o di femminilizzare con il
suffisso –essa sostantivi riferiti a professioni e cariche il cui femminile può
esser formato senza recar disturbo alla lingua (la ministra, la sindaca) […]
6. Evitare di usare al maschile o con il modificatore “donna” i seguenti nomi
terminanti in –tore (pretora)

In realtà quello che è successo, e quello che io penso, è che la lingua si forma e si trasforma da sola. Nessuna imposizione "dall alto" hai mai fatto presa, perchè alla fine è la lingua comune, qualla usata, quella parlata, che vince. E se è uso comune dire "la preside", è altrettanto comune rivolgersi ad una legale come all’avvocato Taldeitali e non come avvocatessa nè tantomeno avvocata (quest’ultimo, lasciamolo riferito alla Madonna, che va benissimo…)

Povero Silvio

Povero Silvio… Nessuno capisce il dramma di quest’uomo… Arriva il suo compleanno e nessuno sa cosa regalargli:
Libri… ha già sette case editrici.
Televisioni… ne ha tre.
Videocassette… tutti i cinema sono suoi.
Abbonamento allo stadio… il Milan è suo!
Quest’anno gli faccio una busta coi soldi e ci pensa lui… Altrimenti cosa gli regalo?
E’ tutto suo! Nella busta ci metto cinquanta euro e ci pensa lui… il povero Silvio!
Molti mi chiedono quanti anni ha Silvio… Io non lo so, comunque  ne dimostra meno.

Povero Silvio…Ha fatto un’ottima legge Gasparri sull’informazione, che garantisce il pluralismo e la democrazia… e tutti lo criticano.
Una legge a favore della sinistra che lascia le tre reti Mediaset in mano alla sinistra e le tre reti RAI… pure… e si lamentano.
Sapete quanti dipendenti ci sono in RAI? 10.000. E di questi 9.997 sono… di sinistra. Solo tre sono di destra: il direttore, il vicedirettore e il vice vicedirettore!! La disparità a favore della sinistra è evidente. Gli abbiamo lasciato anche il digitale terrestre… Cosa volevano, anche il digitale extraterrestre?

(tratto da "Povero Silvio" di Antonio Cornacchione)
 

Non rapinate il salumiere

Leggete l’articolo qui sotto tratto da "La Repubblica". Ma come è possibile che quel maledetto razzista di un salumiere abbia osato aggredire un povero rapinatore? In fondo quello non stava cercando di fare nulla di male. E poi non si lamenti quando questi, vista l’arroganza e la prepotenza del negoziante, gli ha sparato un colpo di rivoltella. Inaudito, oggigiorno non è possibile neanche fare una rapina che subito ti sparano. Io gli darei il massimo della pena, secondo me è tentato omicidio volontario, io a quello gli darei l’ergastolo e butterei via la chiave. L’Italia è un paese civile che accoglie tutti a braccia aperte, e quell’uomo ha infangato il buon nome di una nazione. Suvvia, fatti rapinare e stai zitto!

Rapina in salumeria a Milano
ferito il titolare, è gravissimo

L’uomo, 56 anni, è stato ferito all’addome da colpi di arma da fuoco e trasportato all’ospedale
Fatebenefratelli in condizioni critiche. Il negozio è in via Mac Mahon: sul posto è intervenuto il 113

di MASSIMO PISA

Ha la forza per chiamare la moglie Michela al cellulare: "Mi hanno sparato". Ha un proiettile nell’addome, Giovanni Ravanotto: gliel’ha sparato da un metro il bandito incappucciato che gli ha appena chiesto l’incasso della sua latteria-salumeria, e che non ha esitato a premere il grilletto quando il negoziante, invece delle poche centinaia di euro nel registratore, ha preso in mano il coltello con cui affetta il prosciutto. Agli operatori del 118 e ai poliziotti delle volanti, prima che un’ambulanza lo porti al Fatebenefratelli, riesce a sussurrare: "Aveva il passamontagna, gli occhi chiari e un accento dell’est, forse albanese". Operato per l’estrazione del proiettile, l’uomo, 56 anni, sarebbe fuori pericolo.

Succede alle 19.15 in via MacMahon, stradone semiperiferico a nord di Milano tagliato in due dai binari del tram. Ravanotto era solo dietro al bancone. Ha reagito, senza avere il tempo di venire a contatto col rapinatore. Poi ha provato a inseguirlo per dieci metri sul marciapiede, lasciando una scia di sangue, prima di infilarsi nella vicina profumeria per chiedere aiuto, mentre l’ombra scappava verso il cavalcavia della circonvallazione esterna. Nessuno, dai negozi vicini (parrucchiere, orefice, bazar, solarium), pare abbia visto. Un’ora dopo avevano già la saracinesca abbassata.
 

Il lupo c'è

di Rita Rebolini

Oggi il mondo è cambiato. È cambiato anche troppo in fretta. Non so dire se in meglio: economicamente sì certo.
Noi di una certa età abbiamo vissuto via via il mutamento (nell’arco di cinquant’anni) che fu così veloce da non lasciarci il tempo di pensare, di confrontare, di constatare. Eravamo usi ad attenersi scrupolosamente ai principi morali e religiosi tramandati dai nostri padri. Ci è parso dissacrante il concetto moderno dove trovi il termine “tutto è lecito”. Non è più tanto male se (sfacciatamente) si offende un vecchio, un vicino, chi ti sorpassa in automobile. Chi ha speso una parola in più nel fare un apprezzamento ad una ragazza. Si passa con velocità inaudita alle vie di fatto. Ci si affronta con ira ed invettive pesanti e talvolta spunta persino un coltello.

Non meglio assistiamo ogni giorno ai mugugni, ai vari battibecchi dei nostri politici, siano essi da una parte o dall’altra, che in questo modo non assolvono il loro compito di dare il buon esempio. Il video, poi, diciamola com’è, presenta parecchie volte scene scabrose, casi in cui le persone che hanno subito un torto non chiedono giustizia, ma vendetta. Inoltre esempi di vizi, di disagi, di gente che se ne frega di tutti e di tutto. La voce della Chiesa viene contestata, si vuole ad ogni costo metterla a tacere come si fa delle proprie coscienze. Si mira solamente ad esternare il lusso, il baccano, lo spot, gli abiti firmati. Il volgare vocabolario è diventato purtroppo moderno. E così via.

Ma il lupo c’è, come nella favola. A dodici, tredici anni, o su per giù, le ragazzine non pensano solo a studiare, non aspettano neppure di crescere, pensano di capire tutto del mondo, che certamente pare ai loro occhi meraviglioso, speciale, da godere, da prendere subito. Internet, il telefonino, completano il quadro: ci si può collegare con tutto e con tutti, chattare, avere dei segreti.
E qui sta il guaio!
Quando poi succedono casi estremi e talvolta senza più rimedi, noi di una certa età ci domandiamo se il progresso sia sempre positivo; in che cosa si è sbagliato; che cosa oggi si possa fare per porvi rimedio. Difficile è un’esauriente risposta. Un avvertimento: “il lupo c’è, anche se si presenta quasi sempre camuffato”.

Commercianti, qualche sorriso

da "La Provincia Pavese" del 21/12/2010

Commercianti, qualche sorriso
Impennata negli acquisti a pochi giorni dal Natale

di Francesca Toma
VOGHERA. Se ne è andato anche l’ultimo fine settimana prenatalizio. Che aria tira fra i commercianti vogheresi in tempo di crisi e di magri affari?  «Sono contenta – dice Sabrina Ruggeri della libreria Mondadori – Il Natale è andato un po’ peggio dell’anno scorso ma il bilancio è comunque in attivo». Giudizio molto positivo quello di Walter Merli, titolare de «I 3 Merli», negozio a gestione familiare aperto da poco. «Sono soddisfatto, il Natale è andato bene. C’è stato un notevole movimento di clienti».  Di tutt’altro avviso, invece, Ferdinando Armandola, dell’omonima salumeria, il quale si dice demotivato. «Non c’è gente in giro, quindi viene a mancare anche l’entusiasmo nel lavorare e nel vendere». Armandola fa il commerciante da oltre trent’anni. «Una volta – racconta – fuori dal negozio c’era una coda che bloccava la via Emilia, adesso invece manca la voglia di impegnarsi». In giro, ieri pomeriggio, di gente ce n’era pochina. Forse incide sia la concorrenza dei centri commerciali spuntati alla periferia, sia alla difficoltà di parcheggiare l’auto. E’ di questa opinione Enrico Romussi, di Romussi Gioielli. «Il Natale? Non è ancora partito», l’esito delle vendite natalizie non è positivo, ci sono pochi soldi da spendere, i regali si fanno ma con un budget minore e gli articoli di gioielleria possono sembrare superflui. C’è anche chi ha un’opinione a metà fra i due estremi, come Martina Schmidt, di Bersani (giocattoli). «Ovviamente non è il Natale di anni fa, però siamo abbastanza contenti», osserva. C’è infatti un ritorno al giocattolo in legno, prodotto che in genere nei supermercati non si trova, a differenza dei giochi reclamizzati. Opinione che racchiude le idee di entrambi gli «schieramenti» è quella di Fabio Tordi (Piazza Affari, abbigliamento). «Sono a Voghera da 14 anni, e questo è stato il Natale più brutto in assoluto. Ma l’ultimo fine settimana è andato bene». Gli acquisti natalizi sono quindi partiti in ritardo, ma ora si assistendo a un rush finale che potrebbe consolare i commercianti del centro cittadino, anche se i tempi delle vacche grasse restano lontani.

21 dicembre 2010

2011

Se vuoi riempire la tua brocca,
vieni, oh vieni al mio lago.
L’acqua si stringerà intorno ai tuoi piedi
e ti sussurrerà il suo segreto.
Sulla sabbia è l’ombra della pioggia imminente,
le nuvole pendono basse
sopra il profilo azzurro degli alberi,
come i folti capelli sopra i tuoi occhi.
Ben conosco il ritmo dei tuoi passi,
essi battono nel mio cuore.
Vieni, oh vieni al mio lago,
se devi riempire la tua brocca.


Se vuoi startene oziosa e sedere indolente
e lasciare che la tua brocca galleggi sull’acqua,
vieni, oh vieni al mio lago.
Il declivio erboso è verdeggiante
e i fiori di campo sono innumerevoli.
Dagli occhi bruni i tuoi pensieri vagheranno
come uccelli fuori dai nidi.
Il tuo velo cadrà ai tuoi piedi.
Vieni, oh vieni al mio lago,
se vuoi sedere indolente.

Se vuoi lasciare il tuo gioco e tuffarti nell’acqua,
vieni, oh vieni al mio lago.
Lascia il tuo mantello azzurro sulla riva;
l’acqua azzurra ti coprirà nascondendoti.
Le onde si leveranno in punta di piedi
per baciarti il collo e mormorare ai tuoi orecchi.
Vieni, oh vieni al mio lago,
se vorresti tuffarti nell’acqua.

Rabindranath Tagore (রবীন্দ্রনাথ ঠাকুর, रवीन्द्रनाथ ठाकुर)

Don Mario Grandi

Ospito sul mio blog un articolo dedicato all’indimenticato don Mario Grandi scritto da Maria Teresa Rebolini, detta Rita, mia mamma.

——————————–

Nell’aria c’è odor di Natale: noi di una certa età ce lo raffiguriamo ancora col presepio, la tavola imbandita e un pensiero per quel piccolo Gesù, così povero, così sconosciuto, da far tenerezza.

Al Brallo c’è la chiesa nuova con vetrate e spazio per accogliere tante persone. Purtroppo, mancanza  di vocazioni, quest’anno la chiesa resta fredda, inerte, chiusa con sommo dispiacere di quelle donnette che per il Natale si inerpicavano sui pendii scoscesi e volti a mezzogiorno, per poter reperire il muschio e preparare un bel presepio in chiesa, orgoglio del paese.

Noi, gente di una certa età, andiamo volentieri a rivederci il passato: ai tempi del nostro compianto Don Mario. Lo incontravi a Pregola sulla via che porta al cimitero con breviario e il fido cagnolino. Si fermava volentieri a parlare con chi incontrava, aveva una parola buona per tutti e risolveva ogni problema dei suoi parrocchiani con l’aiuto che invocava da Dio. La sua fede traspirava da ogni suo gesto. A me che avevo espresso la mia preoccupazione ed anche un po’ di malumore per una faccenda di esproprio, disse: “Non disperi signora, le cose non vanno mai come vogliono gli uomini, bensì come vuole Dio”. Ve lo voglio proprio dire, ho constatato (dopo) che quella frase si era avverata.

La forza di Don Mario è stata la sua umiltà e la sua obbedienza ai superiori. Più volte fu chiamato a prestare la sua opera altrove, ma poi lui tornava ancora a Pregola e si presentava ai parrocchiani, quasi volesse scusarsi, loro che invece dimostravano il proprio entusiasmo per il suo ritorno.

Ed è tornato anche per l’ultima dimora, si è unito ai suoi cari genitori ed è li ancora una volta a disposizione di chi ha bisogno il suo aiuto.
Come dal bozzolo esce una bellissima farfalla e vola via, così l’anima di don Mario è volata in alto, tanto in alto per poter, ancora oggi, proteggere la sua gente. Si chiamava Grandi di cognome ed è stato grande di animo, di fede, di comprensione, di carità. Ancora oggi, noi di una certa età, gli vogliamo bene.

Rita

Adesso ascoltami

…domani sarà tardi per rimpiangere la realtà…

è meglio viverla !!!!


Brallo visto da Pregola

Come vivrai Johnny?

"Te ne vai?"
"Si"- rispose ‘Ntoni.
"E dove vai?"- chiese Alessi.
"Non lo so. Venni per vedervi. Ma dacché son qui la minestra mi e’ andata tutta in veleno. Per altro qui non posso starci, che’ tutti mi conoscono, e percio’ son venuto di sera. Andrò lontano, dove troverò da buscarmi il pane, e nessuno saprà chi sono."

Gli altri non osavano fiatare, perché ci avevano il cuore stretto in una morsa, e capivano che egli faceva bene a dir così.

Mille baci

Dammi mille baci, poi dammene cento,
poi altri mille e ancora cento,
sempre, sempre mille e ancora cento.
E quando alla fine saranno migliaia
Le confonderemo, per non saperne il numero,
o perché nessuno maligno possa farci malia
sapendo che sono così tanti…..

(Catullo)

Tannhäuser

Se dovessi salvare una sola scena di un solo film, indubbiamente sarebbe questa….

Io ne ho … viste cose, che voi umani non potreste immaginarvi.

Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione …
e ho visto i raggi B, balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo,
come … lacrime … nella pioggia.

È tempo … di morire.

 

nessuno

 

 Io sono nessuno! Tu chi sei?
Sei nessuno anche tu?
Allora siamo in due!
Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!

Che grande peso essere qualcuno!
Così volgare – come una rana,
che gracida il tuo nome – tutto giugno
ad un pantano in estasi di lei!

 

E. Dickinson

 

Babau

Provate a immaginare o, forse, a ricordare… è notte fonda e voi siete nel vostro letto, in una camera illuminata solo dal fioco alone argenteo della Luna, un pulviscolo iridescente che si posa sugli oggetti e ne disegna a malapena il contorno, lasciando tutto il resto nelle più nera oscurità. Il silenzio è assoluto, eppure nelle orecchie batte una pulsazione, come il rintocco di una campana a morto che si spegne lontano… Forse è il sangue che scorre nel corpo, forse è l’aria che entra ed esce dai polmoni, chi può dirlo? Sapete soltanto che siete stati abbandonati su quel piccolo materasso, fragile zattera al centro di un oceano di tenebra che cerca d’inghiottirvi, e che, in quell’acqua color dell’inchiostro, nuotano invisibili abominii. Come squali famelici, disegnano intorno a voi un cerchio che si stringe un poco a ogni giro. Attendono l’occasione, è solo questione di tempo. Ed è allora, quando il sudore già vi stringe in un sudario gelido e le pupille si dilatano fin quasi a scoppiare… è allora che, dall’angolo più buio della stanza, come dal più cupo e inospitale recesso dell’universo, giunge una voce rauca e profonda, che vi chiama per nome. Lui conosce il vostro, ma anche voi conoscete il suo: Babau.

L’immagine è "Il Babau" di Dino Buzzati, 1970. Il testo è di Gianmaria Contro, Almanacco della Paura 2010.

Zang Tumb Tumb

ogni  5  secondi   cannoni  da    assedio  sventrare 

spazio  con  un  accordo  tam-tuuumb

ammutinamento  di   500    echi   per   azzannarlo

sminuzzarlo   sparpagliarlo   all´infinito

     nel  centro  di  quei  tam-tuuumb

spiaccicati  (ampiezza  50  chilometri  quadrati)

balzare    scoppi    tagli      pugni      batterie    tiro

rapido    violenza     ferocia     regolarita    questo

basso   grave    scandere    gli    strani   folli  agita-

tissimi     acuti    della     battaglia     furia    affanno

                    orecchie                  occhi

                 narici                       aperti           attenti

forza   che    gioia    vedere    udire   fiutare   tutto

tutto    taratatatata    delle   mitragliatrici   strillare

a   perdifiato   sotto   morsi    shiafffffi    traak-traak

frustate        pic-pac-pum-tumb      bizzzzarrie

salti      altezza       200     m.     della        fucileria  

Giù   giù   in    fondo   all’orchestra    stagni

            diguazzare                        buoi       buffali

pungoli    carri     pluff    plaff                     impen

narsi   di   cavalli  flic   flac   zing  zing sciaaack

ilari     nitriti     iiiiiii…   scalpiccii     tintinnii          3

battaglioni   bulgari   in   marcia   croooc-craaac

[ LENTO   DUE   TEMPI ]        Sciumi         Maritza

o    Karvavena    croooc-craaac   grida    delgli

ufficiali    sbataccccchiare  come   piatttti  d’otttttone

pan   di   qua    paack   di    là    cing   buuum

cing    ciak    [ PRESTO ]     ciaciaciaciaciaak

su    giù    là     là    intorno    in    alto   attenzione 

sulla    testa     ciaack    bello                Vampe

                                 vampe

 

vampe                                       vampe

 

                 vampe                                         vampe

 

                        vampe          ribalta   dei   forti   die-

                           

                                           vampe

                    

                          vampe

tro  quel   fumo   Sciukri    Pascià    comunica   te-

lefonicamente   con   27   forti   in   turco   in    te-

desco     allò     Ibrahim    Rudolf    allò    allò

attori    ruoli                           echi       suggeritori

                                      scenari      di    fumo     foreste

applausi   odore   di   fieno   fango   sterco   non

sento   più   i   miei   piedi   gelati   odore   di   sal-

nitro   odore   di   marcio                      Timmmpani

flauti    clarini    dovunque    basso    alto    uccelli

cinguettare  beatitudine   ombrie   cip-cip-cip   brezza

verde  mandre   don-dan-don-din-bèèè  tam-tumb-

tumb tumb-tumb-tumb-tumb-tumb-

tumb        Orchestra                        pazzi   ba-

stonare   professori    d’orchestra   questi   bastona-

tissimi   suooooonare  suooooonare   Graaaaandi

fragori  non  cancellare   precisare    ritttttagliandoli

rumori     più     piccoli    minutisssssssimi   rottami

di   echi   nel   teatro   ampiezza   300    chilometri

  quadri                                         Fiumi      Maritza

Tungia    sdraiati                              Monti    Ròdopi 

ritti                               alture    palchi     logione

2000       shrapnels        sbracciarsi     esplodere  

fazzoletti    bianchissimi    pieni    d’oro    Tumb-

tumb                     2000     granate  protese

strappare       con      schianti        capigliature

tenebre            zang-tumb-zang-tuuum

tuuumb    orchesta    dei   rumori    di   guerra

gonfiarsi    sotto   una   nota    di        silenzio

                    tenuta      nell’alto     cielo                   pal-

lone   sferico   dorato   sorvegliare     tiri     parco

aeroatatico     Kadi-Keuy

Incubo

Che stai facendo, figlio?
Sogno, madre mia, sogno
che sto cantando,
e tu mi chiedi, nel sogno:
che stai facendo figlio?
Che canti, nel sogno, o figlio?
Canto, madre, che avevo una casa.
E adesso la casa non ce l’ho.
Questo canto, madre.
Avevo la mia voce, o madre,
e la mia lingua avevo.
E ora non ho né voce né lingua.
Con la voce che non ho,
nella lingua che non ho,
della casa che non ho,
io canto la mia canzone,
o madre.

Abdulah Sidran


Voghera – Il mercato in Piazza Duomo – 1917

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