(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

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Il tordo solitario

D’in su la vetta della torre antica,
Tordo solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l’armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell’aria, e per li campi esulta,
Sì ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli
Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio, 
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch’omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell’aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all’altrui core,
E lor fia vóto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest’anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirornmi, e spesso,
Ma sconsolato, vol
gerommi indietro.

Stagioni

Poi le cose presero un’altra piega
Rigoni comprò a credito del materiale rubato
Non pagò
e non credo avesse intenzione di farlo
Piombarono di notte a casa i creditori
ubriachi fradici
Sfondarono la porta d’ingresso a calci
e lo massacrarono di botte
Perse del sangue
l’uso della mandibola per qualche giorno
e per un paio di settimane
la voglia di vivere
Ma quell’estate era stata formidabile
Eravamo al massimo della forma
Io e Leo avevamo portato a casa una cassa di champagne
trovata in qualche angolo durante lo sgombero di una cantina
Bottiglie già scadute
che andavano alla testa appena dopo due sorsi
Passavamo i pomeriggi in cucina
Il sudore ci colava addosso
Rigoni teneva banco
le guance infuocate
Eravamo la cornice di un romanzo medievale
Noi
gli eletti
riuniti in una casa che cadeva a pezzi
immersi nel silenzio dei pomeriggi d’agosto
e fuori
fuori la peste

Pace non cerco guerra non sopporto

Pace non cerco, guerra non sopporto
tranquillo e solo vo pel mondo in sogno
pieno di canti soffocati. Agogno
la nebbia ed il silenzio in un gran porto.

In un gran porto pien di vele lievi
pronte a salpar per l’orizzonte azzurro
dolci ondulando, mentre che il sussurro
del vento passa con accordi brevi.

E quegli accordi il vento se li porta
lontani sopra il mare sconosciuto.
Sogno. La vita è triste ed io son solo.

O quando o quando in un mattino ardente
l’anima mia si sveglierà nel sole
nel sole eterno, libera e fremente.

(Dino Campana)


Marc Chagall – Il Compleanno – 1915

Big fucking television

Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta; scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo; scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina; scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos’altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l’eroina?

è un film del 1996. beh a dire la verità il libro di Welsh è del 1993…ma non c’entra. Io li ho letti tutti i libri di Irvine Welsh, ma Trainspotting è forse l’unico che non mi piace (gli altri sono stupendi, come per esempio "Il Lercio"). Il film invece è fenomenale. Pensare che ha già 18 anni…

La gente pensa che si tratti di miseria, disperazione, morte, merdate del genere, che pure non vanno ignorate. Ma, quello che la gente dimentica è quanto sia piacevole, sennò noi non lo faremmo. In fondo non siamo mica stupidi! Almeno non fino a questo punto, e che cazzo! Prendete l’orgasmo più forte che avete mai provato. Moltiplicatelo per mille. Neanche allora ci siete vicini.

Quando ti buchi hai una solo preoccupazione: farti. E quando non ti buchi, di colpo, devi preoccuparti di tutto un sacco di cazzate: non hai i soldi, non puoi sbronzarti. Hai i soldi, bevi troppo. Non hai una passera, non scopi mai. Hai una passera, rompe le palle. Devi pensare alle bollette, al mangiare, e a qualche squadra di calcio di merda che non vince mai, ai rapporti umani, e tutte quelle cose che invece non contano quando hai una sincera e onesta tossicodipendenza

Rinunciare alla roba, fase 1: preparazione. Per questa cosa ti serve: una stanza da cui non puoi uscire, musica distensiva, salsa di pomodoro dieci scatole; zuppa di funghi, otto scatole, da consumare fredda; gelato, vaniglia, una confezione grande; magnesia, latte di, una bottiglia; aspirina, collutorio, vitamine, acqua minerale, aranciata… pornografia. Un materasso, un secchio per l’urina, uno per le feci, uno per il vomito. Un televisore e una boccetta di Valium. Me la sono già procurata da mia madre che è "nel suo modo domestico e socialmente accettabile" una drogata anche lei. 

Swanney ci insegnò ad amare e rispettare il servizio sanitario nazionale, perché era la fonte di quasi tutta la nostra roba. Rubavamo farmaci, ricette. Le comprovamo, vendevamo, scambiavamo, falsificavammo, fotocopiavamo. O scambiavamo droghe con le vittime del cancro, gli alcolizzati, i vecchi pensionati, i malati di AIDS, gli epilettici e le casalinghe frustrate. Prendevamo morfina, diacetilmorfina, ciclozina, codeina, temazepam, nitrazepam, fenobarbitale, amobarbitale, propoxyphene, metadone, nalbufina, petedina, pentazocina, buprenorfina, destromoramide, chlormetiazolo. Le strade schiumano di droghe contro il dolore e l’infelicità. Noi le prendavamo tutte. Ci saremmo sparati la vitamina C se l’avessero dichiarata illegale.

Non ci pensare. Non è un problema. Non per me comunque. Certo è facile fare filosofia quando lo stronzo con la merda nel sangue è un altro. 

Mi sono giustificato con me stesso in tante maniere diverse, non era niente di che, solo un piccolo tradimento, o… i nostri rapporti erano cambiati, sapete cose così… ma ammettiamolo li avevo bidonati, i miei cosiddetti amici. Di Begbie non me ne fregava un cazzo, e Sick Boy avrebbe fatto lo stesso con me se c’avesse pensato per primo. Di Spud be’, d’accordo per Spud mi dispiaceva, non aveva mai fatto del male a nessuno lui. Allora perché l’ho fatto? Potrei dare un milione di risposte tutte false. La verità è che sono cattivo, ma questo cambierà, io cambierò, è l’ultima volta che faccio cose come questa. Metto la testa a posto, vado avanti, rigo dritto, scelgo la vita. Già adesso non vedo l’ora, diventerò esattamente come voi: il lavoro, la famiglia, il maxitelevisore del cazzo, la lavatrice, la macchina, il cd e l’apriscatole elettrico, buona salute, colesterolo basso, polizza vita, mutuo, prima casa, moda casual, valigie, salotto di tre pezzi, fai da te, telequiz, schifezze nella pancia, figli, a spasso nel parco, orario d’ufficio, bravo a golf, l’auto lavata, tanti maglioni, natale in famiglia, pensione privata, esenzione fiscale, tirando avanti lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai.

Malincònia

"Goodbye Malincònia
Maybe tomorrow, I hope we find tomorrow"

cantava Tony Hadley insieme a Caparezza.
 
Io sono un diversamente malinconico. Nel senso che ho una malinconia latente di fondo che mi ha accompagnato e mi accompagnerà per tutta la vita. Non la reputo una cosa negativa, anzi mi aiuta a superare i momenti brutti. 
Perché io sono profondamente innamorato della vita.
E’ un po’ difficile da spiegare. Quando sono giù passo da momenti in cui vorrei spaccare i muri a testate a momenti in cui non mi scollerei dal non-fare-niente (ma proprio nientenienteniente, neanche accendere la tv in sottofondo). E questo penso che sia una cosa normale, o comunque comune. Poi sprofondo nella malinconia.
 
Cecco Angiolieri scrive:
La mia malinconia è tanta e tale,
ch’i’ non discredo che, s’egli ’l sapesse
un che mi fosse nemico mortale,
che di me di pietade non piangesse.
 
Ma non ci resto più di tanto. Come ho detto: è difficile da spiegare. Non sono come un Leopardi che viveva interamente in questo triste sentimento ed era prigioniero dell’abisso. A me serve andarci, per recuperare le forze e tornare a galla: sono un sommozzatore della malinconia, uno speleologo che esplora gli anfratti più oscuri… ma poi torna al sole. Non sono un decadentista, anzi proprio io sono un inguaribile ottimista. Così come mi rifugio nei bassifondi, ho la ferma fiera e forte consapevolezza che la vita è strabella e che tutto andrà sicuramente per il meglio. 
Diciamo che sono un malinconico cronico al 5% (come la miscela). QB (quanto basta).
 

Inadeguato

Vorrei esser come quelli che al ristorante sembrano giudici di MasterChef: brillanti e sicuri di sé, con la carta dei vini esperti come sommelier. E le fidanzate sognanti e affascinate da tanta classe che le vizierà, al fuoco di un camino con un ballon in mano.. non come me che ordino una Bud!
Davvero: che peccato. Sono un ragazzo inadeguato. Lo sono sempre stato: un po’ fuori posto un po’ sbagliato. Non sono mai cambiato: sono un ragazzo inadeguato. Anche se son cresciuto sono rimasto un po’ sfasato.
Mi piacerebbe essere cool, vestito come un uomo-copertina di GQ, elengatissimo anche in jeans, un po’ selvaggio un po’ ribelle come Steve McQueen. L’accessorio giusto a mio agio in ogni posto, dall’oasi nel Sahara all’happy hour. Mentre io mi specchio e qualsiasi cosa metto c’è sempre qualche cosa che non va.
Davvero che peccato “Sei un ragazzo inadeguato“. Lo sono sempre stato: un po’ fuori posto un po’ sbagliato. Non sono mai cambiato: sono un ragazzo inadeguato. Però tutto sommato è il mondo che è un po’ complicato.

 

L’infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare

Non ricordo il nome del cane

 

 

Respirerò l’odore dei granai e pace x chi ci sarà e per i fornai. Pioggia sarò e pioggia tu sarai. I miei occhi si chiariranno e fioriranno i nevai.
Impareremo a camminare, x mano insieme a camminare…domenica.

Aspetterò che aprano i vinai. Più grande ti sembrerò e tu più grande sarai. Nuove distanze ci riavvicineranno. Dall’alto di un cielo, Diamante, i nostri occhi vedranno passare insieme soldati e spose, ballare piano in controluce, moltiplicare la nostra voce..x mano insieme soldati e spose. Domenica, Domenica

Fai piano i bimbi grandi non piangono fai piano i bimbi grandi non piangono fai piano i bimbi grandi non piangono

Il bar di Helga

 

HELGA è la proprietaria di un bar, di quelli dove si beve forte.
Rendendosi conto che quasi tutti i suoi clienti sono disoccupati e che quindi dovranno ridurre le consumazioni e frequentazioni, escogita un geniale piano di marketing, consentendo loro di bere subito e pagare in seguito. Segna quindi le bevute su un libro che diventa il libro dei crediti (cioè dei debiti dei clienti).

La formula “bevi ora, paga dopo” è un successone: la voce si sparge, gli affari aumentano e il bar di Helga diventa il più importante della città.


Lei ogni tanto rialza i prezzi delle bevande e naturalmente nessuno protesta, visto che nessuno paga: è un rialzo virtuale. Così il volume delle vendite aumenta ancora. 

La banca di Helga, rassicurata dal giro d’affari, le aumenta il fido. In fondo, dicono i risk manager, il fido è garantito da tutti i crediti che il bar vanta verso i clienti: il collaterale a garanzia. 

Intanto l’Ufficio Investimenti & Alchimie Finanziarie della banca ha una pensata geniale. Prendono i crediti del bar di Helga e li usano come garanzia per emettere un’obbligazione nuova fiammante e collocarla sui mercati internazionali: gli Sbornia Bond. 

I bond ottengono subito un rating di AA+ come quello della banca che li emette, e gli investitori non si accorgono che i titoli sono di fatto garantiti da debiti di ubriaconi disoccupati. Così, dato che rendono bene, tutti li comprano. 

Conseguentemente il prezzo sale, quindi arrivano anche i gestori dei Fondi pensione a comprare, attirati dall’irresistibile combinazione di un bond con alto rating, che rende tanto e il cui prezzo sale sempre. E i portafogli, in giro per il mondo, si riempiono di Sbornia Bond. 

Un giorno però, alla banca di Helga arriva un nuovo direttore che, visto che in giro c’è aria di crisi, tanto per non rischiare le riduce il fido e le chiede di rientrare per la parte in eccesso al nuovo limite. 

A questo punto Helga, per trovare i soldi, comincia a chiedere ai clienti di pagare i loro debiti. Il che è ovviamente impossibile essendo loro dei disoccupati che si sono anche bevuti tutti i risparmi. 

Helga non è quindi in grado di ripagare il fido e la banca le taglia i fondi. 

Il bar fallisce e tutti gli impiegati si trovano per strada. 

Il prezzo degli Sbornia Bond crolla del 90%. 

La banca che li ha emessi entra in crisi di liquidità e congela immediatamente l’attività: niente più prestiti alle aziende. L’attività economica locale si paralizza. 

Intanto i fornitori di Helga, che in virtù del suo successo, le avevano fornito gli alcolici con grandi dilazioni di pagamento, si ritrovano ora pieni di crediti inesigibili visto che lei non può più pagare. 

Purtroppo avevano anche investito negli Sbornia Bond, sui quali ora perdono il 90%. 

Il fornitore di birra inizia prima a licenziare e poi fallisce. 

Il fornitore di vino viene invece acquisito da un’azienda concorrente che chiude subito lo stabilimento locale, manda a casa gli impiegati e delocalizza a 6.000 chilometri di distanza. 

Per fortuna la banca viene invece salvata da un mega prestito governativo senza richiesta di garanzie e a tasso zero. 

Per reperire i fondi necessari il governo ha semplicemente tassato tutti quelli che non erano mai stati al bar di Helga perché astemi o troppo impegnati a lavorare. 

Bene, ora potete dilettarvi ad applicare la dinamica degli Sbornia Bond alle cronache di questi giorni, giusto per aver chiaro chi è ubriaco e chi sobrio.

Ladro di editoriali

Lo ammetto pubblicamente: ho compiuto un furto! Ho rubato l’editoriale di ieri del direttore di ViVoPavia Notizie. Ovviamente non gli ho chiesto il permesso, altrimenti che furto sarebbe? Anzi, ho rincarato la dose rubando anche la foto. Ho fatto proprio un copia e incolla, non c’è nulla di mio, tutto rubato. Anche perchè le volte che ho chiesto a qualche giornalista di poter riportare il suo pezzo sul mio blog (ovviamente citando la fonte) ho ricevuto solo dei rifiuti. Allora sono passato all’esproprio giornalistico! Mi condanneranno come Sallusti? Beh, pazienza, al giorno d’oggi se non finisci a San Vittore non sei nessuno.

 

L’EDITORIALE. Commercio, sensi unici e l’involtino primavera

io copia

di EMANUELE BOTTIROLI

Il commercio non è una strada a senso unico, ma questione di proposte. Tanti cittadini di Pavia, Voghera e Vigevano sfogliando le cronache assistono a battaglie di schiere di commercianti contro la viabilità che cambia. Nel frattempo i centri storici perdono progressivamente fascino per l’incapacità dei professionisti del settore di mettersi insieme, innovare, organizzare iniziative e stupire la clientela anche con idee semplici e low cost. Muoiono le botteghe e i mercati storici. Il commercio pavese sta lasciando progressivamente troppo spazio non più ai franchising – quella è un’epoca già passata – ma a una schiera di attività di stranieri, pronti a maggiori sacrifici e ad aperture prolungate. Le città e i paesi si stanno snaturando e il rischio, paradossalmente, è che a breve potrebbe risultare più bello e qualitativamente appagante fare shopping nelle gallerie commerciali o negli outlet, dove le grandi griffe calamitano sempre di più l’attenzione. Fa orrore la gara al ribasso nei centri storici, dove al contrario dovrebbero essere i marchi, la professionalità e la qualità a prevalere. Stiamo perdendo la cultura del bello, sprofondando tra villaggi del kebab o dell’involtino primavera e coiffeur con gli occhi a mandorla. La liberalizzazione delle licenze e il non introdurre criteri professionalizzanti per gli operatori ha ucciso il gusto del vivere e dell’animare il commercio nei nostri centri urbani. Cambiare questo triste trend dovrebbe essere una sfida per tutti. Perché il commercio vero è anzitutto tre cose: identità, propensione al sacrificio e capacità di leggere i mutamenti. Ora o mai più.

 twitter-loghetto@bottiroli 
 
email-loghetto
direttore@vivopavianotizie.net

La rabbia e l’orgoglio

I morti,ahimé,sono tutti uguali, quindi ho rispetto assoluto per ogni vita che finisce, ma mi chiedo: perchè quando muore uno sportivo o un cantante tutti ne parlano, mentre molti si dimenticano che tutti i giorni si tolgono la vita lavoratori, imprenditori? Il fatto che ci siano persone disposte a suicidarsi perchè si sentono sopraffatti dagli eventi e contemporaneamente per lanciare un messaggio desolato, laconico, ma duro come un pugno nello stomaco è una cosa che mi fa paura, sgomento, tristezza e rabbia. Paura, perchè di primo acchito non lo capisco. Sgomento, quando lo capisco. Tristezza, pensando alla vacuità del gesto. Rabbia, quando penso che la vita è una cosa meravigliosa. Ricordate: sempre orgogliosi del nostro lavoro e disperati mai!!!!

Come sul capo al naufrago / L’onda s’avvolve e pesa, / L’onda su cui del misero, / Alta pur dianzi e tesa, / Scorrea la vista a scernere / Prode remote invan;
Tal su quell’alma il cumulo / Delle memorie scese! / Oh quante volte ai posteri / Narrar se stesso imprese, / E sull’eterne pagine / Cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito / Morir d’un giorno inerte, / Chinati i rai fulminei, / Le braccia al sen conserte, / Stette, e dei dì che furono / L’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili / Tende, e i percossi valli, / E il lampo de’ manipoli, / E l’onda dei cavalli, / E il concitato imperio,/ E il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio / Cadde lo spirto anelo, / E disperò: ma valida / Venne una man dal cielo, / E in più spirabil aere / Pietosa il trasportò;

da "Il cinque maggio" di Alessandro Manzoni, 1821

Felicità

Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’anima. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l’età. Da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l’avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c’è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per averla.

Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro. Solo così possiamo non aspettarci che assolutamente s’avveri, né allo stesso modo disperare del contrario

Epicuro

 

 

Le merle blanc est un Merle noir (Turdus merula) atteint de leucisme ou d'albinisme.

«Le merle blanc existe, mais il est si blanc qu’on ne peut le voir, et le merle noir n’est que son ombre.»

Jules Renard

Nel mio mestiere

Nel mio mestiere o arte scontrosa
Praticato nella notte immobile,
Quando solo la luna infuria,
E gli amanti riposano insieme
Con tutti i loro affanni tra le braccia,
Io fatico presso un lume che canta,
Non per ambizione o pane,
O per la ruota e lo smercio d’incanti,
O per i palchi d’avorio,
Ma per i comuni salari,
Dei loro più intimi cuori.

Non per l’uomo fiero in disparte
Dalla luna che infuria io scrivo
Su queste pagine di spruzzi
Non per il morto arroccato
Con i suoi salmi e usignoli
Ma per gli amanti, le loro braccia
Cinte agli affanni dei secoli
Che non offrono lode o salari,
Né attenzione al mio mestiere o arte.

In my craft or sullen art
Exercised in the still night
When only the moon rages
And the lovers lie abed
With all their griefs in their arms,
I labor by singing light
Not for ambition or bread
Or the strut and trade of charms
On the ivory stages
But for the common wages
Of their most secret heart.

Not for the proud man apart
From the raging moon I write
On these spindrift pages
Nor for the towering dead
With their nightingales and psalms
But for the lovers, their arms
Round the griefs of the ages,
Who pay no praise or wages
Nor heed my craft or art.

DYLAN THOMAS


(Giorgio De Chirico – Melanconia di un uomo politico – 1938)

Tordi viaggiatori

Potrei avere un futuro come portalettere!

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