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Tutto quello che non rientra nelle altre categorie
Giorni fa ho visto questo cartello su una cassetta delle lettere. Mi ricordava molto quello che avevo messo io fuori da mio negozio.
Come si calcola il codice fiscale? Ma è semplicissimo. Il codice è formato da 16 caratteri, ognuno con un proprio significato.
I primi tre caratteri provengono dal cognome. Sono prese le prime tre consonanti. Ad esempio: da "tordi" si ricava "TRD". Se abbiamo un secondo cognome si utilizzano anche quelle. Ad esempio da "Bini Valsecchi" si ricava "BNV". Per le donne si utilizza il solo cognome da nubile. E se uno ha un cognome con meno di tre consonanti? Semplice, dopo aver usato le consonanti si usano le vocali. Ad esempio da "Bini" si ricava "BNI". E se abbiamo un cognome con meno di tre lettere? Si mette una "x". Ad esempio da "My" (una ragazza che conoscevo si chiama così) si ricava "MYX"
I successivi tre caratteri provengono dal nome (o dai nomi se se ne hanno più di uno). Si segue questa regola: se il nome ha più di tre consonanti si prendono la prima, la terza e la quarta. Ad esempio da "Giancarlo" si ricava "GCR". Se il nome ha tre consonanti, si prendono quelle. Da "Cesare" si ricava "CSR". Se il nome ha meno di tre consonanti si aggiungono le vocali. Da "Fabio" si ricava "FBA". Se il nome è più corto di tre caratteri, anche in questo caso si aggiungono delle "x".
I cinque caratteri successivi riportano la data di nascita e il sesso. Per prima cosa ci sono due caratteri per l’anno di nascita. Da 1974 si ricava "74". La lettera successiva individua il mese di nascita. Purtroppo è un po’ complicato. I primi mesi sono facili: gennaio = A, febbraio = B, marzo = C, aprile = D, maggio = E. Poi si salta di pal in frasca: giugno = H, luglio = M, agosto = M, settembre = P, ottobre = R, novembre = S, dicembre = T. Infine c’è il giorno di nascita, composto da due cifre. Quindi se il giorno è di una cifra sola, si mette lo zero davanti. Quindi 2 aprile 1974 diventa "74D02". E il sesso cosa c’entra direte voi? Semplice, per le donne si aggiunge il numero 40 al giorno di nascita, quindi chi è nata il primo del mese avrà scritto "41" nel codice fiscale.
Fin qui tutto relativamente facile. Sapendo queste regole si può risalire alla prima parte del codice. I successivi 4 caratteri indicano invece il codice catastale del comune di nascita. E questo è difficile da sapere (bisogna cercare su internet). Ad esempio Voghera = "M109", Pavia = G388, ecc. Per chi è nato all’estero si mette una Z seguita da un codice identificativo dello stato estero di nascita.
Infine, l’ultimo carattere, è un carattere di controllo, calcolato con un particolare algoritmo che verifica se gli altri 15 caratteri sono giusti.
Ovviamente non sempre funziona. Ci sono casi in cui fai tutto il tuo bel calcolino e poi scopri che il codice non è giusto. Perchè ? Per mille motivi. Ci possono essere casi in cui il codice è già stato utilizzato e allora ne viene assegnato un altro diverso. E poi casi di errori, di problemi di assegnazione per nati all’estero (ogni giorno gli stati cambano, si dividono, si fondono…. che casino). Quindi questo calcolo non è a prova di bomba…. ma nella stragrande maggioranza dei casi funziona.
"Stappj is an Italian beverage soda beverage company. Despite the fact that the name appears to have a Scandinavian ring to it, it has no connection to anything Scandavian. It is actually the Molisan dialectal variant of the Italian "stappa", meaning "uncork". "
Questo è quanto è possibile leggere sulla versione in inglese di Wikipedia. Ma in realtà cos’è Stappj? Cosa? Non conoscete questa pregiatissima marca di bibite? (inaudito!) Beh dovete sapere che è una linea di bibite prodotte dalla Di Iorio spa, ditta di Frosolone, in provincia di Isernia. Comprende: tonica, gassosa, lemon, orange, e addirittura l’aperitivo analcolico "stappjno", il bitter rosso, il bitter bianco (chissà che buono), il rabarbaro (gulp!), il chinotto (rulez, anzi detto da noi "spacca di brutto") e ultimo ma non ultimo il gusto caffè (mammammmiaa!!)
Dove li potete trovare? Ma che domande: nei migliori bar o negozi!
Seconda parte delle frasi che ho sottolineato. Queste di oggi sono tutte dedicate alla persona che mi ha regalato il libro.
"Mi capitava spesso durante il giorno di fantasticare su di lei, ma soprattutto su di noi. È bello avere una persona sulla quale fare delle fantasie durante il giorno. […] Non so perchè, ma quando pensavo a lei i miei pensieri non avevano mai il punto. Solo virgole. Erano una valanga di parole e immagini senza punteggiatura."
Francesco Hayez – Il bacio
Pinacoteca di Brera, Milano
"Come quando mandi un sms a una persona che ti piace e non ti risponde subito. Dopo averlo inviato, vai a rileggerlo ogni tre secondi e guardi anche l’ora dell’invio. Conti i minuti, i secondi. Poi guardi gli ultimi che ti ha mandato lei. Perchè tutti, anche quelli del giorno prima, li hai in memoria. E sono lì, in fila, uno vicino all’altro, perchè tutti gli altri, quelli che non sono i suoi, li hai cancellati. E’ brutto quando l’ultimo messaggio inviato è il uto e devi solo aspettare. Quando hai paura di essere invadente. Quando, come in una partita a scacchi, pensi di aver sbagliato mossa e in un secondo ti senti uno sfigato. Immagini lei che dice alle sue amiche: Questo mi sta martellando di messaggi. E quando sei in quella situazione non c’è niente da fare, ti senti in un angolo. L’unica soluzione è non scrivere più. Poi magari lei ti risponde e ti accorgi che ti eri fatto tutto un viaggio negativo che invece non esisteva."
"Ero felice e la mia testa era leggera. Quella mattina, le persone che mi incrociavano sui marciapedi di Manhattan potevano vedere un sorriso con le gambe"
"Dopo qualche minuto è arrivata lei, sorridente. Quando l’ho vista mi sono trasformato in mille emozioni. Ero agitato, felice, imbarazzato, fiero, contento"
"Te l’ho detto, non mi sono mai comportato così per una donna, ma quel che mi stupisce è che mi sembra la cosa più naturale del mondo. Non penso di avere mai fatto una cosa strana. Venire fin qui senza sapere nemmeno se ti avrei incontrata e se ti avrebbe fatto piacere stranamente non mi dà una sensazione di assurdità"
"Il problema non è quanto aspetti, ma chi aspetti"
"Avrei voluto essere quell’abbraccio in cui desiderava perdersi, come mi aveva confidato. Protetta e libera di lasciarsi andare, perchè tanto c’ero io a prendermi cura di lei, a difenderla dal freddo e dal male. Avrei voluto essere più… più tutto. Avrei voluto prenderla per mano quando attraversava la strada come solo un uomo sa fare, aspettarla ogni giorno fuori dal suo ufficio per vederla venire verso di me sorridendo. Avrei voluto saperle comprare un bel vestito che le piacesse. Essere una cosa bella per lei, un bel pensiero, una buona parola, un buon attimo di silenzio. Avrei voluto che mi chiamasse per nome quando parlava con le sue amiche e che il mio nome tra le sue labbra suonasse come una parola calda"
"E’ tanto che aspetti? Più o meno trantacinque anni"
Domenica scorsa, il 15, siamo stati a Milano a vedere la mostra di Magritte. Come sa già chi mi conosce e come immagina chi mi segue da tempo (provate a cercare "magritte" sul mio blog) il pittore belga René Magritte è sicuramente il mio preferito. Perchè? Difficile dirlo. Diciamo che mi piace sia la sua pittura che il suo personaggio: una persona normalissima che riesce ad essere così straordinario e a stupire così. E la sua pittura è come lui: ci sono oggetti comuni, che però sono poisizionati e mescolati in modo da creare stupore. Ma Magritte stesso una volta ha furbescamente dichiarato che non si spiegava lo stupore per le sue opere, in fondo lui disegnava oggetti comuni. E li disegnava in maniera semplice, quasi naif.
Quella di Milano è una bella mostra, c’è una discreta selezione di opere (non dico ottima, io sono sempre "criticone", quindi non mi accontento mai). La cosa che mi emozionava di più, a parte la compagnia, era avere a pochi centimetri da me dei Magritte veri, proprio loro, proprio li!!! Se vi piace il genere e avete occasione, andateci, ne vale la pena. Per ulteriori info il sito è www.mostramagritte.it e se volete un buono sconto guardate qui.
Una frase che era scritta sulle pareti della mostra e che m è piaciuta tantissimissimo: "I titoli dei quadri non sono spiegazioni e i quadri non sono illustrazioni dei titoli"
Abbiamo completato la giornata in giro per le vie dello shopping, alla ricerca del mitico ceppo portacoltelli Voodoo, criticando bonariamente i passanti vistosi e i negozi che non ci piacevano e fermandoci per una (maxi)pizza sui navigli. Un’altra giornata da 10 e lode.
Venerdì scorso siamo stati a Milano a vedere lo spettacolo Notre Dame de Paris, la celeberrimo opera musicata da Riccardo Cocciante. Da quando è uscito, sia all’estero che in Italia, ha riscosso un successo senza precedenti per queso tipo di opera e da tempo avrei voluto vederlo. L’occasione si è presentata per il fatto che per un mesetto circa è riproposto al Teatro degli Arcimboldi in zona Bicocca a Milano (quello dove ultimamente facevano Zelig).
È veramente notevole. Non so come si definisca ufficialmente questo tipo di spettacolo. Io credevo fosse un musical, ma in realtà non è composto da parti recitate e parti cantate, ma solo una successione concertistica di brani musicati accompagnati da scenografie avvincenti e balletti. Quindi, per prima cosa occorre dire che la storia non è “spiegata”, quindi va saputa in anticipo per seguire lo show. Le “canzoni” sono state appositamente scritte ovviamente per questo spettacolo. Si alternano musiche “tranquille” a quelle più movimentate che quindi possono essere accompagnate da balletti decisamente coinvolgenti. I cantanti sono bravissimi, sono opere di non facile interpretazione e i cantanti riescono ad eseguirle nelle condizioni più difficili: per esempio ricordo quando Quasimodo canta legato ad una ruota che i ballerini fanno girare: bravissimo! I ballerini sono altrettanto bravi, sembrano quasi degli artisti del circo da quanto sono abili nelle loro performance (e alcuni sono validissimi breakdancer). Anche qui vi racconto un solo aneddoto: quando Quasimodo parla delle sue campane nella scenografia ci sono tre di queste campane penzonanti con altrettanti ragazzi che ci ballavano sopra. Le scenografia e le luci sono altrettanto belle, combinate assieme creano ambienti favolosi. Io non sono un abituale frequentatore di teatri, ma mi hanno favorevolmente colpito. Infine spendo una buona parola anche per il teatro: proprio bello. Eravamo nella galleria più alta ma si vedeva bene e si sentiva benissimo. E poi è un teatro moderno e realizzato molto bene. Insomma che dire: voti ottimi per tutti… e poi qualche malalingua dice che sono un criticone ;-)
Questa vuole essere una lettera aperta a chi disegna e a chi produce abbigliamento, in particola modo quello femminile.
Da parecchi anni ormai, la moda ci impone modelli molto attillati e sciancrati che, per loro stessa natura, vestono meglio le taglie magre, in quanto stanno male a chi è più “in carne”. Ovviamente non vale per tutti i modelli, ci sono quelli più o meno attillati. Il problema ruguarda le taglie. Sembra che i creatori di moda si divertano a fare quello che io reputo una pessima mossa sotto il profilo del marketing, vale a dire produrre capi di taglia piccola scrivendo sull’etichetta una taglia grande. Mi spiego meglio: mi arrivano in negozio delle giacche femminili di cui la taglia L veste si e no una 42 e quindi la XL arriva a malapena alla 46. E poi? E poi stop. Quindi tutte le donne (e sono tantissime) che hanno una 46 o oltre non riescono a trovare la loro misura. E inoltre ci rimangono male e dicono: ma come, non mi va più bene neanche una XL? Emblematico il caso di una signora a cui piaceva un maglioncino. Prova la S e dice che è piccolo, allora prova la M. Esce dal camerino e dice che va benissimo, la taglia è perfetta e il colore le piace molto, solo che ha deciso di non comprarlo perché lei è magra e una taglia M non la vuole mettere.
Ma cari produttori, non sarebbe meglio fare il contrario? Fare delle belle taglie 48 e scriverci sopra “Medium” ? Anche perché, se veramente vogliamo vestire la maggioranza delle donne italiane, dobbiamo pensare dalla taglia 40 alla taglia 50. Poi, certamente, ci sono anche le taglie più piccole (generalmente le ragazzine) e quelle più grandi… Quindi io direi di fare così: 40 = XXS, 42 = XS, 44=S, 46=M, 48=L, 50=XL, 52=XXL, invece di fare, come fate voi 40=S,42=M,44=L,46=XL e stop!
Ecco un articolo apparso tempo fa su "La Trebbia" a firma di Dario Rebolini (mio zio):
La Val Boreca è bella e selvaggia. Quanta nostalgia di tornare in città!
Leggo spesso sul vostro ottimo settimanale le notizie che spesso parlano della Val Trebbia e mi ha colpito in particolar modo lo strazio che prova ad ogni fine estate quel giovane di Gorreto quando giunge l’ora di lasciare la valle. -Sul n. 31 del 18 settembre.- È uno sgomento che io provo da più di sessant’anni ad ogni fine agosto.
Lascio la Val Boreca che, anche se non se ne parla molto, non è meno bella della Val Trebbia.
I monti che la circondano – I’Alfeo, it Carmo, il Chiappo e il Lesima, le cui "cime ineguali ed elevate al cielo" potrebbero benissimo sostituire quelle del Manzoni sul lago, e Zerba con le sue "case sparse sul pendio come branchi di pecore pascenti" completerebbero l’opera, e, il Manzoni se si fosse trovato qui e non sul lago, avrebbe di sicuro creato la stessa magnifica opera de "I Promessi Sposi".
La Val Boreca è bella quanto la Val Trebbia ma io sono nato li, e non c’e nessun altro paese al mondo piu bello del tuo. Più di sessant’anni a contare gli ultimi giorni d’agosto che poi bisognava tornare in città e farli durare il più possibile, sessant’anni ad aspettare gli altri undici mesi per tornare lassù e passare un altro agosto a respirare a pieni polmoni e ritemprarti per gli altri prossimi undici mesi e via di seguito ad ogni anno.
Ma ora le cose sono cambiate, eravarno in due a provare questo strazio e ora sono solo, sono solo in questo 2008 che "lei" se ne è andata prima, ha voluto precedermi e salir lassù da sola, è andata su il diciannove aprile e non ha voluto aspettare il solito agosto.
Ma lei aveva la fede totale e senza dubbi, diceva sempre che lassù a Zerba (pur essendo nata e cresciuta a Genova) si sentiva felice perchè le pareva d’essere piu vicino al cielo ma not riusciremo a fare altrettanto? Riusciremo ad avere la sua fede? Ci aiuterà a conquistarla? Sarebbe atroce se non ci riuscissimo e dobbiamo pregarla che ci aiuti. Solo con la fede si potrebbe continuare a vivere quei tre giorni che ci mancano per raggiungerla a riunirsi a lei per sempre. Con la fede.
In agosto ma anche a luglio sono stato molto tempo con lei e non ho provato quel dolore che era nel mio cuore da quel diciannove aprile.
Ma l’estate è volata in un soffio e il ritorno è stato doloroso. Non solo lascio le bellezze della valle che ha descritto molto bene quel giovane poeta di Gorreto, ma devo lasciare li anche un pezzo del mio cuore e d’ora innanzi non dovrò tornare solo in agosto, ma molto più spesso.
(Articolo di Dario Rebolini – Foto tratta da www.zerba.org)
Aiser scrive: |
R. Magritte – La memoria |
Ho diversi libri su Magritte, geniale artista del secolo scorso. In nessuno avevo mai trovato una spiegazione così lucida e calzante dell’opera di questo fenomenale pittore, come quella del saggio di Robert Hughes. Eccola:
Magritte è morto nel 1967 all’età di sessantotto anni, ma la sua opera continua a esercitare sugli spettatori di oggi [..] il fascino del narratore di storie. L’arte moderna era ben fornita di creatori di miti, […] ma possedeva pochi maestri con l’impulso della narrazione e Magritte […] era il suo principale affabulatore. Le raffigurazioni di Magritte erano prima di tutto storie, poi dipinti veri e propri. Ma le storie non erano narrazioni alla maniera vittoriana, tranche de vie o episodi storici: erano istantanee che fotografavano l’impossibile, e lo rappresentavano nel modo più noioso e prosaico; vignette sul linguaggio e la realtà, imprigionati nel reciproco annullamento. La maestria di Magritte come pittore dell’enigma non aveva eguali e, nonostante la grande influenza che esercitò sul modo di creare immagini (e su come lo spettatore debba decodificarle), non ebbe dei seguaci nel senso proprio del termine.
Il vero omaggio alla sua vita e alla sua arte è stata la reazione che ha suscitato a posteriori. All’interno di un movimento, il surrealismo, che aveva posto l’accento su exploit eclatanti, tumulti politici, scandali sessuali e violente crisi in parte religiose, Magritte […] sembrava la personificazione dell’indifferenza e dell’imperturbabilità. Visse a Bruxelles, non a Parigi, e restò sposato per tutta la vita alla stessa donna, Georgette Berger. In base alla concezione di bohème ed élite predicata dal surrealismo, Magritte avrebbe potuto benissimo fare il salumiere.
La svolta di Magritte avvenne nel 1927, quando trasferendosi a Parigi si trovò a vivere il movimento surrealista dall’interno […] Con la sua tecnica essenziale, lucida, Magritte dipinse gli oggetti in modo così banale quasi fossero usciti da un abbecedario: una mela, un pettine, una bombetta, una nuvola, una gabbia, una strada di provincia con casette squadrate, un uomo d’affari con il soprabito scuro, un nudo impassibile. Nel suo repertorio non vi erano molte cose, prese singolarmente, che a un qualunque impiegato belga non capitasse di vedere nel corso di una giornata qualunque nel 1935. Ma il modo in cui Magritte le combinava tra loro era assolutamente nuovo. La sua poesia era impensabile senza la banalità che egli rielaborava e trasformava, fino a sovvertire la normale nomenclatura delle cose. Il bicchiere in La Corde Sensible è un normale bicchiere, la nuvola è una normale nuvola; ma la cosa che sorprende è il loro incontro, in quella limpidezza azzurra, resa con tanta pazienza. Le più belle rappresentazioni di Magritte sembrano legate piuttosto alla descrizione che non alla fantasia, grazie alla quotidianità degli elementi da cui sono composte. […]
Magritte creò alcune tra le immagini più scioccanti di alienazione e paura all’interno di tutta l’arte moderna. Non esiste un simbolo più raccapricciante della frustrazione del congiungimento carnale di Les Amants […]
Se l’arte di Magritte si fosse limitata a scioccare non avrebbe avuto vita lunga, come è avvenuto nel caso di tante altre meteore del surrealismo. Ma il suo impegno andava più in profondità, all’interno dello stesso linguaggio, del modo in cui il significato viene comunicato o annullato dai simboli. Il suo manifesto era il celebre dipinto di una pipa, con la scritta “Ceci n’est pas une pipe”. Ed è proprio così: è un quadro, un’opera d’arte, un segno che indica un oggetto, e non l’oggetto stesso. Nessun pittore aveva mai formulato con tanta chiarezza questa verità fondamentale sull’arte e sull’attività dell’artista. […]
Come da tradizione consolidata, anche quest’anno ecco la classifica degli sms che ho ricevuto durante l’anno. Non c’è un motivo preciso per cui sono in classifica: alcuni li capisco solo io, ma non posso spiegare di più !!! In alcune parti ho messo i puntini […] dove c’è del testo che non posso scrivere… Se volete leggere la classifica degli anni scorsi eccole: 2005 2006 2007
Partiamo dal 12 posto, un amico in difficoltà: "qui ferrara..secondo te cosa posso fare x tirare 1/2 notte??". L’undicesimo posto è per un messaggio di paranoie: "Dato che non ti sei fatto sentire presumo che la cena maestri o e’ spostata o è chiusa alla mia presenza…buona serata…io vado a donzelle".
Entriamo nella top ten: "Sabato cena da guado e tavolo d’immagine alla foresta. Non hai facoltà di rifiutare." Per la cronaca, ho rifiutato! Per il nono posto diciamo che ogni tanto va bene anche tirarsela, e le persone che ti gasano sono benaccette: "nooo, sei il meglio!! grandissimo te lo sei strameritato!ee andiamo!! "
Ottavo posto per una segnalazione di strani fenomeni naturali: "Ciao, se trovo il coraggio ti faccio uno squillo, ma c’è un campo magnetico nel divano che mi attira a lui." Un posto più in alto per una reazione: "Ho saputo.."
Al posto numero sei ecco un bel pensiero negativo: "Oggi ho il morale giusto per il brallo…..cazzo mi sto sparando una para della madonna…" Al numero cinque un altro sms negativo che sintetizza un intero anno: "[…] e mi sono rotto il cazzo di tutto !". Posto numero quattro per… un pachi.. che?? "Si tutto bene.ho un pachiderma in negozio.."
Parte altissima della classifica. Medaglia di bronzo per l’investitura ufficiale: "Città del vaticano 10 10 2008 comunichiamo la nomina a gran maestra di e[…] t[…] per le bellissime referenze avute sul mondo scolastico roma0sua santità sisto secondo stasera al baito santa messa maestrale presieduta dal santo padre W hi maestri che escono con le ventitreenni". Medaglia di argento per un messaggio solo apparentemente banale, ma c’è tutta una storia dietro che non vi racconto: "Ok fratello!"
Menzione speciale per due sms: "Come va li… Picnic in famiglia o storiella estiva" e "Felpa azzeccatissima nel colore e perfetta nella misura.. un ottimo acquisto! […]"
A chi assegno la medaglia d’oro? Qual è il messagggio che mi ha fatto più piacere ricevere? Beh, devo essere onesto, non è uno solo, ma sono centinaia. Si, centinaia. Sono quelli che mi ha mandato Elisa in questi mesi. Avrei dovuto fare una top ten solo con suoi messaggi… ho preferito assegnarle il primissimo posto. Volete qualche esempio?…. NO, me li tengo tutti per me ;-)
Che musica rilassante…
da Wikipedia l’enciclopedia libera
Il Tordo matto di Zagarolo è un piatto tipico di Zagarolo.
Si tratta di un involto di carne equina con all’interno un battuto di grasso di prosciutto, aglio, prezzemolo, coriandolo, sale, ed altre spezie locali.
Cucinato alla brace di "Troppe" (viti tagliate dai vigneti "stincati") con i giusti tempi di cottura può essere infilzato allo spiedo o sulla graticola.
In alternativa può essere cucinato in padella a fuoco lento con il vino rosso locale oppure al forno con le patate.
In tutte le varianti è fondamentale cuocere a fuoco lento in modo che la carne risulti alla fine morbida e ben cotta fin nel suo interno, dove il battuto di grasso di prosciutto fondendosi condisce e da un sapore particolare alla carne equina.
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Origine e descrizione
Sono degli involtini speziati di carne di cavallo ripieni di lardo, coriandolo, pepe, peperoncino, aglio e prezzemolo cotti alla brace. La ricetta nasce nel XVI secolo, quando il famigerato Ugo di Moncada, inviato da Carlo V, diede l’avvio ad una serie di intrighi in collaborazione con i Colonna.
A questi si unirono anche i Lanzichenecchi. Gli abitanti di Zagarolo si rifugiarono nelle campagne circostanti. Un giorno un lanzichenecco ferito, con al seguito un cavallo malconcio, si rifugiò in una capanna abitata da due anziani coniugi. L’uomo, rifiutando ogni cura, fece capir loro che aveva fame e ripeteva in continuazione la parola "drossel". Il cibo però a quei tempi scarseggiava, così che, alla morte del cavallo, la donna tagliò la sua carne in sottili fettine alle quali aggiunse lardo e varie spezie e le offrì all’uomo assieme a del buon vino. Questi, una volta finito il pasto, si ubriacò continuando a gridare la parola "drossel", facendo pensare a tutti che fosse matto. Il mattino seguente l’uomo era sparito. Terminati i combattimenti, la popolazione rientrò nelle case e si diffuse la ricetta che quietò il lanzichenecco, ormai ricordato come il soldato "matto" che ripeteva in continuazione la parola "drossel", che in tedesco significa tordo. Da qui il nome di questa ricetta.