(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Category: Altro Page 59 of 74

Tutto quello che non rientra nelle altre categorie

Pane e Bugie – 2

…segue da ieri…

Qualche considerazione economica:

"Secondo le Nazioni Unite e la FAO, entro il 2050 la richiesta di cibo nel mondo raddoppierà. Chi sostiene che c’è abbastanza cibo per tutti e che basta ridistribuirlo fa un’affermazione priva di prospettiva, oltre che banalmente ingenua ed economicamente sciocca. Sarebbe come dire che il problema della povertà non sono i soldi: infatti ce ne sono abbastanza per tutti, si tratta solo di ridistribuirli. Facile vero? Come ho fatto a non pensarci prima! Il problema non è ridistribuire il cibo. L’agricoltura non è un’attività che si svolge per beneficenza. Lo scopo dell’agricoltore è il profitto. Forse che voi lavorate gratis? Invece si devono mettere i poveri del mondo nelle condizioni di produrre il loro cibo e di migliorare le loro condizioni di vita."

"L’Italia dipende dall’estero per il 40 per cento del grano duro, per il 70 per cento del grano tenero, per il 25 per cento del mais, per il 90 per cento della soia e per il 50 per cento delle carni. Ogni anno la nostra bilancia agroalimentare è in rosso per circa dieci miliardi di euro. Non è certo coltivando cipolla di Tropea biologica (per carità, ottima) o lenticchie di Castelluccio (ottime pure loro) che possiamo pareggiare i conti."

"Secondo un’analisi della Coldiretti il vino dall’Australia per giungere sulle tavole italiane deve percorrere oltre sedicimila chilometri con un consumo di 9,4 chili di petrolio e l’emissione di 29,3 chili di anidride carbonica. Che senso ha tuonare contro il vino (per altro ottimo) importato dall’Australia e poi compiacersi per le vendite di vino italiano negli Stati Uniti? Forse che ci vanno a nuoto le bottiglie di vino italiano a New York?"

Perchè comprare prodotti della zona?

"Altra faccenda invece  è il discorso di chi dice: Non mi interessa l’efficienza energetica, compro local perché mi piace di più, perché voglio sostenere l’economia locale, perché per me è meglio dare un euro al contadino italiano piuttosto che a quello cileno e così via. Mi sta benissimo. basta non giustificare questi comportamenti, difficilmente riconducibili a indagini scientifiche, parlando di emissioni di anidride carbonica e di energia. Se si afferma che <la spesa a km 0 riduce le emissioni di CO2 e il consumo energetico> è di dati numerici che si sta parlando. L’affermazione è verificabile in linea di principio, e quindi i numeri finali possono dire se la frase è vera o falsa. I numeri non si interpretano: parlano da soli."

E infine una frase che riuassume un po’ tutto il discorso:

"Pensavate che i pompelmi senza semi, i mandarini senza semi e così via fossero stati selezionati nel corso dei secoli da contadini con il cappello di paglia, la camicia a scacchi e un filo d’erba in bocca, come vuol l’immaginario popolare? Scordatevelo. Scienziati in camice bianco, maschera e tuta sterile hanno manipolato gli embrioni di quelle piante, sottoponendole all’azione della colchicina o di altri procedimenti mutageni, al fine di ottenere delle varietà commercialmente interessanti."

Finisco citando i due blog di Bressanini:

http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/
http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/dbressanini/

La Genovese

Durante il ponte del 1 Maggio siamo stati in questo ristorante nel centro di Rapallo. Per la precisione in Passo Tigullio, vicino a Via Mameli, proprio dietro all’Upim…pardon.. all’Oviesse (ma si possono citare le marche in un blog ;-) ? )

Sono gli stessi titolari del ristorante Romantico di Corso Italia, vale a dire gli stessi del pastificio che attualmente è proprio lì a fianco. L’ambiente è meno raffinato del Romantico, più da "trattoria", e fanno anche la pizza. A pranzo propongono un menu a 12 euro e alla sera il giropizza, formula che ormai sta spopolando un po’ dappertutto. Io ho preso della pasta "paglia e fieno" con un ragù di carne che era veramente una figata (= squisitezza, prelibatezza, leccornia, insomma: una figata!), poi una cotoletta di pollo morbidissima con crocchette di patate. Elisa ha preso delle trenette con pesto, panna e pomodoro, e la cotoletta coi finocchi gratinati. Le porzioni sono sicuramente abbondanti, alla faccia della leggenda che vuole i luguri corti di braccio. Infine abbiamo preso due fette di una torta che non era il massimo, in quanto troppo dolce e troppo pasticciata. In definitiva: da provare, spendete poco e mangiate bene. Occhio: meglio prenotare, anche se nel nostro caso non è servito perchè ci hanno fatto accomodare lo stesso con quasi 40 minuti di ritardo, cosa che io non sopporto. Consideriamo tuttavia che era giorno di (quasi) festa (era lunedì 30). Ho messo un sacco di parentesi in questo post ;-)

 

Chinotto

Decidere di scrivere questo post mi è costato molto… perchè d’ora in avanti vincerò meno scommesse. Infatti la mia scommessa di gran lungo preferita è quella sul chinotto. Quante volte mi è capitato di parlare del chinotto come se fosse un frutto e sentirmi dire: "Ma sei impazzito? Il chinotto è una bevanda creata artificialmente, come la Coca Cola!". Io non aspetto altro e ci piazzo la zampata: "Ah si? Beh, allora scommettiamo!". E giù vittorie: bevute gratis, pizze, gelati… Ma ormai basta, è giunto il momento di rendere pubblico questo sconvolgente segreto: il chinotto è un agrume !!!

Per la precisione si chiama Citrus myrtifolia, chiamato così perchè le foglie della pianta ricordano quelle del mirto (che, ebbene si, è una pianta, prima ancora di essere un liquore).

Il frutto ha l’aspetto di un’arancia, forse un po’ più piccolo, dal gusto molto molto amaro e praticamente immangiabile. Come faccio a sapere tutte queste cose? Beh in Italia le piante di Chinotto sono presenti in Calabria, Sicilia, Toscana e Liguria. Per esempio a Rapallo, ameno luogo di mare da me frequentato, utilizzano gli alberi di chinotto come piante ornamentali (per esempio in via Gramsci).

Dal frutto si ricava l’omonima bibita, che va molto soprattutto in Italia (all’estero la bevono solo gli emigranti italiani). In alcuni locali infatti ho visto la versione del famoso cocktail "Cuba Libre" composto da Rum e Coca-Cola fatta con il chinotto e chiamata "Italy Libre" (un nome, ahimè, penoso). La bibita più famosa attualmente è quella della Nestlè "Chinò Sanpellegrino", seguita da tante altre che puntano sul marketing del "vero chinotto", come la Abbondio di Tortona o la Lurisia con il chinotto di Savona.In tutti i casi si tratta di bevande che "contengono" succo di chinotto, a parte la Fanta Chinotto (rarissima) che stranamente non annovera questo agrume tra i suoi ingredienti!!!

Nati con la cravatta

Ci sono parecchi modi per fare il nodo alla cravatta. Molti pensano che sia una cosa complicata, e talvolta lo è, ma non scoraggiamoci: si sono dei nodi di facilissima realizzazione. Basta un poco di pratica davanti allo specchio e i risultati saranno soddisfacenti. Eccone alcuni (fonte: Nodi-di-cravatta.com)

Il nodo semplice è il grande classico dei nodi per cravatta. È ampiamente il più utilizzato, poiché si tratta del più semplice da realizzare e si accorda con la maggior parte delle cravatte e praticamente con tutti i colli di camicia. Lascia la cravatta molto lunga, quindi va bene per le persone alte, oppure per le cravatte corte.

Il nodo doppio è molto simile al nodo semplice, differenziandosene per il fatto che necessita una seconda rotazione; all’inizio, la gamba della cravatta deve essere passata per due volte attorno alla gambetta.
Di aspetto più spesso rispetto al nodo semplice, il nodo doppio è ideale con la maggior parte delle camicie. È perfetto anche con tutte le cravatte, eccetto quelle troppo spesse.

Il nodo Windsor è il nodo delle grandi occasioni. Molto inglese, il suo nome deriva dal Duca di Windsor, che lo ha reso popolare.
Visto il suo volume importante, deve essere realizzato preferibilmente su dei colli aperti, come i colli italiani.
Talvolta complesso da realizzare, deve, per essere perfetto, cadere esattamente al centro del collo e nascondere l’ultimo bottone della camicia.

Il mezzo Windsor assomiglia al nodo Windsor, essendo al contempo meno spesso e più facile da realizzare.
Si accorda idealmente con delle cravatte fini o poco spesse. Elegante e triangolare, si porta di preferenza con una camicia a collo classico o con una camicia a collo aperto.

Il nodo piccolo è, come lo dice il nome, piccolo.
Si accorda in modo particolare con le cravatte spesse o con le camicie a collo stretto. Deve essere evitato con le camicie a collo lungo o aperto.
Relativamente facile da realizzare, necessita tuttavia un “avvitamento” di 180°. Il nodo piccolo è il modo più semplice per annodare una cravatta.

Guadagnare con le foto

Questo è un articolo dedicato a tutti i miei amici fotografi. Ovviamente parlo per quelli che non lo fanno per professione….oppure anche a quelli (un arrotondamento potrebbe non fare male, no?)

Magari sono servizi che conoscete già , ma ve li segnalo lo stesso. Sono siti che permettono di guadagnare con le vostre foto: ti iscrivi, mandi le tue foto e se qualcuno le acquista… guadagni!!
Ci sono diversi siti con diverse modalità. Solitamente accettano solo foto di alta qualità (come il latte granarolo).

Io ho provato a mandare qualche mia foto, ma le hanno scartate: errori nell’esposizione, disturbi, luce sbagliata, ecc. Insomma errori da fotografo della domenica come me, che fa fotografie algi amici che fano le boccacce e senza pretesa di far foto "belle", quelle da farci un quadretto. Voi che invece ne siete capaci e che ne avete voglia, ecco i link. Tentar non nuoce, l’iscrizione è gratis, basta solo mandargli le foto e chissà… magari si vendono!!

FOTOLIA
http://it.fotolia.com/

DREAMSTIME
http://www.dreamstime.com/

123RF
http://www.123rf.com/

iSTOCKPHOTO
http://italiano.istockphoto.com

SHUTTERSTOCK
http://www.shutterstock.com/


Sara, Manu e Lorenzo

In caso di Zombie!

Magari voi siete lì, tranquillamente adagiati sul vostro divano, attratti come fosse un’elettrocalamita. Tutto ad un tratto: zak! Parte l’attacco degli Zombie. Vi trovate la casa infestata dai non-morti. Cosa fate? Siete sicuri di saper far la cosa giusta? Per fortuna c’è chi ha pensato di preparare poche semplici istruzioni, eccole: (clicca per vedere l’immagine a grandezza reale)

(tratto da ZombieKB)

Fà Ballà l’Oeucc

Siamo stati in questa trattoria di Baggio (Milano) un venerdì piovoso di Aprile. Abbiamo scelto il venerdì perchè è il giorno in cui fanno il gnocco fritto. Lo so che voi puristi state inorridendo per il fatto che siamo andati a mangiare il gnocco fritto a Milano, ma c’è chi dice che sono un po’ brambillafumagalli, e poi datemi retta: se ci andate vi ricrederete.

Il posto non è difficile da trovare (beh per forza, ho il navigatore!), è al centro di Baggio, proprio di fronte ad una piazzetta dove facilmente potreste trovare parcheggio. Il mio amico Davide va spesso in un locale a pochi passi, lo Zoe Club.

E’ un localino tipico, non aspettatevi un posto chic, di giorno è frequantato da magutt e impiegati, al pomeriggio te podi truvà i vegett ch’i beven ‘l vin e alla sera compagnie di amici, coppiette e amanti della buona tavola di una volta.

Dopo un buon bis di primi (pasta ai formaggi e panna,prosciutto & piselli), ci hanno servito due piatti di salumi e formaggi, accompagnati da un cestino (che poi son diventati due) di gnocco fritto ancora bollente. Il tutto accompagnato da un discreto vino rosso della casa in brocca. Ragazzi, vale la pena farci un salto, specilmente se siete di Milano: tanta resa e poca spesa!

Caffè del Centro – Varzi

Per chi non fosse mai stato a Varzi, vi consiglio di andarci: il centro storico è veramente carino e vale sicuramente la pena visitarlo. Tra la strada che scende dall’Alta Valle Staffora e la Piazza della Fiera si snodano una moltitudine di viuzze strette circondate da case spesso in pietra a vista e talvolta dotate di portici, che rendono l’ambiente molto medioevale.

In una di queste vie potete trovare il ristorante Caffè del Centro. Ci siamo stati io e Elisa la scorsa settimana. Anni fa era gestito dai miei amici Paolo e Monica, adesso siamo stati accolti da Alessandro (quella sera era da solo, perchè la sua tipa non c’era). Il posticino è molto intimo, l’ambientazione è familiare, ma curata. La scelta dei vini mi è parsa molto buona, noi abbiamo scelto un Great Ruby di Monsupello, un rosso frizzante per festeggiare il mio compleanno, di uva croatina e barbera. Inevitabile assaggiare dei salumi, visto che eravamo nella patria del salame crudo. Ragazzi, è inutile che mi venite a dire: il salame di varzi è il migliore del mondo. E se volete il mio parere: quello buono non lo trovate SOLO a Varzi, ma in tutta la Valle Staffora. Se prodotti coi giusti criteri ci sono dei salami, spesso artigianali, che magari non hanno la denominazione "di Varzi", ma sono altrettanto buoni, se non di più.

Come primo piatto abbiamo assaggiato ( = divorato) dei ravioli di brasato col ragù di brasato ("alla varzese"), devo dire veramente buoni. E poi direttamente al dolce.. squisito: una cialda con mascarpone e fragole deliziosamente adagiato sul piattino che pareva chiedesse di esser gustato (ed è stato accontentato, naturalmente).

Quindi location, posto, proprietario, cibo, ambiente, vini… tutto OK ! Consigliato !

Nati con la sciarpa

Anche la sciarpa ha diversi modi per essere portata: ci sono almeno 8 differenti tipi di nodi, vediamoli:

  1. Nodo semplice: mettete la sciarpa al collo e fate un nodo: più semplice di così! Non tirate troppo perchè soffochereste. Regolate i due lembi per farla cadere bene.
  2. Giro semplice: fate fare alla sciarpa un giro intorno al collo: semplice…ma efficace!
  3. Giro con nodo: è una variante di quello precedente, dopo aver fatto un giro fate anche un nodo. La sciarpa sarà più stabile.
  4. Doppio giro: è come il giro semplice, ma, come dice il nome, prevede due giri. Occorre una sciarpa più lunga.
  5. Nodo francese: è quello che io uso più spesso (e chi se ne importa direte voi). Prendete la sciarpa, piegatela a metà nel senso della lunghezza. Mettetela al collo e fate entrare i due lembi nel cappio che si viene a formare. Et voilà, il gioco è fatto.
  6. Incrocio: è uno stile British. Mettete la sciarpa al collo e fate scendere il lembo destro a sinistra e viceversa. I due lembi vanno sotto la giacca.
  7. Il falso nodo: prendete un lembo della sciarpa e fate un nodo, poi fateci passare l’altro lembo. Otterrete un "cappio" da indossare. Appare come un nodo di cravatta ed è adatto per sciarpe di materiale leggero.
  8. Per finire inserisco il video di un ulteriore nodo: quasi complicato come fosse anche questo il nodo di una cravatta

Questo gatto non è un cane!

Il mio gatto, anzi la mia micia, si chiama Milli. E’ il diminutivo di Millicent. Ha quasi 4 anni, anche se di preciso non lo so, visto che la sono andata a prendere quando era piccolina, ma nessuno sapeva dirmi con certezza quanto tempo avesse. Dovevo scegliere tra quasi una decina di micetti. Io preferivo una femmina, in quanto i maschietti, per loro natura, sono abituati a  "marchiare il territorio" in casa. Si, ci mancava anche questa! Allora preferisco sopportare i miagolii di una micia fuori di testa quando va in calore.

Me ne piaceva una, ma l’ho vista mogia mogia, pareva quasi malaticcia. In quel momento un’altro gattino mi si arrampica con le unghie sui jeans. Lo prendo in braccio e "verifico": è una femminuccia! Allora, ok, è stata lei che ha scelto me, vada per questa pallina di pelo. Almeno è vispa.

Non sapevo ancora cosa mi sarebbe capitato. Non era solo vispa, era un disatro. Non la fermavi neanche a revolverate! Saltava di qua e di la, tirava giù tutto. E’ incredibile quanto un piccolo esserino possa essere tanto dannoso. E’ riuscita anche a rompermi un telefono cellulare e addirittura la tavoletta del water !

Il nome è nato durante una chiacchierata con un amico davanti a una birra. "Millicent", subito abbreviato in Milli. La quasi totalità della gente non ha mai sentito il nome Millicent, ma vi assicuro che è un nome femminile anglosassone. E’ anche il nome di un personaggio dei fumetti Disney.

Col tempo si è notevolmente calmata. Non è una coccolona come la micia che avevo prima, però sa farsi voler bene quando vuole. Magari sono al computer e mi si accoccola sulle ginocchia, ma poi finisce che si mette a giocare col filo del mouse (d’altronde.. è un topo!) e alla fine la "scaccio". Meglio quando guardiamo la tv insieme sul divano. Ma il suo passatempo preferito è giocare alla lotta. Mi stuzzica, fa finta di scappare, poi si ferma e si mette a pancia all’aria con gesto di sfida. In quei casi è abbastanza intelligente da non tirar fuori le unghie, mi da solo delle zampate, ma poi dopo un po’ si stufa e scappa. A volte le piace anche giocare agli "agguati". Si avvicina quatta quatta, anche se lo sa benissimo che la vedo. Allora faccio finta anch’io di nascondermi e quando arriva vicina fa un balzo in aria…e poi scappa a nascondersi di nuovo: mi fa troppo ridere. Come tutti i gatti ama anche giocherellare con i vari oggetti: con le palline, ma anche con qualsiasi altra cosa di piccolo trovi in giro.

Ha una fobia particolare per il cortile di casa mia, le rare volte che l’ho messa lì o anche solo sul balcone era terrorizzata. Non ha per niente paura invece della via davanti a casa. Quando esco a prendere il caffè o per andare al lavoro mi segue lungo la via fino ad un certo punto, poi si accorge di essersi allontanata troppo e si ferma. Quando torno verso casa si accorge di me da lontano, anche se non mi vede. Probabilmente riconosce il passo, oppure mi annusa, fatto sta che esce sulla strada e mi viene incontro, come fosse un cagnolino. Mi fa le feste e mi accompagna verso casa. A volte, per divertimento, mi fermo oppure al contrario allungo il passo, o mi metto a correre. Lei si ferma, o accelera, o si mette ad inseguirmi. Talvolta c’è qualcuno di passaggio che ci guarda e ride: un gatto che si crede un cane!

Nati con la camicia

La camicia è composta da una serie di elementi che ne danno la forma. Questi, combinati fra loro, generano un numero infinito di camicie diverse. La camicia è caratterizzata dal colletto, i polsini, i bottoni, le tasche e altri dettagli che differenziano una camicia dall’altra.

Il colletto è l’anima della camicia; è l’elemento che ne determina la personalità e lo stile. I colli più comuni sono:

  • Collo italiano: è un collo con apertura larga, con le punte che tendono a fuggire via, è molto formale e perfetto con il doppio petto. Ospita nodi di cravatta importanti. E’ il più conosciuto e il più utilizzato.
  • Collo francese: è un collo con apertura molto larga. Adatto ad un abbigliamento formale e a nodi di cravatta voluminosi.. Esiste anche la variante detta "mezzo francese" che ha le ali leggermente più chiuse. Pare che i francesi lo chiamino "all’italiana" !
  • Button Down: colletto nelle cui punte sono tagliate due asole in cui si inseriscono due bottoncini cuciti sul davanti sottostante. E’ un collo comodo e sportivo, perfetto anche per l’informale. Ospota nodi di cravatta anche corposi. Può essere portato anche senza cravatta. Adesso ci sono anche quelli coi bottoni nascosti.
  • Coreana: colletto piegato che rimane aderente al collo e cucito o attaccato allo scollo, da cui è separato tramite una piega. Veniva utilizzato in passato per camicie lunghe o tuniche.
  • Cerimonia: detto anche diplomatico è un collo con le punte piegate verso l’esterno. E’ indicato per situazioni in cui è importante l’eleganza.

Il polsino di solito è alto circa 7 cm, deve spuntare di circa un centimetro sotto la manica della giacca. I polsini possono essere ad angolo pieno, angolo smussato e arrotondati. Molti presentano due bottoni per meglio regolare la larghezza.

Per quanto riguarda la vestibilità ci sono varie tipologie di camicie, anche caratterizzati  da accorgimenti di tagli particolari (per esempio a fondo quadrato oppure tondo, o fondo posteriore più lungo di quello anteriore).
Principalmente abbiamo due vestibilità: regolare (una vestibilità classica) e slim fit (per una linea più asciutta – esiste anche la variante super slim fit che  sta bene solo a quelli decisamente magri)

 

Addio, Lira !

Manca poco: il 29 febbraio 2012 sarà l’ultimo giorno in cui si potranno cambiare le care vecchie lire alla Banca d’Italia., dpo dieci anni dall’introduzione dell’euro. Se ne avete ancora nei cassetti, nelle tasche di vecchi cappotti, nei materassi del nonno, tiratele fuori e portatele in banca. Ma avrete un’amara sorpresa: il governo Monti, con DL 201/2011, ha fissato la prescrizione dal 7 dicembre 2011. Quindi le vostre lire non valgono più niente. Nulla. Zero. Solo un valore numismatico o affettivo. E pensare a quanto valevano una volta… che bei tempi.

Addio cara vecchia lira, ci manchi.

Alcuni brani tratti da VoceArancio:

«Per una lira io vendo tutti i sogni miei. Per una lira ci metto sopra pure lei» (Per una lira, Lucio Battisti, 1966).

Mancano all’appello anche 300mila pezzi da 500.000 lire. Messe in circolazione nel 1997, con una tiratura di 380 milioni di pezzi, le banconote da mezzo milione sono state le più preziose mai stampate dalla Banca d’Italia. Rimaste sconosciute alla massa per quasi tutta la loro esistenza, durata appena tre anni, le banconote da 500mila lire sono blu e sono dedicate a Raffaelo Sanzio, del quale riproducono tre opere: l’autoritratto, che è conservato nella Galleria degli Uffizi, l’affresco Il Trionfo di Galatea, nella villa Farnesina, e la Scuola di Atene, nei Musei Vaticani.

La Banca d’Italia non si aspetta un boom di restituzioni. Possibile però che l’imminente cambio di stagione porti fortuna. A Via Nazionale hanno fatto caso che sempre, nei momenti di passaggio dal caldo al freddo, la gente finisce per ritrovare nelle pieghe di un vecchio giaccone o nelle tasche di un pantalone pesante, i preziosi, dimenticati «tagli» e li riporti alla banca centrale.

Spesso le vecchie lire saltano fuori quando muoiono degli anziani, tra i quali c’è chi ancora tiene i soldi sotto al materasso o dentro un baule. Solo al momento del trapasso, questi biglietti vengono fuori. Un funzionario di Bankitalia racconta che nel Sud un giovanotto qualche settimana fa si è presentato con 10 milioni di lire ancora legati con lo spago. Erano del nonno, scomparso da poco.Fino a tre milioni di lire la Banca d’Italia non chiede particolari formalità per cambiare le lire in euro. Oltre questa soglia occorre presentare un documento d’identità.

Spesso in Banca d’Italia si presentano persone con in mano banconote scolorite, appiccicate, sbrindellate, magari con la filigrana penzolante. Sono i biglietti che per errore sono stati lavati e centrifugati, distrutti per sempre. La «quota» di pezzi ormai inservibili rappresenta una discreta fetta delle lire che mai rientreranno in cassa.

Per fare una lira dell’unità d’Italia oggi ne servirebbero oltre 8.577 (quattro euro e mezzo). Per fare una lira degli anni Cinquanta, dopo il boom inflazionistico successivo alla seconda guerra mondiale, ne basterebbero 34.

Secondo le tabelle di rivalutazione Istat mille lire del 1938 equivalgono a circa 845 euro odierni.

«Se potessi avere mille lire al mese, senza esagerare, sarei certo di trovare tutta la felicità» (Mille lire al mese, Carlo Innocenzi e Alessandro Soprani, scritta per l’omonimo film del 1938)

.

 

Gli attacchi degli sci

Come ben sapete, e se non lo sapete ve lo dico io, gli sci  sono formati dallo sci (appunto) e dall’attacco di sicurezza. Ormai la grande maggioranza di questi attrezzi escono già dalla fabbrica con gli attacchi integrati, regolabili dal venditore in base allo scarpone, al peso e stile di sciata del cliente. Fino a qualche anno fa invece la normalità era che gli attacchi erano un’entità separata dallo sci, e occorreva fissarli al momento dell’acquisto.

Noi venditori abbiamo sicuramente la vita più facile coi nuovi modelli: prendi un cacciavite e in meno di 5 minuti fai tutte le regolazioni. Sono rari gli sci a cui devi mettere gli attacchi ancora "a mano".

Io ho imparato a fare questo lavoro fin da ragazzino. Nel negozio dei miei genitori era mia mamma la "ski man" (le "ski woman" non erano contemplate a quei tempi..e forse neanche a questi tempi!) e gli attacchi li montava lei. Ha partecipato anche a diversi stage organizzati dalle ditte produttrici per spiegare le nuove tecnologie e le nuove tecniche. Quando avevo circa 12/13 anni ho iniziato a farle da assistente. Lei mi ha insegnato la tecnica, i trucchi e il fatto che ogni lavoro è diverso dall’altro. Ho avuto un altro maestro, Fiorello (no, non quello della TV!)  che mi ha insegnato la precisione.

Una volta venduti gli sci, li si mette sul banco di lavoro e si fermano in una morsa. Poi si prende una "maschera", detta anche "dima". E’ un aggeggio, fornito dalla ditta produttrice degli attacchi, che permette di fare i fori sullo sci nel punto giusto, una volta regolata in base alla lunghezza dello scarpone. Una gran bella comodità: prima ancora si faceva tutto a mano, occorreva fare dei calcoli e delle misurazioni precise al millimetro per individuare il punto giusto dove forare.

Si fissa la maschera sullo sci, la si sblocca, la si regola in base allo scarpone del cliente e poi la si blocca. A questo punto la si posiziona in modo che, una volta finito il lavoro, la metà dello scarpone risulti in un punto ben preciso dello sci (che non è la metà, ma un po’ più indietro verso la coda). Per fare questo c’è un segno sulla maschera che deve essere allineato ad un segno ben preciso sullo sci (anche questa operazione una volta andava fatta a mano, segnando con una squadra e una matita un punto dello sci e poi facendo dei calcoli)

Ora bisogna forare. Per prima cosa bisogna scegliere la punta del trapano da usare. Le punte sono un mix tra quelle per il legno e quelle per il metallo. La cosa simpatica e utile è che sono costruite in modo che, anche volendo, il foro risulti di una lunghezza predefinita. I diametri più comuni sono quelli da 3,5 e da 4,1 millimetri. Le lunghezze variano da 7 a 10 millimetri. Solitamente gli sci meno strutturati, come quelli da bambino, necessitano una punta piccola e corta, viceversa per gli sci molto tosti occorre quella grande. In ogni caso la punta più grossa è andata via via scemando di utilità, in quanto da una decina di anni gli sci hanno una struttura esterna molto meno rigida di una volta e si forano meglio.

Ricordo quella volta che mi è stato concesso di preparare il mio primo sci tutto da solo: era per la morosa di un ragazzo di Brallo, il quale mi disse: "Sei bravo, eh? Chissà quanti ne hai già preparati". La morosa, attuale moglie e madre di figli, è tuttora viva e vegeta, quindi mi è andata bene.
Certo, negli anni gli errori non sono mancati: sbagliare maschera, non regolarla sulla lunghezza dello scarpone, perdere una vite… insomma il campionario dei casini combinati è vario. Anche qui c’è da dire che negli ultimi anni gli errori si sono praticamente azzerati, vuoi per l’ormai più che ventennale esperienza, vuoi per il sopracitato meccanismo di integrazione sci-attacco che lascia ben poco spazio al lavoro dello ski-man (e quindi anche ai possibili errori). (ecco, adesso me la sono gufata, speriamo bene)

E poi ricordo quel periodo, primi anni ’90, in cui gli sci erano durissimi e si faceva una fatica bestia a far entrare le viti, e dovevi avvitarle e svitarle più volte per cercare di farle entrare. E quella volta che mi sono fatto un bel taglio sulla mano perché ho "pulito" il foro appena fatto, dimenticandomi delle schegge di metallo. E quella volta che si è rotto il filettatore dentro al foro. E quella volta che era tutto giusto: maschera, regolazioni, punta, ecc, solo che per un inspiegabile motivo l’attacco era di un particolarissimo modello che aveva altri fori. E quei pomeriggi in cui mi capitava di preparare anche una ventina di paia di sci. Ovviamente tutti uno diverso dall’altro e tutti di clienti con una fretta pazzesca. Eh si, perché magari stavano lì tutto il pomeriggio a pensarci, poi una volta decisi pretendevano lo sci pronto immediatamente. E allora venivano lì a vedere, a chiedere, a insistere, a parlare, a curiosare… insomma a rompere le scatole: il modo migliore per farmi deconcentrare e quindi perdere ancora più tempo.

I più facili da montare erano i Salomon, i più complicati gli ESS / Atomic, ma anche i Tyrolia Freeflex. Non mi sono mai piaciuti i Look. I Geze e i Marker erano senza infamia e senza lode. Parlo per il lato montaggio, chiaramente, non discuto sulla validità tecnica.

Attualmente quasi tutte le marche si sono integrate: la Rossignol faceva solo sci, adesso fa sci, attacchi (rilevando la Geze e la Look) e scarponi. Salomon faceva attacchi, adesso fa anche sci e scarponi (rilevando la Sangiorgio). Nordica faceva scarponi e adesso da anche sci e attacchi, ecc. Ormai offrono tutti la gamma completa. E, come detto, gli attacchi sono spesso integrati nello sci: si montano ad incastro oppure con le viti, ma occorre più forare direttamente lo sci, quindi sempre più il trapano e soprattutto le maschere diventano strumenti non necessari.

Era ora, aggiungo io, e chiudo. Buona sciata a tutti.

Biscottini alle noci

A grande richiesta vi darò la mia preziosa e segretissima ricetta dei miei biscotti alle noci.

Io sono un avanguardista della cucina, e non seguo le ricette in modo sistematico, preferisco modificarle a mio piacimento in base al mio gusto personale e a come sta andando quello che sto preparando. Pertanto non stupitevi se non sarò preciso nelle quantità e nei tempi.

Occorrente:

  • Burro
  • Zucchero
  • Farina
  • Noci (ma andrebbero bene anche nocciole o mandorle)

Prendete una bella padella (io la uso bella larga) e schiaffateci dentro un sacco di burro, diciamo circa 400 grammi. Fatelo sciogliere. Non dovete farlo friggere, solo sciogliere. Usate un cucchiaio di legno per facilitare la cosa e per "sbatterlo" un po', come fosse un uovo. A questo punto versatelo in una bella scodellona grande (una "biella") e aggiungete lo zucchero, almeno la stessa quantità, a poco a poco in modo da farlo sciogliere, se possibile. A questo punto aggiungete la farina, sempre a poco a poco, in modo che non si formino dei grumi. Impastate e impastate e impastate, finchè non otterrete una specie di pasta abbastanza consistente. Io uso circa mezzo chilo di farina.

Nel frattempo prendete un saccheto di noci e sbriciolatele. Io che sono pigro le taglio sul tagliere col coltellaccio, come fosse prezzemolo, perchè farlo "a mano" mi tedia. Versate le noci nella pasta e mescolate il tutto. L'ideale sarebbe poi metterla su un piano e tirarla col mattarello. Io non dispongo di tale attrezzatura e la schiaccio con le mani. La pasta, a causa del burro, è una roba abbastanza unta e bisunta.

Prendete una bella teglia, imburratela ben bene. Tagliate dei "pezzi" della vostra pasta. Io nel mio piccolo uso un bicchierino per fare dei biscotti rotondi. Solo che poi mettendoli in forno, probabilmente perchè la mia pasta è sempre troppo poco consistente, si sciolgono un po' e diventano quadrati :-)

Mettete i vosti biscotti nella teglia e infornate. Ci vuole abbastanza tempo. Io farei così: li metto in basso a fuoco alto in modo da dargli una botta di fuoco, poi li sposto in alto e tengo il fuoco basso e li tengo un bel bel po'. Ma proprio un bel po', diciamo una quarantina di minuti.

Cmq basta aprire il forno ogni tanto e dargli un'annusata, un'occhiata e magari un assaggino. Quando li reputerete abbastanza pronti spegnete pure, raffreddandosi acquisteranno ulteriore consistenza.

Gli ingredienti che vi ho detto producono un paio di teglie di biscotti. Se ne volete fare una sola, dimezzate gli ingredienti (così potete anche sperimentare se vi vengono)

Sono biscotti dietetici, con poche calorie e pochi grassi. Un biscotto equivale a un pasto completo.


Visivamente fanno abbastanza schifo, è una parte che devo ancora migliorare. L'importante è che siano buoni :-)

Una questione di famiglia

Mi arriva un sms di mia sorella che mi dice che deve scrivere una giustificazione per mia nipote (cioè sua figlia) per la scuola e mi chiede se, secondo me, si scrive FAMILIARI oppure FAMIGLIARI.

Io farei così: se dovessi usare l’aggettivo nel senso di "qualcosa che riguarda la famiglia", metterei la GL, e quindi famiGLiari. Se invece intendessi dire "ben noti, abituali", scriverei con la L, quindi famiLiari. A questo punto, dopo aver sparato la mia cazzata del giorno, cerco di informarmi su internet. Non prima di aver suggerito una scappatoia a mia sorella: scrivere "DI FAMIGLIA" !

Tralasciamo yahoo anwser, dove ognuno dice la sua, trovo sul sito del Corriere della Sera una riflessione a firma di Ivana Palomba, che dice che le due espressioni sono altrettanto valide, anche se la prima è forse più usata e più corretta (quella con la L). Fa anche dei riferimenti a vari scrittori che volutamente tralascio perchè, vivaddio, io nel 2012 non voglio certo scrivere come Manzoni. Mi spiego meglio per non sembrare impudente con questi paragoni: ognuno vive, e scrive, nel tempo in cui si trova. Manzoni è uno dei creatori dell’italiano moderno, ma la lingua è una cosa viva e oggi si parla e si scrive in modo diverso. La grammatica non è matematica, per fortuna. (Detto questo: nei Promessi Sposi vengono utilizzate entrambe le forme).

Elisa mi dice invece che le sue maestre le hanno sempre insegnato che si scrive famiLiari, con la L, e che la grafia con la GL sarebbe stata cassata ed evidenziata con una bella matita rossa. Cosa ne dice in proposito l’Accademia della Crusca?

Per prima cosa spiega il perchè delle due forme. Il latino non aveva la G, e la parola FAMIGLIA si scrive con la G perchè deriva dalla lingua parlata, che adotta la versione palatale. FAMILIARE invece è una parola più "dotta" che deriva dalla lingua scritta e discende direttamente dal latino. Nel tempo tuttavia, è apparsa anche la versione più volgare FAMIGLIARE che è comunemente accettata. Pertanto non si può discutere di "giusto" o "sbagliato", ma consiglia comunque di utilizzare la versione "dotta", che fa più figo.

Stessa sorte per le parole FILIALE o FIGLIALE, la prima è la più dotta, cionondimeno (che si può scrivere anche ciò nondimeno) la seconda è stata utilizzata anche da Goldoni, Foscolo, Nievo, D’annunzio… E qui si può chiudere la discussione con un bel: e chi se ne frega ! :-)

Page 59 of 74

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén