è Natale… ma io non ci sto dentro
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Tutto quello che non rientra nelle altre categorie
- L’etichetta dei vestiti che punge
- I sacchetti della spesa che si tagliano
- Le persone che stanno bene, qualsiasi cosa indossino
- Una mosca in auto, o peggio una zanzara
- Non ricordarsi le parole di una canzone
- Quelli che ti chiedono le cose, ma poi fanno come vogliono loro
- Le risatine delle ragazzine ochette
- Ammalarsi in vacanza
- Quelli che non ringraziano quando gli tiene la porta aperta
- Scattarsi col coperchio della pentola
- Dimenticarsi il PIN del bancomat
- La torcia che quando serve ha le pile scariche
- Quelli di SKY, Fastweb, Wind, Enel, ecc.
- I panini al salame con dentro poche fette
- I bagni degli autogrill
- Hai trentasette penne e nessuna scrive
- Dimenticarsi di non puntare la sveglia quando invece puoi dormire
- Quando ti dicono che hai un capello bianco
- Il distributore automatico che ti mangia i soldi
- I volantini sotto ai tergi
- La birra analcolica
- I dossi rallentatraffico
- Saltare il casello di uscita in autostrada
- Gli adesivi "Bebè a bordo"
- Quelli che non abbassano gli abbaglianti
- Il cellulare che non prende
- Quelli che ti dicono "stai tranquillo, non arrabbiarti" quando sei arrabbiato
- La rucola che ti si incastra tra i denti
- Non trovare la chiave giusta in un mazzo di ventisette chiavi
- Dover cambiare l’ora all’orologio quando c’è l’ora legale
- Il conto del supermercato è €10,01 e tu hai 10 euro oppure cento !
- Tagliarsi con la carta
- Perdere il segno del libro che stai leggendo
- Dimenticarsi di comprare proprio quella cosa per cui eri andato al supermercato
- Parcheggiare talmente vicino al muro che devi uscire dall’altra portiera
- Le email di SPAM
- I peli del gatto sul maglione blu appena messo
- La gente che tira i bidoni
- Non sapere che ore sono
- Dimenticarsi il foglietto con segnate le cose da ricordare
- Scrivere i post del blog quando non sai cosa scrivere
- Quelli che insistono
- Gli amici di convenienza
- Le foto che ti fanno gli altri che non vengono bene
- Il cell scarico quando ti serve
- Quando manca un centesimo per pagare il conto e allora devi cambiare 100 euro
- Andare a dormire presto e svegliarsi stanchissimi
- Farsi la barba
- Perdere il segno nel libro che stai leggendo
- Le scarpe che fanno bagnare i piedi
IN QUESTO MONDO DI LADRI
Entra una signora, fa un giro e sta per uscire dicendo:
"Ripasso quando ho più tempo"
"Va bene signora, ha visto quante belle cose?"
"Si, si sono già venuta quest’estate a fare un po’ di refurtiva".
Spero intendesse "rifornimento" o_O !
MA CHE TE LO DICO A FARE?
Una signora vuole una tuta sportiva per il marito.
"La volevo di questo modello, ma ha solo questa grigia chiara"
"No signora, ne ho altre, che taglia ha bisogno?"
"La volevo di questo modello, ma lei ha solo questa chiara, la volevo scura"
"No signora, di quel modello ho altri colori. Che taglia le serve?"
"Si, ma io la volevo di questo modello, ma lei non ce l’ha"
"Siiiiii che ce l’ho signoraaaaaaa!!! Se mi dice che taglia ha bisogno le faccio vedere gli altri coloriiiiiiiii"
"XXL"
"Eccole, c’è nero, blu e grigio scuro"
"Va bene, prendo quella grigia chiara" (come volevasi dimostrare)
"D’accordo, poi se per caso non dovesse andare bene può cambiarla"
"Va bene, ma le posso chiedere una cosa? Se non dovesse andare bene posso cambiarla?"
"Si signora, certo" (ma che te lo dico a fare?)
AZZURRO
Entrano marito e moglie. La moglie mi dice:
"Mio marito vuole questo maglione azzurro, ma di un altro colore".
(ma perchè il marito non ce l’ha una voce?)
"Guardi signora, qui ci sono tutti i colori, quale le piace?"
"Azzurro"
"Ma è quello che lei ha in mano"
"No, ma io volevo un azzurro più chiaro, e poi questo è una XL, non vede che mio marito è magro?"
(Signora, non si arrabbi, io non le ho detto niente, ha fatto tutto lei)
TUTA
Poi ci sono quelli, e sono tanti, che chiedono:
"Vorrei una tuta, insomma un completo felpa e pantalone, li avete?"
"Certo, venga, eccoli"
"No, ma io volevo solo il pantalone" (oppure "solo la felpa")
(ma allora perchè mi hai chiesto una tuta?)
Sono stato a cena in questo ristorantino di Pavia. E’ proprio in centro, in Strada Nuova.
E’ piccolino, perlomeno se non ha altre stanze oltre a quella dove abbiamo cenato, ma non credo. Sulle pareti ha appeso vecchi attrezzi, mi ha ricordato un po’ l’altro ristorante qui vicino, il Cupolone.
Come antipasti, dalle nostre parti non puoi sbagliarti: salumi su salumi, niente da dire! Sembrava quasi però di stare all’estero, parlavano tutti inglese. Probabilmente c’era in giro un qualche simposio di professoroni. Infatti, nel tavolo a fianco (e il posto è talmente piccolo che TUTTI I TAVOLI sono "a fianco") ho riconosciuto due miei professori ai tempi di Ingegneria. Non mitici, miticissimi. Non dico i nome per la privacy, dico solo che sono marito e moglie e chi c’era a quei tempi capirà.
Come primo (e unico) piatto ho assaporato gli gnocchi di patate e pancetta con ragù di manzo e vitello tagliato al coltello. Very Good. Saltato il secondo, per dolce ho scelto la mousse di castagne con salsa al bracchetto e biscotto canestrello. Più facile a mangiarsi che a scriversi, delicata e deliziosa.
Vino? Sicuramente era un Bonarda fermo dell’Oltrepo. Purtroppo non ricordo la cantina, non vorrei dire una stronzata, ma mi pare Casarini.
Il posto è carino, è facilissimamente raggiungibile. Vista la carenza dei posti bisogna prenotare. Uno di quei posti che bisogna almeno provare una volta, visto che ci si passa sempre davanti!
Secondo lancio col parapendio. Un po’ più scarsotto del primo, ma tant’è…
Stanno rifacendo gli impianti sciistici del Monte Chiappo, vale a dire la seggiovia che parte da Pian del Poggio. E’ una cosa sicuramente bella, perché dalle nostre parti è la pista più lunga. Però io credo che il solo fatto di rimodernare gli impianti non sia, da solo, sufficiente. Negli anni 70 e 80 dello scorso secolo erano GLI impianti. Chiunque volesse cimentarsi con l’attività sciistica e abitava in Valle Staffora o zone limitrofe, poteva contare sugli impianti al Penice, Casamatti, Brallo, Cima Colletta, Caldirola e, appunto, Pian del Poggio. Erano altri tempi. Si partiva, che so, da Voghera e in circa un’ora si era sulle piste da sci: papà, mamme, figli, nipoti e nonni al seguito per un’allegra scampagnata. La neve cadeva abbondante, gli atleti erano poco esigenti e tutti si divertivano. Oggi ci sono le autostrade che con qualche minuto in più ti portano sulle piste della Val d’Aosta che, con tutto il rispetto, sono un altro pianeta rispetto a quelle dell’appennino pavese. Nel 2015 invece chi se la sentirà di partire da Voghera, affrontare un strada che, se fino a Varzi è inadeguata, dopo diventa addirittura terribile? Io spero tanti, me lo auguro. Spero altresì che scenda tanta neve e che le piste siano tenute bene e battute come si deve. Sono in ogni caso convinto, che per i nostri paesi ci siano almeno un paio di grossi handicap che se rimangono incolmati non permetteranno non solo ai turisti di venirci a trovare, ma renderanno sempre più difficile agli abitanti di rimanere e di lavorare. Il primo l’ho già citato: la strada. Se la ex Statale del Penice era talmente importante da essere considerata, appunto, una statale e andava bene per le auto e i mezzi di trasporto di trenta o più anni fa, ormai è inadatta ai mezzi odierni. E questo va a scapito del turismo, dell’industria, del commercio e del traffico stesso. La strada è sempre più intasata e gli abitanti e sindaci dei paesi che attraversa sono ormai stufi, mentre gli automobilisti sono esasperati. A mio avviso, quando c’erano i soldi (e c’erano ancora tanti abitanti, e qualche industria, e molto turismo, cioè i già citati anni 70 e 80) avrebbero dovuto ipotizzare una strada più bella, più larga e che magari evitasse qualche paese. Perlomeno fino alla "capitale" dell’Alta Valle Staffora: Varzi. Da lì in avanti è "normale" che le strade abbiano più curve, siano un po’ più strette. Beh, magari non messe male come quella che va al Pian del Poggio, ecco.
La seconda cosa è un altro tipo di strada: quella informatica. Se una volta era essenziale che il territorio fosse coperto dalle linee elettriche, dall’acquedotto e dalla fognatura, poi è diventato "normale" avere a disposizione le linee telefoniche. Nel duemilaquattordici è ASSOLUTAMENTE ESSENZIALE avere la copertura internet, quella che qualche anno fa era chiamata "banda larga", che ormai è il minimo indispensabile. Senza, siamo tagliati fuori dal mondo. Perché internet non serve per i giochini, ma per il turismo, e quindi per il commercio, per il lavoro, ecc. Così come una volta gli analfabeti erano quelli che non sapevano scrivere e adesso sono quelli che non sanno usare un computer, così adesso internet è un servizio indispensabile come la corrente elettrica.
La vedo dura. Speriamo bene….
Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita
Quarantaquattresima puntata (le altre le trovate guardadando qui)
Dopo numerose esperienze nel commercio, sia ambulante che in sede fissa, mio padre, Siro Tordi, aprì nel 1965 il negozio che tuttora gestisce al Passo del Brallo, capoluogo del comune più a sud della Lombardia, sugli Appennini Pavesi. All’epoca la differenziazione dei prodotti era impensabile per una piccola rivendita, specialmente avendo un bacino d’utenza delimitato, in una zona dove i trasporti erano spesso difficoltosi. Il negozio offriva quindi una varietà notevole di prodotti del settore tessile – abbigliamento, ma non solo.
Per l’avvenire si sarebbe prospettato un normale ritmo commerciale, con clientela circoscritta agli abitanti della zona, senza possibilità di migliorare un sistema di vendita già consolidato e all’apparenza immutabile e senza la possibilità (o la convenienza) di attuare politiche di marketing innovative a causa della distanza dai grandi centri abitati – anche a causa di infrastrutture stradali inadeguate – e dalla ristrettezza del possibile target di acquirenti.
Al contrario, grazie ad una particolare situazione socio-economica e ad una geniale intuizione, il futuro non fu così.
In quegli anni, grazie all’onda lunga del boom economico, ci fu un fiorente sviluppo del turismo, della pratica degli sport invernali e un incremento delle spesa media per l’abbigliamento. Non erano ancora di moda le località esotiche, sia per i costi, sia per la praticità, e il Passo del Brallo costituiva una delle mete preferite per chi voleva trascorrere giornate di relax con gite o passeggiate nei boschi o cimentarsi in sport invernali nei vicini impianti sciistici. I turisti arrivavano da ogni direzione, vista la posizione favorevole, al confine di quattro regioni contigue: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Liguria.
L’intuizione fu quella di aggirare la consueta filiera di distribuzione (agenti, grossisti, ecc.) e rivolgersi direttamente alle ditte produttrici per strappare prezzi molto più vantaggiosi, acquistando stock di rimanenze, fine serie, campionari, e così via. Nacque così “Il Negozio del Risparmio”, la prima stock house ante litteram della zona. La profittabilità dell’impresa era legata alla quantità delle vendite, ma grazie anche al passaparola, ai prezzi molto contenuti e al savoir faire riguardante le relazione con la clientela, i clienti affluivano copiosi. Un particolare settore trainante fu quello delle attrezzature da sci, mercato ancora in fase nascente ma con ottime prospettive di sviluppo, con poca e costosa concorrenza e privo di category killer . Col tempo il punto vendita si è arricchito di altri prodotti di vari settori merceologici: pelletteria, calzature, abbigliamento griffato, pellicceria, abiti da uomo, pantaloni, e via dicendo, mantenendo sempre la politica dei prezzi ridotti, modificando e rinnovando continuamente gli articoli disponibili, ma conservando lo stile popolare, anticonvenzionale e un po’ folcloristico di un tempo.
Siccome mi stufo di chiamarla sempre Millicent, o Milli, la chiamo sempre con nomignoli diversi, del tipo:
"Esserino peloso"
"Belmu" (diminutivo di "Bel musino")
"Bestiaccia schifosa"
"Millilaura"
"Belmi" (diminutivo di "Bel micino")
"Bestia grama"
"Palla di pelo"
"Gattaccio malefico"
"Baffina"
"Miciuz"
"Molly" (e qui s’incazza perché le storpio il nome)
"Lasciapeli"
ecc. ecc. ecc.
Un sacchissimo di tempo dopo aver letto questo libro, ecco qui la mia recensione, l’avevo promessa all’autore, Andrea Corte.
La prima impressione, mentre lo stavo leggendo, è stata di: "adesso appeno lo finisco gli faccio una critica stroncante, perché sta prendendo l’argomento (il marketing) troppo alla leggera", poi mi sono riletto il titolo "Filosofia…" e quindi ci sta tutto: non è un libro di marketing, è un libro di filosofia (che parla di un aspetto del marketing, la marca).
Il libro non ha una lunghezza impegnativa, scorre bene ed è godibile. Andrea ha una scrittura simpatica che, conoscendolo, non mi stupisce. Si dice "parla come mangi" e lui "mangia" esattamente così. Ogni tanto qua e là rilascia qualche parola "particolare" (non dico astrusa, o arcaica, o meno ancora fuori luogo, semplicemente inusuale), e qualche costruzione di frasi altrettanto particolare, ma come dico, simpatica, che crea un suo stile.
La scrittura è moderna, quasi giornalistica, l’approccio al lettore quasi paterno, un po’ pedagogico, per accompagnarlo in questo universo chiamato marca.
Come dicevo non è un libro di marketing, e quindi non si addentra negli scopi e negli utilizzi della marca, ma tratta l’argomento più sotto l’aspetto sociale e ancor più filosofico. Molto originale e interessante.
Dopo aver detto tutte ‘ste stronzate non ho però spiegato di cosa parla: lo scoprirete solo leggendolo. Se siete dei buoni lettori vi basterà una sera o due, io che leggo "a rate" ci ho impiegato una settimana (lo so, mi dovrei vergognare…)
Dedico il mio primo volo a una persona che ha sempre sognato di volare…
Moi je n'étais rien,
Mais voilà qu'aujourd'hui
Je suis le gardien
Du sommeil de ses nuits,
Je l'aime à mourir.
Vous pouvez détruire
Tout ce qu'il vous plaira,
Elle n'aura qu'à ouvrir
L'espace de ses bras
Pour tout reconstruire,
Pour tout reconstruire.
Je l'aime à mourir.
Elle a gommé les chiffres
Des horloges du quartier,
Elle a fait de ma vie
Des cocottes en papier,
Des éclats de rires.
Elle a bâti des ponts
Entre nous et le ciel,
Et nous les traversons
A chaque fois qu'elle
Ne veut pas dormir,
Ne veut pas dormir.
Je l'aime à mourir.
Elle a dû faire toutes les guerres,
Pour être si forte aujourd'hui,
Elle a dû faire toutes les guerres,
De la vie, et l'amour aussi.
Elle vit de son mieux
Son rêve d'opaline,
Elle danse au milieu
des forêts qu'elle dessine,
Je l'aime à mourir.
Elle porte des rubans
qu'elle laisse s'envoler,
Elle me chante souvent
que j'ai tort d'essayer
De les retenir,
De les retenir,
Je l'aime à mourir.
Pour monter dans sa grotte
Cachée sous les toits,
Je dois clouer des notes
A ses sabots de bois,
Je l'aime à mourir.
Je dois juste m'asseoir,
Je ne dois pas parler,
Je ne dois rien vouloir,
Je dois juste essayer
De lui appartenir,
De lui appartenir,
Je l'aime à mourir.
Erano gli anni ’90. Ricordi? Le chiamavamo scherzosamente le "sedute spiritiche". Scherzosamente non perché stessimo scherzando, naturalmente. Non scherzavamo affatto. Troppo buoni eravamo. O forse, anzi probabilmente, quasi di certo sicuramente, eravamo coglioni. E lo siamo rimasti (buoni e/o coglioni). Volevamo essere "speciali". Ci sentivamo speciali. E credevamo che qualcuno se ne sarebbe dovuto accorgere. Ma nessuno se ne accorgeva. Beh, quasi nessuno. Anzi, per i più eravamo "speciali" si, ma in senso negativo. Non allineati, non organizzati, non omologati. Quello che a noi pareva bello ad altri appariva sbagliatissimo. Frequentare gente giusta, bere ciò che tutti bevono, farsi vedere nei posti che contano, indossare calzature alla moda. Se ci andava lo facevamo, se non ci andava non lo facevamo. Non eravamo convenzionali, non eravamo anticonvenzionali. Mai fregato niente di tutto questo, mai importato di essere anticonvenzionali. Se volevamo fare una cosa, semplicemente, con naturalezza, la facevamo. Sia che essa fosse considerata "in", sia che essa fosse considerata "out". E per quelli che ci sfottevano, avevamo il nostro sistema. E per quelli che invece ci osteggiavano perché la pensavano in modo opposto, avevamo il nostro sistema. E per quelli che avevano "successo" utilizzando i metodi opposti al nostro e ci davano degli sfigati, avevamo il nostro sistema. "Successo" lo scrivo tra virgolette, perché era un successo effimero, un successo da stronzi. E un successo a durata limitata. Anche grazie a noi. Grazie alle nostre "sedute spiritiche". Che, prima o poi, hanno tutte funzionato. Chi pensa male, chi giudica gli altri, ha sempre fatto una triste fine. Magari rocambolesca, magari meno, ma sempre triste. Perché il nostro sistema si è rivelato sempre potente. Ecco perché oggi ti chiedo aiuto, oggi nove giugno duemilaquattordici ho bisogno di te. Come ai vecchi tempi, fratello. Io mi siedo in riva al fiume e aspetto.
Jim Morrison diceva "solo quando te ne fregherai di quello che dicono gli altri potrai dire di essere veramente grande". Io, come tutti, sono circondato da gente che ti da consigli, quasi sempre in buonafede.
Sii cauto nell’accettare consigli,
ma sii paziente con chi li dispensa.
I consigli sono una forma di nostalgia.
Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio,
ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte
e riciclarlo per più di quel che valga.
Questo invece è parte di un discorso nato per caso su whatsapp:
Io ho capito che c’è solo una cura, purtroppo, anti consigli e giudizi degli altri: invecchiare! Più invecchi e più te ne freghi di cosa dicono gli altri e più fai quello che fa star bene te.
Io per esempio ho fatto delle mega litigate per tutto coi miei e le faccio ancora…però lotto per la mia indipendenza e la mia infelicità, ma non è facile. Io vivo con pochi soldi, in una casa brutta e piccola…se avessi assecondato i miei ora vivrei una vita agiata in un appartamento nuovo con tutti i comfort possibili… sono scelte e non sono facili.
Il loro sogno, in fondo, era che stessi in casa con loro fino a 40 anni e poi andassi a vivere nel pianerottolo di fianco con qualche laureato che usciva tutti i giorni in giacca e cravatta.
Io però non mi sono mai pentita delle mie scelte perchè ho capito che sono felice così.
E quando vedo e sento parlare degli altri, di quelli che hanno fatto le scelte giuste, tipo chi è andata nella metropoli, lavora, sposata, comprato casa, figli, e marito con una bella posizione sociale, praticamente la perfezione. Beh non è facile: ti mettono su di un piatto d’argento la perfezione e poi sottolineano che tu sei una merda, vivi male, non hai soldi neanche per una vacanza come si deve, non sei stabile e via dicendo.
Per quelli come noi ci vuole pazienza e tempo… facciamo più fatica degli altri a prendere decisioni, ma poi forse quando le prendiamo siamo sicure che siano quelle giuste…
Il problema è che deve scattare qualcosa, devi fare il salto, devi crescere e diventare adulta.. Però tutti gli altri cercano di far si che questo accada il più tardi possibile perchè sanno che così ti perdono, sia la famiglia sia gli amici…o meglio ti ritrovano diversa
C’è la paura di crescere…di buttarsi in qualcosa che non conosci, difficile, più facile stare nell’ovile. Ma sicuramente bisogna pensarci.
E poi c’è l’invidia degli altri…che brutta cosa però l’invidia.
Alla perssona che mi ha scritto queste cose dedico un ricordo. Ricordo un aneddoto che mi raccontava sempre mia mamma. Un giorno è arrivata a Brallo una parente con degli amici e presentadoglieli ha detto loro: "Questa è Rita, lei è rimasta a Brallo, poverina". POVERINA?? Mia mamma, come diceva lei, nella vita gliel’ha "fatta in barba" a quelli più alti, col marito più bello, col lavoro migliore, con la macchina più grande, ecc. ecc.
Piet Mondrian – Broadway Boogie-Woogie – 1942/1943 – Olio su tela – MoMa New York