(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

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Tutto quello che non rientra nelle altre categorie

Sangria Pavia

Siamo stati in questo ristorante spagnolo di Pavia. Non ci ero mai stato, mi si dice che è difficile trovare posto, sempre meglio prenotare oppure…essere in pochi. Abbiamo preso una paella e sangria, un classicone insomma. Era un piatto misto, pesce e carne. Come sanno quelli che mi conoscono non vado matto per il pesce (lo mangio, ma di sicuro non è uno dei miei piatti preferiti: volete mettere un piatto di pansoti alla salsa di noci o una cotoletta alla milanese fatta bene? Ma non scherziamo), ma comunque lo mangio. Eppoi (vi piace questa parola o la trovate una cafonata?) non lo mangio certo tutti i giorni, ogni tanto si può fare. Detto questo, torniamo al discorso: paella buona, locale carino e simpatico, sangria accettabile. Quindi se vi capita, fateci una scappata e non ve ne pentirete.

LEZIONI DI STILE VOL 2: TENTATIVO DI UNDERBEAT

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La Crusca risponde

Si dice "sdraio" o "sdraia"? E al plurale? Sdrai? Sdraie? E’ più corretto scrivere "buttare la pasta" o "calare la pasta" ? Cocomero o anguria? Zucchina o zucchino?

A tutti questi dubbi risponde l’Accademia della Crusca, la prestigiosa istituzione linguistica italiana, anche su Facebook (www.facebook.com/AccademiaCrusca)

Così ogni giorno potete dipanare i vostri dubbi e imparare qualcosa di nuovo (o avere delle conferme)

Qual è il plurale di "parola chiave": "parolE chiavE" o "parolE chiavI"? A proposito: ricordatevi che "qual è" si scrive senza l’apostrofo, perché non si tratta di un’elisione (che prevede l’apostrofo), ma di troncamento. Infatti la parola "qual" esiste come forma autonoma. 

Cambia stato

Fai l’uomo di mondo ma l’unico metodo che hai x cambiare stato è usare Facebook. Ti credi figo xk qualcuno ti da retta x il tuo status, ma il tuo vero stato non è altro che essere in fondo un grande sfigato. Meglio un amico vero che 100 tuoi amici di convenienza.

Quelle estati lì

"E da qui…e da qui…
…qui non arrivano gli angeli
con le lucciole e le cicale.."

Quelle estati…. quando con Vittorio di Pavia e altri ragazzini siamo andati alla "Villa", trovando una finestra aperta. Quanta paura! Tra noi ragazzini girava voce che ci abitava il figlio del proprietario che era un "drogato" e quindi avevamo paura di toccare qualsiasi cosa per timore di un qualche contagio che ci facesse diventare drogati anche noi. Quando con Matteo (Matteo "della lavanderia", o "di Gigi", per differenziarlo dall’altro Matteo, "della Linda" o "delle bocce") si andava in giro in bici e il fatto di poter facilmente (si fa per dire) raggiungere posti "lontani" (si fa per dire) dava una sensazione di libertà. E quella volta che girando in bici abbiamo visto un incendio. Io volevo scappare, lui spinto dal dovere civico è andato ad avvisare "i grandi" che poi ovviamente hanno dato la colpa a noi. Visto? Io te lo avevo detto! Quando siamo partiti in 5 per andare al Trebbia, sempre in bicicletta. Beh andare giù è stato facile, venire su un po’ meno. Christian aveva il braccio ingessato, e ha pure fatto il bagno, idolo assoluto! Ci eravamo fermati da Delfino a farci fare dei panini, ma aveva finito il pane piccolo e ce li ha fatti con la micca. Non le fette di micca, badate bene, con la micca intera! Ogni mezza micca era un panino: erano enormi e non ci stavano neanche in bocca. Quando si andava in salagiochi al Kursaal di giorno a giocare  a Lady Bug, Super Mario Bros o Dragon’s Lair. Quelle estati lì, in cui ci si ritrovava fra bambinetti alle 10 del mattino, fino a ora di pranzo. Poi alle due fino alle sette di sera. E poi dalle 8 e mezza/ 9 fino alle 10 e mezza o giù di li. Qualche volta anche fino alle 11. Il tutto senza minimamente dire ai genitori dove andavamo, cosa facevamo, con chi giravamo: bel mondo. Giri nei boschi, puntate fino a qualche paese vicino, giochi, avventure. Quelle estati lì, quando si organizzavano grigliate tutte le sere, e poi finiva subito da bere e qualcuno col motorino scendeva a Brallo (perchè ovviamente le grigliate non si facevano mai a Brallo) a prendere il beverame. E poi succedeva che magari nel tragitto si schiantasse anche col motorino. Insomma quelle estati lì da bambino, quando avevo un sacco di amici "estivi", figli o nipoti di villeggianti. E non è come adesso che puoi rimanere in contatto, molti non ho mai saputo che fine abbiano fatto (è già buona se sapevo il nome di battesimo, figuriamoci il cognome o l’indirizzo). E quelle estati lì da ragazzino, quando c’era il Commodore 64, il Trebbia, le serate. E poi più grande, con le discoteche, le prime automobili, gli amori impossibili. Quelle estati lì del Malaspina, in vetta al Penice in bicicletta, o giù fino alla Ravesna a fare una scampagnata. E poi quando ero lì su una panchina al parco, arriva Massimo, indimenticato amico, che mi dice: ne hanno ucciso un altro. Era il 19 luglio 1992, avevo 18 anni e mi sembrava di essere in mezzo a una "guerra"
 
"E da qui…e da qui…
non le vedi più quelle estati lì
quelle estati lì"

Jimi

Archivio Chiolini

Recita il sito:

"L’archivio fotografico di Guglielmo Chiolini (Pavia 1900 – 1991) è stato acquisito nel 2009 dal Comune di Pavia – grazie al contributo della Fondazione Cariplo e dell’Unione Industriali della Provincia di Pavia – ed è conservato presso i Musei Civici del Castello Visconteo.

Consta di oltre 880.000 immagini fotografiche tra positivi, negativi e diapositive, eseguite dal professionista a partire dalla metà degli anni ’20 e sino agli anni ’80: da principio soprattutto paesaggi naturali del Ticino e del territorio pavese, manifestazioni e personaggi della vita politica e sociale del ventennio, vedute della città in via di trasformazione tra edilizia fascista e ricostruzione post-bellica; poi, dagli anni ’60, anche riprese dei grandi cantieri delle infrastrutture italiane ed europee, quali autostrade, dighe, trafori, documentazione dello sviluppo economico cittadino e non, gruppi fotografici per l’Ateneo, l’Ospedale, le celebrazioni famigliari di matrimoni ecc."

C’è una sezione dedicata alle industrie dell’Oltrepo Pavese, con foto molto molto molto ma molto belle, eccole:

http://www.museicivici.pavia.it/archiviochiolini/industria/oltrepo.html

 

Pensierino del giorno

E’ bello formare un bel gruppo, ognuno con le sue competenze, la sua energia, la sua voglia, e collaborare tutti insieme, non per promuovere il proprio interesse personale, ma per quello di tutti. E si "perde" tempo, serate, riunioni, organizzazioni, decisioni…discutendo, ridendo, rifacendo tutto da capo. Messaggi, email, telefonate, incontri, pizze improvvisate, aperitivi. Sempre prendendoci poco sul serio ma facendo le cose molto sul serio, come siamo abituati a fare: con PASSIONE. E la giornata di domenica scorsa al PalaOltrepo lo ha confermato, grazie alla partecipazione di numerosissimi amici che non sto qui ad elencare perché sono troppi e rischierei di dimenticarmene qualcuno. Ho visto talento, ho visto dedizione al proprio lavoro, ho visto divertimento, altruismo, voglia di fare, di partecipare, di esserci. Ho visto PASSIONE. Siamo noi la vera squadra vincente, altro che la politica.

La triste verità sull’amore

 

The Darkest Truth About Love from Hannah Jacobs on Vimeo.

La persona perfetta non esiste. Siamo irrimediabilmente soli. L’amore è un’illusione.

Dylan Top

Su "Topolino" 3094, oltre alla meravigliosa storia "L’Isola del Tesoro", splendido omaggio al romanzo di Robert Louis Stevenson che mi ha fatto riaffiorare bei ricordi di quando ero giovinetto,  c’è un altro graditissimo omaggio. Nientepopodimeno che all’Indagatore dell’Incubo, il misterioso, politically correct, fascinoso ex poliziotto Dylan Dog,  creato dal bronese Tiziano Sclavi

Proprio in questi ultimi mesi Dylan Dog è passato sotto la supervisione di Roberto Recchioni che ne sta modificando un po’ l’ambientazione (non il carattere, o lo stile) per dargli forse quel pizzico di novità che dopo quasi trent’anni (Dyd è uscito nel 1986) forse ci voleva.

Topolino ha omaggiato questo eroe bonelliano con una storia molto bella, "L’alba dei topi invadenti", sulla falsariga del titolo del primo albo Dylaniato "L’alba dei morti viventi" (che a sua volta si rifà sia nel titolo che ai personaggi non-morti ai film del capostipite del genere: Zombi di Romero, che nel titolo originale si chiamava "L’alba dei morti").

ll soggetto della storia è proprio del nuovo curatore, Recchioni, mentre la sceneggiatura di una vecchia conoscenza per i lettori dei Dylan: Tito Faraci
Topolino nei panni di Dylan Top, Pippo in quelli di… Pippo (Groucho), Basettoni e Manetta sembrano essere identici all’ispettore Bloch e Jenkins, mentre Xabaras è magistralmente interpretato da Macchia Nera, infine  Morgana non poteva che essere Minni. La vicenda si svolge a Uninvited, anzichè Undead. L’unica pecca è stata quella di metterlo nello stesso albo di Topolino con un’altra storia così importante che gli ha "rubato" la copertina (anche se una versione di "Topolino" con Dylan Top in copertina è stata realizzata in tiratura limitata per la fiera "Cartoomics")

 

Amala!

E’ vero ci sono cose più importanti

Di calciatori e di cantanti

Ma dimmi cosa c’è di meglio

Di una continua sofferenza

Per arrivare alla vittoria

E poi non rompermi i coglioni

per me c’è solo l’Inter

 

A me che sono innamorato

Non venite a raccontare

Quel che l’Inter deve fare

Per noi niente è mai normale

Né sconfitta né vittoria

Che tanto è sempre la stessa storia

Un’ora e mezza senza fiato

Perché c’è solo l’Inter

 

C’è solo l’Inter per me

Solo l’Inter

c’è solo l’Inter per me

 

No, non puoi cambiare la bandiera

E la maglia nerazzurra

Dei campioni del passato

Che poi è la stessa

Di quelli del presente

Io da loro voglio orgoglio

Per la squadra di Milano

Perché c’è solo l’Inter

 

E mi torna ancora in mente l’Avvocato Prisco

Lui diceva che la serie A è nel nostro DNA

Io non rubo il campionato

Ed in serie B non son mai stato


Football Club Internazionale Milano 1908

Stardust

Ricordi quando ti avevo detto che non so niente sull’amore? Non era la verità… So molto sull’amore. Vi ho visto! L’ho visto nascere per secoli e secoli. Era l’unica cosa che rendeva il tuo mondo sopportabile. Ah… Tutte quelle guerre, le falsità, il dolore, l’odio. Ero tentata di posare il mio sguardo altrove in eterno. Ma il vedere come l’umanità si arrende all’amore! Si possono setacciare gli angoli più remoti dell’universo senza trovare una cosa altrettanto meravigliosa… Si certo, io so che l’amore è incondizionato. Ma ho imparato che può essere imprevedibile, inaspettato, incontrollabile… insopprimibile! E molto facile da confondere con l’avversione… e quello che cerco di dirti Tristan, è che credo di amarti! Il mio cuore è come se ora il mio petto non lo potesse più contenere. È come se… come se ormai non appartenesse più a me ma fosse tuo. E se tu lo volessi, in cambio io non ti chiederei niente. Niente preziosi, niente doni o manifestazioni di grande devozione… niente, vorrei solo sapere che mi ami. È il tuo cuore in cambio del mio. (Yvaine a Tristan)

Padre Pio – prima parte

Sono le 2153

Eccoci qui, sul treno. Finalmente sto andando in Puglia, a San Giovanni Rotondo, “da Padre Pio”, come si suol dire. Sono anni che sto progettando questo viaggio, o meglio che ci sto pensando. Non so se è un pellegrinaggio, non sono particolarmente devoto a questo a questo santo, a dir la verità non conosco neanche bene la sua storia, se non qualche spezzone che si legge sui giornali o qualcosa detta alla tv, ma è una cosa che mi ero imposto di fare.
Dite che scrivo dei periodi troppo lunghi? Scusatemi, in italiano, raggiungevo il sei, sei e mezzo. I miei ci andavano spesso anni addietro, una volta l’anno, forse per un fioretto o cose simili, non l’ho mai saputo. Come sempre senza dire nulla fino all’ultimo giorno, quando a cena dicevano: “Guarda che noi andiamo da Padre Pio”, e prendevano il treno di notte, per arrivare a Foggia all’alba. Lo stesso treno su cui sto viaggiando. Dopo aver partecipato alla messa tornavano, e per la sera del giorno dopo la partenza erano a casa. Ricordo quella volta che mi hanno telefonato mentre ero al bar a vedere la partita dicendomi che, causa ritardi, avevano perso la coincidenza. E così sono andato a prenderli alla stazione di Piacenza. È stato un “diversivo”, ero contento di andarli a prendere. Ricordo che, ascoltando l’autoradio, sentimmo la partita inframmezzata dai loro racconti. L’Inter vinse quella sera.
Quasi sette anni fa gli dissi: “La prossima volta verrò anche io”. Avevo un mio motivo e feci quella promessa. Solo che l’anno successivo mia mamma aveva già problemi alla gamba e avrebbe fatto fatica a fare quella sfacchinata. Nei periodi in cui stava meglio non aveva tempo, oppure ci eravamo imbarcati in altri viaggi, come a Lisbona e ad Atene. Poi la malattia si è improvvisamente aggravata, con tragico epilogo. Quando era in ospedale, quasi due anni fa, le promisi che l’avrei accompagnata io fin là, magari con mezzi più comodi, come l’auto, ma il destino non me ne ha dato la possibilità.
Nei mesi successivi se ne è parlato qualche volta in famiglia, ma è una di quelle cose che rimandi sempre: quando farà più caldo, quando avrò più tempo, quando sarò più libero, quando, quando ,quando, quando.
E così mi sono deciso. Avevo ovviamente pensato ad uno dei miei viaggi lampo: dalla Rita qualcosa avrò pur preso, no? Solo che raggiungere San Giovanni Rotondo in aereo è complicato. Foggia ha un aeroporto servito malissimo (non so neppure se è ancora funzionante) e atterrare a Bari comporta delle perdite di tempo e denaro e aggiunge delle complicazioni che rende il treno una scelta quasi obbligata per una breve visita. Quindi, una notte di novembre (la notte è il paradiso -o l’inferno, dipende dai punti di vista- di chi  come ma fa –incauti– acquisti su internet. Sia benedetta/maledetta la carta di credito) ho preso i biglietti per gennaio, intercity notte, direttamente da Voghera a Foggia.
E quindi eccomi qui. Viaggiare da solo non mi ha mai messo ansia, malinconia o preoccupazione, ma stavolta un pochino si, starò invecchiando? Mi sembra di partire per un lungo viaggio, ma sarò di ritorno nel mio letto tra… dunque… 31 ore? O 32. 
Il treno sembra mediamente tranquillo. Ci sono, ovviamente, anche delle brutte facce, ma niente di che. È anche abbastanza frequentato. Né troppo, né troppo poco. Dovremmo essere a Piacenza. Credevo ci fossero dei vagoni cuccette, invece mi sa di no. Adesso mi metto a leggere.
 
 
È quasi mezzanotte e siamo a Bologna. I compagni di viaggio del mio scompartimento sono scesi tutti, compresi i chiacchieroni saliti a Piacenza. Ora vediamo chi sale. Speriamo bene.
 
 
Sono le 7:17. È appena finita la messa al santuario di Santa Maria delle Grazie. Sono molto in anticipo sulla tabella di marcia.
Da Bologna in avanti ho fatto il viaggio in compagnia di due ragazze e un ragazzo. C’era anche un altro, ma è sceso subito. Potrei definirlo “di colore”, ma è una definizione che non mi piace. Di che colore? Quando ero bambino si diceva “negro”, ma poi è diventata una parola offensiva. Dovrebbero inventarne una, perché “di colore” è proprio brutta. 
Le due tipe invece erano di una strana nazionalità che ci ho messo un po’ ad individuare. La fisionomia era europea, ma la lingua che parlavano mi era ignota. Non era italiano, inglese, francese, spagnolo, tedesco, neanche nordica tipo fiammingo, olandese, svedese. Neppure slava, russa, ecc. Quindi? Quando una delle due ha estratto un libretto per scrivere qualcosa ho sbirciato e ho riconosciuto una theta minuscola: erano greche! Tra l’altro: perché si dice greco, greca, greche, ma il maschile plurale è greci? Boh.
Ad un certo punto abbiamo spento la luce, cercando di dormire. Una delle due si è calata in faccia uno scalda collo, ma nonostante quello ha cambiato posizione cento volte: seduta, allungata, sdraiata, stravaccata. Ogni volta scontrandomi e svegliandomi.
Il tipo russava. Quindi si può dire che non ho dormito molto. Alle 4 ci ha pensato pure il controllore.
Alle 5 e 20 il treno era già fermo appena fuori dalla stazione di Foggia. Wow, si prospettava un arrivo anticipato. Esco e cerco una pensilina del bus. Chiedo a una signora, ma lei sta andando in Romania. In quella passa un autobus cono scritto “S.G. Rotondo”. Lo rincorro, si ferma, salgo. Purtroppo non è possibile acquistare il ticket sul mezzo, l’autista mi indica un bar. Mi precipito. Sta entrando una decina di persone col trolley: li sorpasso con astuzia e un pizzico di maleducazione e chiedo il biglietto. “Tanto il prossimo è alle 7”. “No, mi sta aspettando”. “Ah, parte in ritardo?”. Io penso “Si, perché è amico mio, tiè
Sulla corriera cerco di dormire, visto che il viaggio dovrebbe durare oltre un’ora. Avrei voluto leggere la guida che mi sono stampato, visto che non ho bene idea di cosa ci sia da visitare, ma è buio pesto.
Se avevo dimenticato come è scomodo cercare di dormire in treno, riscopro che sull’autobus è proprio impossibile. Per fortuna non fa soste (e chi dovrebbe salire o scendere a quest’ora?) e arriviamo in anticipo di un quarto d’ora. Riesco così ad assistere alla messa delle sei e mezza

Aneddoti 24

Nel post che potete leggere cliccando qui avevo parlato di alcune storpiature delle marche. Eccone altre.

"ANDI" invece di "AND1" (leggasi "and one", quello finale è il numero uno)

Sulla stessa strada è "WOLKL" pronunciato "FOLCHI", perché la L finale, scritta in minuscolo, viene scambiata per una I.

Poi c’è "DOLOMITE" che alcuni pronunciano inspiegabilmente "DOLOMITI". Tipo: "Avete una giacca della Dolomiti?"

Oppure la marca sportiva "DUBIN" pronunciata alla francese "DUBEN", quando invece è italianissima e deriva dal nome del fondatore Dunio Bini. 

Stessa cosa per "COLMAR" che alcuni si pavoneggiano di chiamare "COLMàR", sostenendo addirittura che il nome derivi dal paese francese omonimo, quando invece, anche in questo caso deriva dal nome del fondatore (italiano, di Monza) Mario Colombo.

Va beh poi non citiamo neanche la "NAPAPIJRI" che ognuno pronuncia come vuole. Poi c’è stato chi diceva "GURU" con l’accento sulla U finale, come fosse francese, o come quello che chiedeva le camicie della "POSCIACCHE", che altro non era che la napoletanizzazione di "PAUL SHARK".

Ma poi ho sentito anche pronunciare "NEW BALANCE" come fosse "NEW BLANCHE", e la marca di occhiali "PICASOL" detta "PICASSO". 

I tre colonnelli

Dario Rebolini è mio zio. E’ stato partigiano. Qualche anno fa ha scritto una storia romanzata, intitolata "I tre colonnelli", che poi è stata pubblicata sottoforma di libro. 

Deve essere stata un’esperienza che ti sconvolge la vita. Parti militare, ti mandano in Jugoslavia a combattere a 19 anni, età in cui i ragazzi di oggi giocano alla Playstation e si lamentano che la squadra del cuore ha perso. E’ tornato in Italia e dopo l’8 settembre ’43 ha disertato, si è dato alla macchia e poi si è arruolato nella resistenza. Non voglio sindacare su cosa fosse giusto e sbagliato, perché quei momenti, quel periodo storico, quella vita l’ha vissuta lui e non io. Io conosco molte storie che mi ha raccontato mia mamma –sua sorella– sul periodo del fascismo, sui rastrellamenti, sul comportamento dei "regolari" (i "fascisti") e di quelli dei "ribelli" (come venivano definiti allora quelli che poi sono stati chiamati "partigiani"). 

Penso tuttavia a quello che poteva succedere, anche leggendo questo racconto che, a parte la parte romanzata, racconta tutte storie vere, fatti e avvenimenti realmente accaduti e vissuti in prima persona da Dario. Il governo si butta in una guerra, che già per definizione (come tutte le guerre) è inutile, dannosa, rovinosa, e questa più delle altre. Tanti ragazzi vengono arruolati e mandati a morire per la brama di pochi. Quando mezza Italia viene invasa dagli Alleati a molti è chiaro che la dittatura è prossima alla fine, è solo una questione di tempo. E si organizzano le frange di resistenza. E’ storia abbastanza nota, o perlomeno risaputa. Dove è più facile darsi alla macchia? Naturalmente sui monti, e quindi anche sui nostri monti. Per la varietà del genere umano immagino che ci fosse chi stava da una parte o dall’altra perché ci credeva e chi invece lo faceva per convenienza. Hai una casa, una famiglia, una posizione e rischi tutto per difendere una fantomatica "libertà"? Puoi decidere di farlo, ma sei giustificato se non lo fai. Mio zio scelse di farlo, non so se per convinzione, se per l’incoscienza dei vent’anni, se per non tornare a combattere per un capo "ingiusto", se perché ritenesse di poter realmente contribuire a qualcosa di grande e nobile, se per una presunta convenienza o se una miscela di tutte queste cose. Mia mamma mi diceva che in famiglia questo suo unirsi ai "ribelli" non era stato visto molto di buon occhio, non fosse altro per la paura di ritorsioni sulla famiglia. Era pur sempre un figlio, ma aiutarlo significava rischiare di compromettere gli altri membri: i fratelli, i genitori, ecc. Ma tant’è: Dario aveva vent’anni, non era più un bambino, aveva già vissuto sulla sua pelle la guerra, e come tutti i ventenni era convinto di poter cambiare il mondo. In quei mesi in cui è stato partigiano deve averne viste e vissute di tutti i colori, atti di eroismo e di vigliaccheria, momenti di disperazione e di trionfo. Che cosa orribile la guerra, e ancora più orribile la guerra civile, quella che c’è stata in Italia, nei nostri luoghi, dal ’43 al ’45. L’amico, il parente, il vicino che in tempo di pace conoscevi come amico, potevi trovartelo "dall’altra parte". Magari tu eri un "partigiano" e sparavi, mentre di là c’era un "fascista", e un tempo eravate amici. La guerra tira fuori le brutture e trovarsi con un fucile in mano può portare a gesti orribili. Perchè i caduti della guerra in quel caso non erano gli "stranieri", i "nemici", ma i tuoi connazionali
E pensate forse che i soldati tedeschi mandati a combattere e morire nelle nostre valli fossero dei cattivoni senza cuore? Indubbiamente qualche gerarca si, senza dubbio, così come qualche gerarca fascista. Ma a morire di solito non sono mai i capi. Bush ha fatto tante guerre stando comodamente seduto nella sua poltrona. Ripeto: che cosa brutta la guerra

 

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