Quiz: trova Milli.
Livello “materasso”
Tutto quello che non rientra nelle altre categorie
Quiz: trova Milli.
Livello “materasso”
S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo; s’i’ fosse vento, lo tempesterei; s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;
s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo, ché tutti cristïani imbrigherei; s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei? A tutti mozzarei lo capo a tondo.
S’i’ fosse morte, andarei da mio padre; s’i’ fosse vita, fuggirei da lui: similemente farìa da mi’ madre,
S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre: e vecchie e laide lasserei altrui.
La Sagra della Patata al Passo del Brallo raccontata da TelePavia
Abbiamo scatoloni e scatoloni di gatti in vendita. Ne è rimasto uno, in saldo: trattasi di esemplare femmina, 11 anni, pelo corto (e sempre sporco)
Avevo voglia di sorridere, e ti ho pensato.
Vi rimando alla prima puntata: www.fabiotordi.it/blog/?p=2473
La famiglia di Eva e Angelo (Giolitti) Tagliani
Brallo di Pregola (ab. nel 1987: 1272) si trova all’estremo sud-ovest della Lombardia, presso i confini con la Liguria, il Piemonte e l’Emilia. In un passato anche recente questo territorio è stato amministrativamente piemontese (a me risulta che dopo l’annessione della Provincia di Voghera alla Provincia di Pavia nel 1859, questo territorio è sempre rimasto il Lombardia, nota di Fabio). Tra le sue frazioni il comune comprende Colleri (899 m.) e Feligara, tappe centrali della mia ricerca sul canto narrativo svoltasi per incarico della Regione Lombardia dal 1985 al 1987.
Nonostante le recenti trasformazioni socio-ambientali, paesi come Feligara mantengono una loro relativa integrità e compattezza, tanto da rappresentare (insieme a sezioni di Collistano e di Colleri) veri nuclei di vita agricola tradizionale. Non a caso da Feligara e da Colleri vengono alcuni dei portatori più significativi per la tradizione popolare.
La famiglia contadina di Eva e Angelo (detto Giolitti) Tagliani formava a Colleri (pur essendo originaria di Feligara) il fulcro della tradizione musicale, sia femminile che maschile. Eva (nata nel 1907 e morta nel 1989) era nota per la sua straordinaria memoria nel ricordare canti e poesie; suo marito “Giolitti” (nato il 16 marzo 1901 e morto il 23 novembre 1969) era un suonatore di piffero di larga fama nella zona. Sia loro figlio, Giovanni, che le figlie, Iride, Aduana, Lucia e Teresa, continuano la tradizione familiare del canto. Giovanni fa parte dei coro “Colleri u canta” (che presenta forti influenze del trallalero genovese), le figlie hanno conservato il patrimonio familiare cantando (con la madre e alcune amiche e parenti, Enrica “Richetta” Pasquetta ed Ernestina Gualdana soprattutto) in ambito familiare.
Pur con punti di contatto il repertorio maschile e quello femminile presentano differenze a volte assai nette. II repertorio narrativo sembra meglio conservato dalle donne, anche se nessuna, a differenza degli uomini, ha ascoltato direttamente un cantastorie. Alcuni canti si presentano nell’uso attuale in fasi diverse di transizione musicale. Alcuni sono cantati alla maniera antica (ossia “dei vecchi”). Eva, per esempio si poneva decisamente in questo filone che presenta differenze assai forti da quello dei canti imparati alla monda del riso. Questo stile è invece usata talora dalle figlie. Altri canti si presentano invece con un “modo” maschile contrapposto al “modo” femminile.
Eva, di carattere fortemente indipendente (a 82 anni viveva ancora da sola) preferiva l’esecuzione a solo. Affermava d’aver sempre cantato da sola o come prima voce, mentre le altre le “venivano dietro“. Era consapevole del suo ruolo di conservatrice d’una tradizione a cui voleva rimanere fedele. Esprimeva le sue preferenze musicali e apprezzava poco la nuova musica. La generazione delle figlie tende invece ad un’esecuzione polivocale “fluida”, scambiandosi le parti in caso di necessità (se, per esempio, la “prima” non ricorda le parole). E ciò fanno con grande disinvoltura e bravura (vedi, per esempio, in questo disco, Isabella).
Tratto dal libretto accompagnatorio del disco
Fate come l’albero, che cambia le foglie e conserva le radici. Cambiate le vostre idee e conservate i princìpi.
Un discorso a mio avviso, quello della Brambilla, allucinante e allucinogeno: spacciare posti di alienazione come luoghi di socializzazione mi pare davvero assurdo.
Quiz: il gioco delle tre scatole. Indovina in quale è Milli
Ma non potrei semplicemente sparire? Puf, così di botto, di colpo. Ma con una bacchetta magica. Cioè facendo in modo che io non sia mai esistito. Passi in via Cavour e vedi, che ne so, un’officina. A casa mia ci abitano magari da vent’anni una coppia di anziani. Guardi le foto dei miei compagni delle medie e io non ci sono. Sparito. Mai esistito. Ma io nel frattempo sono là, sugli scogli di Las Palmas de Gran Canaria. Scogli appuntiti che mi pungono il culo. Ad osservare il mare ventoso e impetuoso che vorrebbe dirmi “buttati, che ti cullo“, ma ne ho un po’ timore perché non so nuotare così bene. Mentre penso che dopo qualche settimana me ne andrò a parlare portoghese alle isole Azzorre, per vedere come sono. E poi a San Pietroburgo, per una breve visita alla maestosità dei suoi palazzi, per attraversare i mille laghi della Scandinavia fino a spingermi su, a vedere l’aurora boreale. E poi attraversare tutta la Siberia in treno. Fermarmi a Krasnojarsk e raggiungere con qualche mezzo di fortuna qualche villaggio dei dintorni dove non c’è nulla, solo neve. E starci un bel po’, magari un mese. E poi raggiungere Vladivostok, per cambiare vita ed andare in Giappone, nella frenetica e colorata Tokio. E nel caos più totale fermarmi a pensare che qui parleranno ancora di Gentiloni, di Di Maio che vuol governare, di Berlusconi che non vuole arrendersi e Renzi che non sa che fare. Ma Fabio non esiste. Pensa che bello che sarebbe, sparire, sparire. Il telefono che squilla, ma nessuno risponde. Finalmente. E Fabio, dicono, è in Giappone. O forse è morto, boh? Ma nel frattempo io sono già passato in Cina e, dopo aver visto la Muraglia, l’Esercito di Terracotta e tutte quelle amenità lì, sarò già a Sertar, città a 4100 metri, dove quarantamila studenti studiano (appunto) la filosofia buddista. Mi cercate…Agenzia delle Entrate? Non mi troverete mai. Qui non ho telefono, internet, facebook, televisione. Nulla. Non me ne frega niente di questi tizi: li ascolto, certo, ma la mia pace interiore la trovo da me, grazie. Faccio delle passeggiate, parlo con tutti e da tutti imparo qualcosa. Quante cose ho già imparato nel mio viaggio parlando con la gente. Da ognuno almeno una briciola, un granello di polvere, un’illuminazione. Dopo un po’, chi lo sa, una settimana, un mese, un anno, o magari molto molto di più, andrò a vedermi Hong Kong e i suoi palazzi e Macao e i suoi casinò, dove la gente brucia i soldi e la vita. Stavolta prendo un aereo, faccio tappa a Singapore e a Kuala Lumpur, per respirare ancora fremiti di grandiosità e di frenesia, per atterrare dopo un bel po’ di ore a Auckland, in New Zealand, e da lì spostarmi in autobus fino al centro, fin sulle montagne, fino a Whakapapa. Una bella baita, un paio di sci e passiamo l’inverno (giugno/luglio/agosto) in questo modo. Senza affezionarmi, senza legami, senza niente. Perché io sono morto, lo volete capire? Non cercatemi, non esisto. E là staranno ancora discutendo se è un bene pagare alla mafia 35 euro al giorno per stazionare dei finti migranti negli hotel? Ahahahah io rido e me ne faccio beffe, se mi volete dovete venire dall’altra parte del mondo, ma so che non lo farete mai. Da qui ogni tanto mi sposto, attraverso il Pacifico e me ne vado, che ne so, alle Galapagos, oppure a Malibu ad aspettare il Grande Mercoledì sopra una tavola da surf, o fare come Bodhi e buttarmi nelle Grande Onda. Tanto chissenefrega, non vi dovete preoccupare, IO NON ESISTO. Provate a chiamare: numero inesistente. Nessuno si ricorda di me: non è che non esisto, il fatto è che non sono mai esistito. Quindi nessuno, neppur in minima parte, ne soffre. Amici che non mi hanno mai conosciuto, parenti senza cugini, genitori senza un figlio. Pagine che pensavo di aver scritto sono invece fogli bianchi, intonsi. Muri che avevo affrescato sono pieni di muffa, oggetti che ho costruito semplicemente… non sono. Mi rimangono solo negli occhi le cose che visto, i passi che ho percorso, le cose che ho udito e gli insegnamenti che ho ricevuto. Solco ancora il Pacifico, stavolta vado in Patagonia. Un freddo della madonna, ma almeno mi sento vivo, dei vostri fottuti discorsi del cazzo non me ne frega niente. Dei vostri problemi inesistenti neppure. Vomito. Su questa landa di ghiaccio. Vomito sangue. Eppure non sono mai stato così vivo. IO SONO QUI ! Sono un minuscolo potentissimo puntino nel mondo. E la trovo una sensazione fantastica. SONO QUI PERDIO…. e non voglio che lo sappia nessuno. Vi siete già dimenticati di me? Bene. Le pagine del mio diario si sono cancellate? Ottimo. Le scarpe che ho consumato sono in realtà ancora nuove? Fantastico. Le foto in compagnia presentano tutte uno strano vuoto in corrispondenza della mia faccia? Fantastico. Io non è che non esisto, ripeto, non sono mai esistito. Ma esisto, qui, ora. Dove sono adesso? Non lo so, a tratti nel buio, dove le stelle sono più visibili. Quanto accidenti saranno distanti? E ci pensate che non sono assolutamente come le vediamo noi? Cioè se guardo una costellazione stasera, la vedo in due dimensioni, come se fossero lucciole appoggiate su di un nero lenzuolo. Invece probabilmente sono distanti tra loro, una distanza tale che per comprenderla viene il mal di testa. E ci pensate che stiamo vedendo il passato? Se osserviamo la luce di una stella lontana un milione di anni luce… vuol dire che stiamo vedendo la stella com’era un milione di anni fa. Pazzesco. Pazzesco. Pazzesco davvero. Quante cose non può comprendere il nostro ridotto cervello? Quanti misteri, quante spiegazioni. Non voglio più spiegazioni. Voglio solo godermi le stelle, con la testa in su e gli occhi al cielo, qui, a Whakapapa, abbracciato al mio amore. Mio dio, mio dio, il cielo è pieno di stelle. E se abbasso gli occhi, ho tutto. Quindi esisto?
Milano la si ama. Milano la si odia. Milano va veloce, Milano sembra distante. Milano è fredda, Milano è grande, Milano è nascosta. Milano è misteriosa, Milano è seduta sulla panchina a riposare, Milano è bella. Milano è il dialetto, Milano è la nebbia che poi non è vero perché ce n’è molta di più fuori Milano. Milano è moda, Milano è modernità, Milano è stile. Milano è all’avanguardia, la vera Milano è in quegli angoli che non ti aspetti, in quegli scorci che non avevo mai notato. Milano è arte, Milano è il Duomo, Milano è musica. Milano è tante cose e, se non vi soffermate un attimo, vedrete Milano solo con gli occhi della fretta.
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Internet ha generato l’errata e arrogante convinzione secondo cui lo sforzo fisico del viaggio è diventato superfluo.
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Tratto da “La catena dell’Antola, 133 escursioni fra Scrivia, Trebbia e Oltrepo, sui monti delle quattro province” di Andrea Parodi e Alessio Schiavi, 2015, Andrea Parodi Editore.
È il monte più alto della catena fra Scrivia e Trébbia. In tutto l’Appennino Ligure è superato in altitudine solo dai monti Maggiorasca (1804 m), Nero (1752 m) e Penna (1735 m), situati più a sud-est fra Trébbia e Taro.
«Bella montagna, dalla vetta erbosa – scrivono E. Montagna e A. Sabbadini – che si sporge verso sud dalla costiera divisoria tra la Valle Stàffora e la Val Trébbia, con i fianchi ripidi, un po’ dirupati verso est […]. Origina una lunga costiera che corre in direzione nord per circa 6 km a cavallo delle valli Stàffora e Avagnone (Trébbia) sulla quale sorgono il Monte Terme (1489 m) e la Cima della Colletta (1494 m) e verso est stacca un breve contrafforte che forma il Monte Lesimina (1455 m), il quale piegando poi a sudest origina la Costa del Gazzo dominante l’abitato di Zerba» (Appennino Ligure, pag. 318). Sulla vetta passa il confine amministrativo tra la provincia di Piacenza e quella di Pavia.
«Visto da ovest – riferisce P. Greppi – il Lésima mostra dolci declivi erbosi, in giugno e luglio invasi da fioriture eleganti e profumate: orchidee, nigritelle, fiordalisi, botton d’oro, aquilege e altro ancora. E così anche lungo tutta la fascia culminale del crinale, sino a Cima Colletta. D’estate la prateria offre ottimi pascoli per bovini e cavalli. […] Gli opposti versanti del crinale sono ammantati da magnifiche faggete e rimboschimenti di conifere» (L’Oltrepò Pavese collinare e montano, pag. 187). Verso est nord-est il monte precipita con una parete di rocce stratificate, chiamata localmente Rocca del Lupo, per via un lupo che vi sarebbe precipitato. D’inverno quando è incrostata di neve e ghiaccio, la Rocca del Lupo diventa un bel banco di prova gli alpinisti: è stata salita in condizioni invernali 17 dicembre 1993 da G. Stafforini, A. Bald e A. Bonanno (G. Pastine, M. Picco, I monti del mare, pag. 194).
In cima sorge una grande croce a traliccio metallico, benedetta il 5 novembre 1954 dal vescovo di Bobbio P. Zuccarino, nel corso di una storica messa che richiamò i fedeli in processione da Zerba, Pej, Corbesassi, Bogli e dintorni, in una splendida giornata di sole. La croce, alta tredici metri, fu realizzata gratuitamente dalla ditta S.E.E.E. e trasportata Iassù con muli e buoi dagli abitanti di Zerba favoriti un autunno eccezionalmente mite (da La Trebbia, 13/11/1954).
Nei pressi della croce, alla fine degli anni Ottanta, è stato costruito un imponente radar a forma di geoide, utilizzato dall’ENAV per il controllo traffico aereo relativo a numerosi aeroporti italiani e anche degli scali di Zurigo e Marsiglia. Il gigantesco radar, ben visibile anche da molto lontano, è raggiunto da una rotabile asfaltata che sale lungo l’erbosa cresta nord-ovest. Fino al 2008 era presidiato continuativamente da personale specializzato mentre oggi, sorvegliato a distanza, ha funzionamento completamente automatizzato. Il radar e la strada di accesso hanno certamente intaccato il primitivo fascino della montagna, tuttavia il Lésima merita a di essere visitato, per la bellezza dei percorsi che portano in vetta, per le fioriture e per il notevole panorama: “Di lassù nelle giornate serene – scriveva Oròfilo nel 1892 – si scorge vicinissima, ma più profonda quasi 1300 metri, la vallata della Trebbia, e d’intorno si gode di un incantevole panorama su tutto l’Appennino settentrionale, sui campi lombardi insanguinati in cento famose battaglie, e più oltre fino alle remote nevi delle Alpi” (L’Appennino Genovese dalla Scrivia al Taro, pag. 167)
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