La scorsa estate ho letto questo romanzo, di Giorgio Macellari.
E’ un racconto abbastanza breve, di facile lettura. Volendo, si legge in un viaggio in treno.
Per essere al suo primo romanzo giallo, l’amico Giorgio ha un bel ritmo, una storia che fila, ambientata a Voghera nel 1989, tra la redazione locale de “La Provincia Pavese“, le partite a biliardo al Cevenini e i dintorni nebbiosi di Campoferro.
La storia è ben scritta, non saremo forse davanti a una pietra miliare della letteratura thriller, però vale la pena leggerlo, per ritrovarsi in quell’atmosfera tardo anni’80 di Voghera e cercare di capire, fino all’ultimo, chi è l’assassino.
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Tutto quello che non rientra nelle altre categorie
Sono quasi non-notizie, nascoste tra le pagine della cronaca locale.
A me è sempre sembrato ovvio che, se esiste tutta questa smania di accoglienza e soprattutto di sistemazione in hotel, dietro ci deve essere un interesse economico. A me personalmente è stato chiesto di partecipare a un “business” che prevedeva di sistemare gli immigrati da qualche parte, facendomi intuire che era un business redditizio (ovviamente non ho neanche pensato di accettare).
Ricordo anche un’amica straniera in lacrime quando mi raccontava i sacrifici che ha fatto e che continua a fare per lavorare dignitosissimamente in Italia, sacrifici seri e pesanti, mentre chi magari ha meno bisogno sta comodamente in albergo a fare niente.
A volte la ragione sta nel mezzo, magari ha ragione la Rackete a voler salvare vite umane, magari ha ragione chi dice che c’è dietro un sistema criminale (come il pm di questo articolo), magari ci sarebbe da chiedersi a chi giova tutto questo?
Stranieri di serie B quasi da sfruttare e stranieri di serie A da mantenere e viziare e poi, quando non rendono più, mollare come bestie al pascolo
QB. Quando chi scrive ricette ritiene che sia inutile quantificare la quantità di un ingrediente, scrive semplicemente “Q.B.” che sta per “quanto basta” e vale a dire “mettine un po’ quanto te ne pare, dipende dai tuoi gusti”, oppure “ma come, non lo sai quanto devi metterne? Su, non scherziamo, lo sanno tutti”.
In questo libro però le ricette sono nella testa, e nell’arte, del suo protagonista, lo chef stellato Quinto Botero, che si ritrova coinvolto addirittura in un omicidio, che stravolge e sconvolge la sua vita fatta di lavoro, di cucina, di cucina e di lavoro, tutte cose che lui non riesce a scindere l’una dall’altra.
Questo libro è l’opera prima di Matteo Colombo, neodirettore de “Il Popolo” di Tortona. Non lo devo dire certo io, ma il ragazzo sa scrivere. Tiene incollato il lettore dalla prima all’ultima pagina. Sempre interessante, mai noioso. Molto inserito nella parte (il mondo della cucina e soprattutto dell’alta cucina), avvincente, convincente. Uno stile personale, moderno, senza fronzoli. Una trama avvincente, credibile e ben costruita, una scrittura perfetta.
Bravo Matteo. Aspettiamo il secondo.
Annche quest’anno il risultato è stato portato a casa e stavolta con un tempo davvero record: 8 ore e mezza.
Ecco la versione 3D del percorso che abbiamo fatto. Si nota bene il tratto più duro, quello che parte una volta arrivati in fondo alla valle dell’Avagnone e ci si inerpica lungo la costa della “Valle dell’Inferno”
Relive ‘Inferno 125 – 2019’
Roberto era di Milano, la sua famiglia veniva in villeggiatura al Passo del Brallo e stavano nella “Casa Gialla”, pertanto erano inquilini dei miei.
Eravamo amici e ne combinavamo un sacco, suo papà mi chiamava “Archimede” perché diceva che ne inventavo sempre una nuova. Mi gasava quel soprannome.
Roberto era un ragazzino giudizioso, ubbidiva sempre ai genitori e se per caso non lo faceva era il primo a rimanerci male perché si sentiva in colpa. Parlava un po’strano per via di quella dentatura un po’ pronunciata.
Aveva anche lui il Commodore 64 e ci scambiavamo le cassette. A dir la verità è stato uno dei motivi per cui ho “scelto” di ricevere quel computer anziché un altro: se ce l’avevano in tanti, soprattutto i milanesi come Roberto, voleva dire che era valido.
Alla fine degli anni ’80 i suoi hanno deciso di cambiare meta. Hanno lasciato Brallo nel pieno della sua epoca florida. Recentemente Roberto è passato a Brallo a trovarmi, insieme a sua moglie e sua figlia. Mi ha fatto davvero tanto piacere, è stato un bellissimo regalo.
Ho letto questo libro del 2002 di Fabrizio Bernini dal titolo “Le stragi di Barostro e Cencerate – Autunno 1944 nel varzese“.
Racconta episodi della guerra civile che c’è stata in Italia negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, che si svolsero nell’alta Valle Staffora, a Varzi e ancora sopra. La zona è stata inizialmente sotto il controllo di bande organizzate di “ribelli“, come li chiamarono in tanti, oppure di “partigiani“, come vengono storicamente definiti. Erano tutti giovani che per qualche motivo si ritrovarono a combattere per cercare di liberare il nord Italia dal regime Fascista. C’era chi ci credeva, chi ci sperava, chi non voleva sottostare ai soprusi dell’esercito regolare, chi non aveva scelta e chi ne approfittava. E qualcuno per più di uno di questi motivi.
La guerra è davvero brutta, e anche se non l’ho vissuta in prima persona l’ho sentita spesso raccontare dai miei genitori, da mio nonno e da alcuni anziani dei miei paesi. La guerra civile è una cosa ancora più brutta perché mette di fronte persone che abitano o vivono negli stessi luoghi. E quindi è intrisa maggiormente di ingiustizie, ripicche, vendette, soprusi, angherie e tragedie.
Nelle brigate partigiane militava il “Commissario Piero“, nome di battaglia di Giovanni Orfeo Landini, nipote di quel Landini che fondò lo stabilimento di trattori agricoli. Divenuto strenuo antifascista fu arrestato negli anni ’40 per cospirazione e tenuto in carcere fino ad ottobre del ’43, quando entra nei ranghi della rete organizzativa e militare del PCI. Rimane coinvolto nell’assassinio di un commissario federale fascista a Milano e quindi il PCI ritiene opportuno il suo allontanamento in Oltrepò Pavese, per coordinare bande di ribelli irregolari in formazioni regolari e divenne commissario politico della brigata Aliotta.
Occorreva un luogo da dedicare a campo di prigionia per i prigionieri e si scelsero due paesi situati nel comune di Brallo (all’epoca comune di Pregola): Barostro e Cencerate, raggiungibili risalendo la valle dello Staffora fin quasi alla fonte, percorrendo una stretta mulattiera. Nel settembre 1944 tra i prigionieri si contavano soldati dell’esercito regolare, civili, esponenti del Partito Fascista, tedeschi.
A metà ottobre si scatena una rappresaglia, ovvero una “risposta” a fatti di sangue, fucilazioni a danno di partigiani commesse dai fascisti. Si decide di fucilare 33 esponenti della brigata San Marco. Una commissione partigiana dette una parvenza di tribunale e i condannati scesero a 9. Essi erano nel campo di prigionia di Barostro. Don Rino Cristiani, parroco di Nivione, li confessa, dà loro la comunione e raccoglie i loro ultimi desideri. Un ragazzino di 15 anni, Oreste Flauto, si offre per essere fucilato al posto di un commilitone. Il racconto di don Cristiani è commovente, dirò soltanto che convinse un condannato a perdonare ed abbracciare chi lo stava per uccidere, un attimo prima della fucilazione.
Nell’agosto ’44 ci fu una rappresaglia a Milano, in piazzale Loreto, per via di un attentato che costò la vita a militari tedeschi e civili: i fascisti prelevarono quindici partigiani e li fucilarono. La delegazione lombarda dei partigiani ordinò quindi di passare per le armi i prigionieri nazifascisti.
A Varzi questa notizia fu accolta con sgomento e una piccola delegazione parlò col commissario Piero per avere garanzie su un giusto processo, prima di ordinare qualsiasi fucilazione.
Il problema dei prigionieri era che nell’autunno ’44 era in corso un grande rastrellamento a largo raggio delle truppe tedesche e dei “mongoli” (truppe in realtà calmucche) e portarsi dei prigionieri durante un’eventuale ritirata era un impiccio. Liberarli voleva dire esporsi a possibili fughe di notizie. Quindi, che fare? C’era l’ordine di fucilazione, ma questo ordine scritto non fu mai confermato. Il Landini sostenne sempre che questo ordine fosse esistito, ma non fu mai provato.
Alla fine questo ordine fu dato a chi comandava i due campi, quello di Barostro e quello di Cencerate. Quelli che dovevano occuparsene erano comunque dei giovani, erano comunque degli uomini, e molti furono presi, se non da dubbi, da scrupoli, perlomeno da pietà, da paura, e cercano di far fuggire i prigionieri, almeno quelli come i borghesi che godevano di un’ampia autonomia all’interno dei campi.
Don Rino tento di persuadere il Landini a ravvedersi dal suo proposito, ma inutilmente. Arrivati i fucilandi, il prete li accolse per dare loro conforto e qualcuno di loro gli lasciò degli scritti per i famigliari.
Nel dopoguerra Orfeo Landini fu processato e considerato colpevole di omicidio volontario continuato. Lui si difese sostenendo di aver solo obbedito a un ordine, ma prove in tal senso non ne furono mai prodotte e le testimonianze non deponevano a suo favore. Si ritenne che, pur essendo gli avvenimenti occorsi in stato di guerra, il Commissario Piero ebbe la colpa di far fucilare anche 4 civili, perlopiù non in un atto di guerra, ma compiendo un omicidio dettato da moventi politici. Fu condannato a 18 anni, ma non scontò in pieno la pena in carcere per un’amnistia.
50 anni dopo la guerra Landini rilasciò a Bernini stesso, l’autore di questo libro, un’intervista dove si dichiarava membro del commando che da Milano partì nell’aprile 1945 per prendere in consegna Mussolini e che invece lo fucilò.
Quiz: dov’è Cagliostro?
Vi assicuro che in questa foto c’è un gatto, ma il subdolo felino ama mimitizzarsi.
Pisaré cane da guardia del Brallo.
Nessuno può entrare senza il suo permesso!
Questa estate come è stata? E’ stata l’estate di Trotty II, la 500. L’estate senza grigliate, l’estate di tanti libri, l’estate di Riva Trigoso e la sua spiaggia.
L’estate del sempre caldo, insopportabile. All’inizio perlomeno non c’erano zanzare, uno degli animali più odiosi del globo.
L’estate di Brallo, di Cagliostro e di Pisaré. L’estate senza “Inferno 125” a luglio, ma a settembre con tempo record e col fantastico giro a Brugnello, l’estate del trebbia a Valsigiara.
L’estate della solita polenta a Cortevezzo, ma poi sono sceso a Voghera, l’estate delle prove di teatro allo Stanzone e poi dello strepitoso spettacolo al castello.
L’estate delle persiane da scartavetrare e l’estate del bargnolino. Le verdure si, i giri para no. La polenta di Corbesassi si, Someglio no.
L’estate di Montagne di Carta terza edizione, l’estate senza danni alla casa, finalmente. Discofragolina no, San Lorenzo a Valformosa si.
Pisa, Abetone e Garlenda. Pizza, vino e cubalibre.
Una bella estate.
Io e Cagliostro partiamo.
Verso l’infinito e oltre.
Arrivederci.
L’eternità è il mare mischiato col sole.
Vi rimando alla prima puntata, alla seconda e alla terza
Il disco
Il disco intende offrire un’esemplificazione dei canti narrativi ancora in uso al Brallo, nella loro pluralità di modi esecutivi, a solo e in coro. La scelta non è limitata al canto epico-lirico classico, anche se lo privilegia. Sarebbe stato scorretto trascurare i canti recenti “da cantastorie” che hanno conosciuto maggior sincretismo nel repertorio locale, tanto da divenire sincronicamente parte integrante del patrimonio canoro locale.
Appartengono allo strato arcaico : Cecilia, E l’ui bella l’è là sul mar, Inglesina, Rosina la va la rusa, La povera Lena. Esiste tuttavia un corpus sostanzioso e tutt’ora vivissimo di altri canti narrativi, che potremmo dire “da cantastorie“. A questo gruppo, che si differenzia dal precedente anche strutturalmente, appartengono Isabella, La Milia la va Robbi, Isidora.
Spazio particolare ha, nella scelta, il canto solistico di Eva Tagliani, che rappresenta la testimonianza del livello più arcaico del la tradizione del Brallo. Rispettando il gusto estetico di Eva Tagliani sono stati inserite i canti che più le piacevano (Cecilia, La povera Lena, Teresina e Eugenio (il brano non è compreso nel disco).
I canti drammatizzati durante il carnevale in tempi passati provengono sia dal repertorio “vecchio” che da quello “moderno“. Dal primo Cecilia, E l’ui bella l’è là sul mar, dal secondo Ferruccio, Isabella.
Benchè l’esecuzione in coro sia la norma (si sentano, per esempio, Isabella, La Rosina la va la rusa) per la generazione più moderna di cantatrici (cioè le figlie di Eva), vengono anche inclusi alcuni canti a solo di Iride Tagliani (L’inglesina, Isidora, Ferruccio) e di Enrica “Richetta” Pasquella (La Milia la va Robbi) per la loro nettezza d’esecuzione e per il loro interesse intrinseco.
Per ogni canto si danno le varianti di maggior rilievo raccolte al Brallo (con qualche glossa linguistica); una bibliografia minima per il confronto con altre varianti settentrionali; commenti o notizie relative al canto, fbrnite, quanto possibile, dalle cantanti stesse. Soltanto per Cecilia il commento è sommario, considerando la mole di materiale che verrà pubblicata altrove 10.
Lo spazio posto a disposizione dal disco ha obbligato ad una (difficile) scelta ristretta che costituisce una parte esigua del repertorio del Brallo. Ciò che ci dispiace soprattutto è di non aver potuto includere nel disco esecuzioni di tutte le cantatrici che ho incontrato nella nostra ricerca. Voglio tuttavia ringraziarle tutte.
E chi di voi, per quanto si sia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?
(Matteo 6,27)
“Sono figlio della libertà. Ad essa devo tutto quello che sono.”
Se un’idea non è assurda, pazza o furiosa, allora per quell’ idea non c’è speranza.
(Albert Einstein)