(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

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Dedicato a Chiara

Che dire?
Niente di nuovo sotto il sole.
Niente di nuovo, come sempre.
Quante volte l’ho già detto?
Quante volte l’ho già scritto?
Quante volte ho già scritto “Quante volte”?
Dovremmo darci una mossa?
Lo so, lo so, quante volte?
Cambierò, lo so, lo so.
Sono già cambiato, quante volte?
Spero di farcela, realmente.
Lo spero per me…
…di rivederla… quanto tempo?

(da "Randagio" – nessuno – 2004/2008 – per la cronaca "Chiara" è una persona che non esiste)


René Magritte – Les vacances de Hegel – 1958

 

Lombrico

Se fossi un lombrico?

Vivrei notte e giorno nella campagna umida.

Penserei solo a mangiare e sputare terra.

Se una mattina mi svegliassi

e come un novello Gregor Samsa

non avessi più le mie sembianze

ma quelle di un vermiciattolo del terreno.

La mia unica preoccupazione

sarebbe quella di vivere e sopravvivere.

Se fossi un lombrico?

Non avrei problemi,

né gioie o soddisfazioni,

nessun dubbio nessun dramma.

Un piccolo anellide

viscido e sfuggente

agorafobico e antopofobico introverso.

Se fossi un lombrico.


Antonio Canova – Venere Italica – 1804/1812 – Galleria Palatina Firenze

Vadoavaduz

E’ lunedì, piove, non mi sento tanto bene e io vado a Vaduz.
Così incontro gente nuova, faccio spaziare il pensiero. Ma poi aspetto, troppo lontano.
Oggi è martedì, c’è nebbia. Ho un gran male di testa e vado a Vaduz.
Prendo il primo treno, vado in stazione. Ma poi non parto, ci metto troppo tempo.
Oggi è mercoledì, fischia come fischia il vento! Mi sono svegliato male e vado a Vaduz.
Guardo gli orari degli aerei, ma non ci sono troppi scali vicino. Meglio se resto.
Oggi è giovedì, anche se mi fa male la schiena e nevica, io mannaggia vado a Vaduz.
Prendo l’auto e faccio il pieno. Però non ho i pneumatici giusti, e quanto costa il gasolio!
Oggi è venerdì, finalmente vado a Vaduz, così mi passa il mal di pancia.
Chissenefrega del terremoto, tanto io parto. Oppure no. Forse no.
Oggi è sabato, è quasi festa e io vado a Vaduz.
Ma che lingua parleranno là? Io non parlo il tedesco. E mi sa che non c’è l’Euro.
Oggi è domenica, e sto ancora aspettando di andare a Vaduz.
Ma quello che cerco non è in Liechtenstein, tutto ciò di cui ho bisogno è qui.

nnmivedi

Sono il vento tra i tuoi capelli

Sono il punto in fondo alla frase.

Sono il sole d’inverno

So parlare la voce delle rocce

So ascoltare i sospiri degli alberi

So cavalcare i raggi del sole

Sono in fondo al vuoto che hai dentro

Sono nell’ombra che ti sto seguendo

Sono in ogni goccia di pioggia sul tuo viso

 

(da "Randagio" – nessuno – 2004/2008)
 

Neve nel cuore

Scende la neve. Lieve lieve. Scende la neve. E’ bello vedere quei fiocconi che cadono così lentamente. E tutto diventa più silenzioso: un silenzio bello, che rende più vicini. E i fiocchi si posano sul manto già bianco, si sommano, si compongono e creano una coltre magica. E’ magica la neve. E’ fredda, fastidiosa, brutta, pericolosa, ma è anche magica. Può essere bella, scintillante, radiosa. E poi è buona la neve. Mantiene la vita. Il proverbio dice "sotto la neve pane". Perché il grano viene riparato dal gelo invernale grazie alla neve. La neve può essere portata dal vento: gli spifferi portano qualche fiocco sotto ai cornicioni, nelle cascine, nei portichetti. La neve ricopre le auto, entra dalle finestre rotte delle cantine, imbianca i tetti. Può entrare anche nel cuore. Lui che è rosso si colora di bianco. Sembra magari congelato, ma sappiamo bene che non è così: sotto la neve c’è la vita. La neve serve proprio a quello. E quindi quando la neve si scioglierà il cuore, ancora vivo, tornerà a battere. Più forte di prima.

Buonanotte (1996)

La notte è diversa.
La notte è vita,
è piena di progetti,
tutto è buono tutto è giusto.
Il mondo è tuo.
Ti togli la maschera,
vedi tutto con occhi buoni.
Non hai problemi di notte,
fai solo quello che vuoi.
La notte di pace
La notte spietata
La notte frivola
La notte assassina
Forse è solo un sogno
che ci manda la luna,
oppure è stato un bacio
che ci ha dato la fortuna.
 

Arcobaleno

ARANCIO come tenersi per mano
ARANCIO come il becco di un gabbiano
ARANCIO quando volo sopra le nuvole con te
ARANCIO come i sogni quando sei con me

INDACO può essere il sentimento
INDACO è uno dei fiori che ti ho regalato
INDACO è il tramonto
INDACO quando appoggi la testa sulla mia

VERDE come un prato
VERDE è il mio sguardo quando ti vedo
VERDE è l’acqua pulita di un fiume
e VERDE è il semaforo del nostro amore

e poi GIALLO come il sole che ci scalda
GIALLO come… ricordi quel simpatico canarino?
GIALLO come le carezze che ti faccio
è proprio un bel GIALLO, GIALLO limone!

VIOLA come i pensieri
e VIOLA è anche il mirtillo
ma VIOLA è il nostro abbraccio
perché VIOLA è la consapevolezza di provare qualcosa di grande

AZZURRO come le onde del mare dove ti voglio portare
AZZURRO come il mistero dietro a un pensiero
AZZURRO come il cielo che è AZZURRO
AZZURRO è la mia gioia di stare con te

ROSSO è il bacio
perché ROSSO è il fuoco che brucia
perché ROSSO è fare l’amore
come ROSSO è il mio cuore

Pensieri volanti

Io credo k1palloncino,
qnd sfugge alle mani del suo piccolo amico,
vuole and lontano
portando i suoi sogni e i suoi desideri,
x aiutarlo a far si k s realizzino.
il vento ha portato da me qsto palloncino
e m piace pensare
k1bambino, vedendolo sparire in alto
abbia pensato:vai,coi miei sogni,vola!!
e mi piace pensare k prima o poi
quei desideri si avverino….

Quel fantasma per amico

Decisi di non parlare con nessuno di quello che avevo visto, anche per non sembrare preda di allucinazioni estive.

La sera successiva, dopo l’orario di chiusura, preparai lo stesso appostamento, dopo aver lautamente cenato e dopo diversi caffè per combattere il sonno.

Verso le tre del mattino, quando ero convinto che non sarebbe accaduto nulla, ricominciarono i rumori provenienti dalla sala. Stavolta uscii subito allo scoperto brandendo il bastone. Il visitatore notturno era lo stesso della notte precedente. Quando mi vide arrivare lasciò cadere la bottiglia di vino che aveva tra le mani e si diresse urlando verso l’uscita sbarrata, che attraversò senza aprire. Rimasi talmente scosso che non potei muovermi, mi ci vollero diversi minuti per riacquistare il sangue freddo. Controllai bene la porta d’entrata che era chiusa a doppia mandata. Non vi erano più dubbi, quell’essere non era reale, vale a dire che non era fatto di materia, insomma non era umano. Mentre ero perso in questi pensieri udii rumori di passi, mi voltai di scatto e lo rividi: era lui, era lì, lui in persona, o in non-persona, e qualunque cosa fosse, era a non più di quattro o cinque metri da me.
«Perché non fuggi?».
Lo guardai impietrito. La sua voce era profonda.
«Ho troppa paura», risposi.
Una sonora e fragorosa risata riempì la sala del pub «Castello» in quella notte d’estate del 1999. L’essere altri non era che il fantasma di Giovanni Malaspina. Mi spiegò la sua storia e mi fece molte domande. Minuto dopo minuto la mia paura svanì e l’interrogatorio si trasformò in una chiacchierata, che durò fino all’alba. Mi raccontò di quando, nel 1570, entrò in conflitto con i marchesi di Pregola per divergenze familiari e assaltò il vecchio castello, gli diede fuoco e lo distrusse, uccidendo barbaramente alcuni degli occupanti. Purtroppo per lui nella fortezza vi era ospite un vecchio negromante del Nord Europa che gli scagliò una terribile maledizione: dopo la morte il suo fantasma sarebbe rimasto intrappolato tra le mura del castello fino alla fine del millennio. Dopo decenni di solitudine, non gli sembrava vero che il maniero fosse ancora abitato. Avrebbe voluto bere qualche sorso di alcol ma, essendo incorporeo, non poteva, perciò furente fracassava i calici a terra.
Nelle settimane che seguirono queste chiacchierate si svolsero con regolarità quasi giornaliera. Giovanni mi chiedeva del mondo attuale, io mi facevo raccontare le abitudini, le imprese, le guerre e la vita di corte di quei secoli lontani.
Quando in autunno chiusi il pub, decisi di andare a trovare il simpatico spiritello almeno una sera la settimana. Così per i mesi seguenti continuarono i nostri incontri davanti al caminetto a chiacchierare. Passarono i mesi ed arrivò l’inverno. Il 31 dicembre mi recai al castello, dove trovai Giovanni in quello che una volta era il salone principale. Ci salutammo calorosamente. Ero triste per la perdita di quella figura ormai familiare, ma ero felice per lui, che avrebbe finalmente trovato la pace. Attraversò per l’ennesima volta il muro che divide il salone della cucina e scomparve.

Circa un mese dopo ero nel bar per fare un po’ di pulizie quando, ad un tratto, mi ritrovai davanti quel personaggio buffamente abbigliato che ormai conoscevo bene.
«Giovanni! Ma… come…» esclamai.
«Ricordi la maledizione? Ebbene, il millennio finisce il 31 dicembre del duemila, quindi, amico mio, dovrai sopportarmi un altr’anno ancora».

Questo è quanto accadde a partire da quell’estate del 1999.

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Come ho già scritto e detto più volte, ma lo ripeto perché molti ancora me lo chiedono: è solo un racconto, non ho avuto le allucinazioni. E per di più Giovanni Malaspina non è mai esistito, il castello fu distrutto da Gian Maria malaspina e nel 1575.

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ps dell’utimo minuto: secondo un’altra fonte fu distrutto da tal Giovanni Malaspina nel 1571… quindi un fondo di verità in quello che ho scritto c’è !!!!

Racconto d'estate

Nel 1999 il quotidiano La Provincia Pavese istituì un piccolo concorso letterario dal titolo "Il racconto d’estate". Chiunque avesse voluto inviare un piccolo racconto che si svolgesse nella nostra provincia evrebbe visto il suo lavoro pubblicato sul giornale e avrebbe partecipato alla vittoria finale. Io, per curiosità, per la voglia di cimentarmi in qualcosa di nuovo e per fare un po’ di sana e onesta pubblicità ad un’iniziativa che stavo per intraprendere, mandai il seguente raccontino:

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Nell’estate del 1999 decisi di aprire una birreria a Pregola, frazione del comune di Brallo. A dir la verità una frazione dal passato glorioso, tant’è che fino a non molti decenni prima era il capoluogo comunale, sede da secoli di un marchesato. Il luogo che avevo intenzione di trasformare in un piccolo bar stagionale aveva anch’esso una brillante storia: era parte della casaforte (chiamata castello dagli abitanti del paese), residenza dei marchesi Malaspina, feudatari di Pregola dal 1164 e ivi residenti fino all’inizio del XX secolo. Inaugurai il pub «Castello Malaspina», situato nell’ala ristrutturata della struttura medievale, verso metà luglio. Nei giorni successivi iniziarono ad arrivare avventori da tutto l’Oltrepò pavese: gente del luogo e turisti attratti dalla frescura e dal fascino del maniero. Non avevo mai fatto quel lavoro prima di allora e l’inatteso successo mi aveva disorientato un po’. Non sapevo ancora che ben più emozionanti eventi mi avrebbero coinvolto. Tutto ebbe inizio quando alcuni abitanti del paese vennero a lamentarsi per il rumore proveniente dal bar che li aveva disturbati durante la notte. Io mi scusai sfoderando tutti i sorrisi di cui ero capace, ma in seguito mi venne in mente che il giorno precedente era lunedì e quindi il pub era chiuso.  Con un misto d’ansia e preoccupazione mi recai di corsa al castello, dove trovai molte bottiglie spostate, alcune rovesciate, e numerosi cocci di bicchieri in terra. Con un rapido sopralluogo notai che non c’erano altri danni, e nessun furto: un intruso beone dunque. Non risultavano assolutamente segni di scasso: da dove poteva essere entrato?

La settimana successiva, di martedì, mi si presentò sotto gli occhi la stessa scena: bottiglie e bicchieri sui tavolini e per terra, porte e finestre integre. Feci sostituire al più presto la serratura dell’ingresso, pensando che qualcuno fosse riuscito a procurarsi un doppione delle chiavi. Non riuscivo a spiegarmi comunque un particolare: perché gli ignoti visitatori non si limitavano a portare via le bottiglie o a berle in silenzio, bensì le frantumavano rischiando di farsi scoprire per il frastuono? Il lunedì seguente all’ora di cena ero nel castello, appostato nella toilette nell’attesa dei vandali della notte, armato di un grosso bastone. Rimasi tutta sera nello stanzino di pochi metri quadrati, fermo immobile,finestre chiuse, nessun rumore, il caldo che cominciava ad essere insopportabile, con grosse gocce di sudore che mi scendevano sulla fronte. Dopo qualche ora la situazione era peggiorata perché stupidamente non avevo cenato e i morsi della fame iniziavano a farsi sentire, accompagnati  dal mal di schiena dovuto alla scomoda posizione. Infine la sonnolenza ebbe il sopravvento e mi addormentai.
Fui  svegliato da rumori che provenivano dalla sala, mi affacciai e….cosa vidi: un uomo che stava versandosi del rum. Appoggiò il bicchiere su di un tavolino, lo riempì e bevve. Continuò per altre due o tre volte. Io ero preso dall’osservazione dei suoi abiti: di stranissima foggia, pareva un costume teatrale. Nel frattempo l’insolito ospite continuava a servirsi finché, in uno scatto d’ira, scagliò con forza il bicchiere per terra. Non potei più trattenermi e uscii allo scoperto ma, quando mi vide, corse verso il muro laterale e… lo oltrepassò vicino al camino!
Potete immaginarvi lo sgomento misto a paura che provai in quegli attimi. Dopo essenni un po’ tranquillizzato, diedi un’occhiata intorno: ancora una volta lo scenario era composto da cocci di vetro e bottiglie aperte.Un particolare mi sembrò subito molto strano: la bottiglia di rum era quasi piena, e io avevo visto’quel personaggio bere più di quattro bicchieri.
Preso da un autentico terrore aprii la porta — che era rimasta chiusa a chiave — e me ne andai.
Quella notte non dormii.
Avevo sognato ad occhi aperti per colpa del pasto saltato, del sonno e del caldo?

(continua domani)

Gocce di neve e polvere di cioccolato

 

Ti dedicherei una canzone,
ti dedicherei una poesia
o anche mille.
Ti dedicherei un libro, una foto,
un quadro dipinto da me.
Ti dedicherei una via, una bella giornata,
una favola.
Ti dedicherei una stella
anche se non brillerebbe mai come te.
Ti dedicherei tutti i fiori di un prato,
anche tutte le foglie di un albero
Ti dedicherei tutti mattoni di questa casa
e ogni singolo granello di sabbia di una spiaggia.
Potrei dedicarti tutte le gocce della pioggia,
tutti i secondi contenuti in un secolo
e tutti i puntini sopra le i,
ma non mi avvicinerei neanche
ad esprimere
tutto il mio amore x te.

 

Incipit

Come al solito il comandante del Millenium Falcon si richiuse nella sua stanza per la notte, solo. Scorrevano tanti pensieri nella sua testa. Si rivedeva bimbo quando aiutava zio Hakab a riordinare le reti da pesca sul molo.  Prese un libro a caso dallo scaffale e provò a leggerne qualche riga. Era un romanzo, di quelli che sembrano tutti uguali. I suoi occhi scorrevano le parole, ma i pensieri volavano per conto loro.  Chiuse le pagine e appoggiò il libro, girandosi nella sua cuccetta. Non prese sonno molto presto. Ripensava a quella volta che cercò di intuire cosa si nascondeva dentro gli occhi di quella donna e gli venne in mente quella strofa della canzone: “io ti cercherò negli occhi delle donne che nel mondo incontrerò e dentro quegli sguardi mi ricorderò di noi…” . In effetti gli era capitato, a volte, di rivedere negli sguardi delle altre donne quegli occhi color acciaio.

Quella notte dormì un sonno breve ed agitato. In fondo era contento di avere poco tempo per se, così non poteva pensar ad altro che al suo lavoro. Era il comandante e la responsabilità sull’equipaggio e sull’andamento della missione ricadeva sulle sue spalle. Sognò sua figlia, piccola creatura che aveva potuto veder solo pochi istanti, prima di essere allontanato. Dopo quel giorno gli fu vietato di vederla e mesi dopo si iscrisse all’accademia navale. Dove sarà  ora? Ha dodici anni, dodici come le fatiche di Ercole. Come saranno le sue mani e di che colore i suoi capelli? Chi chiamerà Papà? Il capitano si alzo con un misto di nostalgia e malinconia per questi suoi pensieri. Ad un tratto suonò l’allarme. Non perse tempo ad abbottonarsi la protocamicia e si diresse di tutta fretta verso la sala comando. Stavano per incrociare un branco di baledonti, enormi esseri viventi che viaggiano ad una velocità prossima a quella della luce. Ormai era troppo tardi per virare. Accidenti, chi era di turno allo spaziosonar? Avrebbe punito duramente il responsabile di questa negligenza, ma ora non c’era tempo, dovevano prepararsi all’impatto. Diede disposizioni di azionare le tute protettive a cercare di raggiungere le scialuppe. Mentre si dirigeva verso la sala dei sottoufficiali, la tecnonave venne scossa in modo violentissimo dallo scontro con uno di quei bestioni. Non fece in tempo a rialzarsi quando un altro colpo lo fece barcollare, e poi un colpo ancora, e ancora un altro: ormai il Millenium Falcon si era spezzato in più punti.

"Solo, la pa loiya Solo!"
"Bone duwa pweepway?"
"Han, ma bookie, keel-ee calleya ku kah."
"Wanta dah moolee-rah…"
"Mon kee chees kreespa Greedo?"
"Han, ma kee chee zay."
"Hassa ba una kulkee malia…"
"Lude eveela deesa…"
"sloan dwa spasteega el was nwo yana da gooloo?"
"Han, ma bookie, baldo nee anna dodo da eena."
"See fa doi dee yaba…"
"Dee do ee deen."
"Ee ya ba ma dookie massa…"
"Eek bon chee ko pa na green."
"na meeto do buny dunko la cho ya."
"Boska!"

 

Togliermi il sole

Potrei stare senza bere
camminare senza meta
potrei vendere il letto
e dormire per terra
potrebbe sparire il profumo dei fiori
smettere di nevicare per sempre
potrei bruciare tutti i libri
e poi vivere in cantina
potrebbero togliermi il mare
togliermi il pane la pasta la pizza
crollare la casa
svanire il sorriso di tuti i bambini
potrei andare lontano
gettare le carte le foto e i regali
potrebbero togliermi il sole
e forse anche il respiro
ma non potrebbero mai
togliermi te

poca luce

zero uno zero uno uno uno zero casa albero bosco tanti alberi luce poca luce buio sentiero foglie camminare luce poca luce fatica scarpe respiro salita strada arrivo andiamo dove sono? pensieri pensieri pensieri nelle foglie solo tronchi di alberi solo erba e foglie discesa o salita? piove o è fatica? pensieri ancora pensieri torniamo ancora salita tanta luce stavolta ma che stanchezza profonda stanchezza sonno

Viaggiatore della notte

volo
e volando sorrido
e volando io penso
e volando io canto
io sorrido e poi canto
e cantando io penso
e cantando sorrido
e sorrido volando
rido
e ridendo io avanzo
e ridendo io volo
e ridendo io penso
io penso e poi avanzo
avanzando io canto
avanzando nel volo
tra le stelle io rido
 

 

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