Ancora un libro di Fabio Volo. E anche stavolta ho sottolineato alcuni passi che mi sono piaciuti. Eccoli (in corsivo i miei commenti):
Pare che i notai guadagnino molto perché hanno dovuto studiare parecchio. Sembra che quel parecchio sia a spese nostre. Forse pensano che, quando loro stavano studiando, noi eravamo in giro a non fare un cazzo.
(E’ una cosa pensata da molti. Magari a pensar male ci s’indovina…)
Lo aveva già fatto altre volte. Mi mandava dei messaggi carini e pieni d’affetto, ma di persona non riusciva a dirmi quelle cose. Io mi commuovevo. Io lo amavo. Quando una donna ti dice "ti voglio bene" o fa un gesto pieno di tenerezza è una figata, ma quando a fartelo è un tuo amico ti squagli di più. Quelle tenerezze tra amici, lontane da stupide battute sull’omosessualità, sono dirompenti. Intendo dire quando l’amico che te lo dice è in grado di intendere e di volere. Quando è lucido. Non parlo di quando è ubriaco e tra una vomitata e un passo storto comincia a dirti che ti vuole bene: "Ti voio begne, tu scei il mio miore amico… bluaaaaaaahhhhh!". Quelle volte non conta.
(A me è capitato e, credetemi, è così: dirompente. E mi è capitato anche l’amico ubriaco che sbiascica…)
Quelli con cui […] avevo giocato a rialzo, nascondino, strega comanda color, le belle statuine, mosca cieca, i quattro cantoni, bandierina, un due tre stella. Quelli con cui avevo imparato la filastrocca per fare la conta: "Pum pimpiripette nusa pimpiripette pam".
(Siiiii, i giochi da bambinooooooo)
Forse la libertà poi non è nemmeno poter fare ciò che si vuole senza limiti, ma piuttosto saperseli dare. Non essere schiavi delle passioni, dei desideri. Essere padroni di se stessi.
(Fosse facile)
Dovevo sempre essere in movimento, sempre impegnato, sempre pieno di cose. Era una vita che scappavo, che correvo, che fuggivo dalle mie paure, da una continua malinconia, da una specie di depressione. Dal silenzio. Dalla solitudine. Avevo sempre bisogno di fare qualcosa. Avevo sempre bisogno di essere coinvolto in un progetto, occupato, impegnato, per stare lontano da me.
(Anche a me è capitato di vivere quei momenti, in cui per sentirti perfettamente vivo, devi essere sempre in movimento. A parte che è una cosa che ho dentro: io devo esser sempre in movimento, altrimenti… mi annoio…)
In quei momenti di solitudine avrei risposto anche a quelli che mi avessero chiamato con "anonimo" o "numero privato". Quelli che di solito fissi il telefono perché sei curioso di sapere chi è, ma hai anche paura che sia un rompiballe e non sai che fare.
Una trappola mostruosa. Una volta non sapevi mai chi ti stava chiamando se non rispondevi. Adesso invece, abituato a vederlo prima, gli anonimi ti spiazzano. A parte quando ti chiama qualcuno e tu non rispondi perché non ti va di sentirlo; ma lui, dopo un secondo, richiama con anonimo… allora lo sai che non mi va di sentirti.
(Mitico… pura verità)
Crescendo, invece, mi sono convinto sempre di più, e non so su quali basi, che nella vita ci sia un solo vero grande amore. Che esista un principe azzurro per le donne e una principessa per gli uomini. L’anima gemella. E che gli altri alla fine siano soltanto comparse. Ero tutto contento all’dea che per una donna al mondo io ero il principe azzurro. Magari un coglione per il resto dell’universo femminile, magari insignificante, brutto, poco affascinante, magari con me Cenerentola sarebbe andata a casa alle dieci, dieci e un quarto al massimo, Biancaneve dopo il mio bacio avrebbe fatto finta di morire di nuovo, ma per una… fatevi largo, io ero il principe azzurro. Il più bello, il più affascinante, il più interessante. Non è meraviglioso sapere che per una persona al mondo tu sei "il più"? Non è incredibile tutto questo? Non dà un senso di responsabilità? A me questa cosa è sempre piaciuta. Anche se, in calzamaglia azzurra, non sto da dio.
(E’ una cosa talmente importante, coinvolgente, entusiasmante che… ti lascia senza fiato. E ti carica di responsabilità, ma contemporaneamente è così fantasticamente bella….)
In realtà, c’è stato un periodo intorno ai vent’anni in cui, anche se non riuscivo a cambiare nemmeno una felpa o un paio di scarpe, avrei voluto cambiare il mondo. Ero posseduto da un senso di giustizia che mi devastava l’anima. Sentivo che volevo essere diverso da quelli lì. Quelli lì che non saprei nemmeno spiegarvi chi fossero. Sentivo che non volevo scendere a patti con il mondo. Con la sua imperfezione. Come se io non ne facessi parte.
Avevo preso una frase del Cyrano come punto di riferimento: "No al patteggiamento, libero nel pensiero e nel comportamento".
(Io a vent’anni ero così. E forse lo sono ancora)
Una sera era venuto con noi il mio amico Sergio a un concerto in un centro sociale. Lui vestiva sempre, e lo fa tuttora, in giacca e cravatta. E anche quella sera si era presentato così. è stato lì che ho scoperto che non era vero che a quelli del centro sociale e a Flavia non interessasse il modo in cui una persona si veste. Lo hanno guardato come i fighetti in un locale esclusivo guardano quelli che non fanno entrare. Quelli che restano fuori. Quindi tutto ciò che loro criticavano, in realtà lo facevano a loro volta. la differenza era solo una questione di gusto. Non era vero che ci fosse tutta quella libertà. Anzi, c’erano dei codici diversi, ma altrettanto rigidi come nei posti trendy. E chi non rispondeva a quei codici era tagliato fuori.
(Capitava, uguale uguale, ai tempi in qui frequentavo il Rolling Stone. Mi ricordo una tipa, quando è entrato un tizio un pochino fighetto, lei fa: "Noooooo, è entrato in camiciaaaaa")
Non avendo lui fatto l’università, probabilmente ci teneva molto che la facessi io. La mia laurea era un traguardo più suo che mio. Era elencata nelle sue soddisfazioni. Un figlio laureato era nella sua lista. A volte sembra che la vita di certi figli sia un prolungamento di quella dei genitori. Il figlio perfetto ha queste scadenze: maturità, laurea, lavoro, matrimonio, figli.
(Storia di molti…)
Ho sempre pensato che certi sentimenti, certe parole, certi gesti, andassero conservati per una sola persona.
[…] Il mio sentimento è un campo innevato mai calpestato prima. L’ho protetto per anni.
[…] Con te ho capito che, quel campo, lo voglio attraversare. Se tu lo vorrai. ti prenderò per mano e ti porterò dall’altra parte.
(Dedicata alla mia morosa) (Non vi piace la parola "morosa"? Beh usate quella che preferite: tipa, fidanzata, ragazza, ecc.)