(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

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Come vivrai Johnny?

"Te ne vai?"
"Si"- rispose ‘Ntoni.
"E dove vai?"- chiese Alessi.
"Non lo so. Venni per vedervi. Ma dacché son qui la minestra mi e’ andata tutta in veleno. Per altro qui non posso starci, che’ tutti mi conoscono, e percio’ son venuto di sera. Andrò lontano, dove troverò da buscarmi il pane, e nessuno saprà chi sono."

Gli altri non osavano fiatare, perché ci avevano il cuore stretto in una morsa, e capivano che egli faceva bene a dir così.

Le dodici domande

Questo è un libro che mi è stato regalato al compleanno dello scorso anno. Come sapete sono sempre in ritardo coi libri da leggere, ma prima o poi ci arrivo.

È scritto da un indiano, Vikas Swarup. È molto interessante. Per prima cosa è scritto in modo avvincente. La storia è particolare: un giovane indiano, poverissimo, riesce a vincere un miliardo di rupie (che non so di preciso quanto valgano, ma immagino tanto!) ad un quiz televisivo, rispondendo esattamente a dodici domande difficilissime. Insospettiti  dal fatto che un povero disgraziato come lui, che non ha mai studiato e sempre fatto umili lavori, non avrebbe potuto conoscere le risposte a simili domande, i produttori del gioco (che oltretutto non avrebbero intenzione di pagare una simile cifra alla prima puntata del gioco) riescono a far incriminare il ragazzo per truffa. Primo colpo di scena: interviene un’avvocato (non è un errore di ortografia, è una donna..) che lo fa momentaneamente rilasciare in attesa del processo. Per poterlo difendere ha bisogno di conoscere la sua storia e i fatti che lo hanno portato a conoscere queste risposte. Da qui partono una serie di racconti, senza una sequenza cronologica, ma ognuno relativo a ciascuna delle dodici domande e relative risposte. Durante questi racconti si riesce sommariamente a ricostruire la vita disagiata, ma quanto mai, appunto, da romanzo, di questo poveraccio. Una vita da film. Infatti da questo libro è stato tratto anche un film. Colpi di scena in ogni racconto, fino a quello finale.

Un libro da gustare, di facile lettura, che apre scorci insoliti su una vita, quella dell’India, a noi spesso sconosciuta, ma in modo leggero e facilmente scorrevole. Mi è piaciuto. Grazie ancora quindi a chi me lo ha regalato.
 

Le cose che porta il cielo

Questo è un libro che mi è stato regalato da mio cugino Andrea, un bel po’ di tempo fa. Io sono sempre in arretrato coi libri, ma prima o poi li leggo ,tranquilli.
E’ stato scritto da un ragazzo africano che vive in USA, Dinaw Mengestu,  e parla di un immigrato africano che vive in USA. E’ un libro abbastanza triste e malinconico. Il tizio in questione se la passava abbastanza bene in africa, prima che un qualche rivoluzionario un po’ assassino e un po’ dittatoriale uccidesse suo padre. E così viene spedito in America, da uno zio, per "fare fortuna", o comunque per vivere meglio. I primi tempi li passa a far niente e vivere di speranze, poi si decide ad aprire un negozio di alimentari. Ma anche quella sarà una vita fatta di sogni, pochi soldi, e speranze che si riducono sempre più col passare delgi anni. Un barlume di vita viene da una donna che viene ad abitare vicino a casa sua. Bianca e ricca. Ma non funzionerà….

è1vita k t aspetto

Ancora un libro di Fabio Volo. E anche stavolta ho sottolineato alcuni passi che mi sono piaciuti. Eccoli (in corsivo i miei commenti):

Pare che i notai guadagnino molto perché hanno dovuto studiare parecchio. Sembra che quel parecchio sia a spese nostre. Forse pensano che, quando loro stavano studiando, noi eravamo in giro a non fare un cazzo.
(E’ una cosa pensata da molti. Magari a pensar male ci s’indovina…)

Lo aveva già fatto altre volte. Mi mandava dei messaggi carini e pieni d’affetto, ma di persona non riusciva a dirmi quelle cose. Io mi commuovevo. Io lo amavo. Quando una donna ti dice "ti voglio bene" o fa un gesto pieno di tenerezza è una figata, ma quando a fartelo è un tuo amico ti squagli di più. Quelle tenerezze tra amici, lontane da stupide battute sull’omosessualità, sono dirompenti. Intendo dire quando l’amico che te lo dice è in grado di intendere e di volere. Quando è lucido. Non parlo di quando è ubriaco e tra una vomitata e un passo storto comincia a dirti che ti vuole bene: "Ti voio begne, tu scei il mio miore amico… bluaaaaaaahhhhh!". Quelle volte non conta.
(A me è capitato e, credetemi, è così: dirompente. E mi è capitato anche l’amico ubriaco che sbiascica…)

Quelli con cui […] avevo giocato a rialzo, nascondino, strega comanda color, le belle statuine, mosca cieca, i quattro cantoni, bandierina, un due tre stella. Quelli con cui avevo imparato la filastrocca per fare la conta: "Pum pimpiripette nusa pimpiripette pam".
(Siiiii, i giochi da bambinooooooo)

Forse la libertà poi non è nemmeno poter fare ciò che si vuole senza limiti, ma piuttosto saperseli dare. Non essere schiavi delle passioni, dei desideri. Essere padroni di se stessi.
(Fosse facile)

Dovevo sempre essere in movimento, sempre impegnato, sempre pieno di cose. Era una vita che scappavo, che correvo, che fuggivo dalle mie paure, da una continua malinconia, da una specie di depressione. Dal silenzio. Dalla solitudine. Avevo sempre bisogno di fare qualcosa. Avevo sempre bisogno di essere coinvolto in un progetto, occupato, impegnato, per stare lontano da me.
(Anche a me è capitato di vivere quei momenti, in cui per sentirti perfettamente vivo, devi essere sempre in movimento. A parte che è una cosa che ho dentro: io devo esser sempre in movimento, altrimenti… mi annoio…)

In quei momenti di solitudine avrei risposto anche a quelli che mi avessero chiamato con "anonimo" o "numero privato". Quelli che di solito fissi il telefono perché sei curioso di sapere chi è, ma hai anche paura che sia un rompiballe e non sai che fare.
Una trappola mostruosa. Una volta non sapevi mai chi ti stava chiamando se non rispondevi. Adesso invece, abituato a vederlo prima, gli anonimi ti spiazzano. A parte quando ti chiama qualcuno e tu non rispondi perché non ti va di sentirlo; ma lui, dopo un secondo, richiama con anonimo… allora lo sai che non mi va di sentirti.
(Mitico… pura verità)

Crescendo, invece, mi sono convinto sempre di più, e non so su quali basi, che nella vita ci sia un solo vero grande amore. Che esista un principe azzurro per le donne e una principessa per gli uomini. L’anima gemella. E che gli altri alla fine siano soltanto comparse. Ero tutto contento all’dea che per una donna al mondo io ero il principe azzurro. Magari un coglione per il resto dell’universo femminile, magari insignificante, brutto, poco affascinante, magari con me Cenerentola sarebbe andata a casa alle dieci, dieci e un quarto al massimo, Biancaneve dopo il mio bacio avrebbe fatto finta di morire di nuovo, ma per una… fatevi largo, io ero il principe azzurro. Il più bello, il più affascinante, il più interessante. Non è meraviglioso sapere che per una persona al mondo tu sei "il più"? Non è incredibile tutto questo? Non dà un senso di responsabilità? A me questa cosa è sempre piaciuta. Anche se, in calzamaglia azzurra, non sto da dio.
(E’ una cosa talmente importante, coinvolgente, entusiasmante che… ti lascia senza fiato. E ti carica di responsabilità, ma contemporaneamente è così fantasticamente bella….)

In realtà, c’è stato un periodo intorno ai vent’anni in cui, anche se non riuscivo a cambiare nemmeno una felpa o un paio di scarpe, avrei voluto cambiare il mondo. Ero posseduto da un senso di giustizia che mi devastava l’anima. Sentivo che volevo essere diverso da quelli lì. Quelli lì che non saprei nemmeno spiegarvi chi fossero. Sentivo che non volevo scendere a patti con il mondo. Con la sua imperfezione. Come se io non ne facessi parte.
Avevo preso una frase del Cyrano come punto di riferimento: "No al patteggiamento, libero nel pensiero e nel comportamento".
(Io a vent’anni ero così. E forse lo sono ancora)

Una sera era venuto con noi il mio amico Sergio a un concerto in un centro sociale. Lui vestiva sempre, e lo fa tuttora, in giacca e cravatta. E anche quella sera si era presentato così. è stato lì che ho scoperto che non era vero che a quelli del centro sociale e a Flavia non interessasse il modo in cui una persona si veste. Lo hanno guardato come i fighetti in un locale esclusivo guardano quelli che non fanno entrare. Quelli che restano fuori. Quindi tutto ciò che loro criticavano, in realtà lo facevano a loro volta. la differenza era solo una questione di gusto. Non era vero che ci fosse tutta quella libertà. Anzi, c’erano dei codici diversi, ma altrettanto rigidi come nei posti trendy. E chi non rispondeva a quei codici era tagliato fuori.
(Capitava, uguale uguale, ai tempi in qui frequentavo il Rolling Stone. Mi ricordo una tipa, quando è entrato un tizio un pochino fighetto, lei fa: "Noooooo, è entrato in camiciaaaaa")

Non avendo lui fatto l’università, probabilmente ci teneva molto che la facessi io. La mia laurea era un traguardo più suo che mio. Era elencata nelle sue soddisfazioni. Un figlio laureato era nella sua lista. A volte sembra che la vita di certi figli sia un prolungamento di quella dei genitori. Il figlio perfetto ha queste scadenze: maturità, laurea, lavoro, matrimonio, figli.
(Storia di molti…)

Ho sempre pensato che certi sentimenti, certe parole, certi gesti, andassero conservati per una sola persona.
[…] Il mio sentimento è un campo innevato mai calpestato prima. L’ho protetto per anni.
[…] Con te ho capito che, quel campo, lo voglio attraversare. Se tu lo vorrai. ti prenderò per mano e ti porterò dall’altra parte.
(Dedicata alla mia morosa) (Non vi piace la parola "morosa"? Beh usate quella che preferite: tipa, fidanzata, ragazza, ecc.)

Poe

Io avevo ormai da tempo cessato sia di lottare che di muovermi, ed ero rimasto a sedere immobile sul divano, preda smarrita di un turbine di emozioni violente, tra le quali la meno terribile, la meno divorante era forse un supremo arcano terrore.

(E. A. Poe, "Ligeia")

Un brivido di ghiaccio mi corse per le ossa; mi sentii oppresso da una sensazione d’insopportabile angoscia; una curiosita’ divorante mi pervase l’anima, e ricadendo all’indietro sulla sedia rimasi per qualche tempo immobile e senza fiato, gli occhi fissi sulla sua persona.

(E. A. Poe, "Berenice")


"Vita e Morte", Gustav Klimt, 1908, Leopold Museum, Vienna

101 cose prima di morire

Mi è stato regalato questo interessante libro, in inglese, che spiega le 101 cose da fare prima di morire. Ve ne elenco alcune assolutamente a caso:

  • "Write a Best-seller". Scrivi un best-seller
  • "Meet someone with your own name". Incontra qualcuno col tuo stesso nome.
  • "Go up in a hot air balloon". Vai in mongolfiera.
  • "Meet you idol". Incontra il tuo idolo, il tuo mito.
  • "See the aurora borealis". Vedi un’aurora boreale.
  • "Get a free upgrade on a plane". Ottieni gratuitamente un avanzamento di classe durante un viagio in aereo.
  • "Throw a dart into a map and travel to where it lands". Lancia una freccetta su una mappa e vai nel posto in cui cade.
  • "Milk a cow". Mungi una mucca.
  • "Make the front page of a national newspaper". Finisci sulla prima pagina di un quotidiano nazionale.
  • "Save someone’s life". Salva una vita.
  • "Drink a vintage wine". Bevi un vino d’annata.
  • "Be an extra in a film". Fai la comparsa in un film

Io di queste non ne ho fatta propriamente neanche una, ma ad almeno 3 o 4 ci sono andato molto vicino. In ogni caso è segno che ho ancora tanta tanta tanta vita davanti per poterle fare tutte e 101 !!!!

Ma voi vi rendete conto che talento che era Bernini? Questa qui a fianco è una delle sue innumerevoli grandi opere, il Ratto di Prosperina, che si trova a Roma alla Galleria Borghese. Immagino che non ve ne freghi nulla o quasi, ma volevo solo farvi riflettere sulla qualità (e oltretutto sulla quantità, Roma ne è disseminata) delle opere del Bernini, per gli amici Gianly. Poi, per gente come me che non riesce neanche a immaginarsi di tirare una riga dritta, è ancora più spaventosamente fantastico scoprire che tali opere sono uscite da una mano umana. Strabiliante. Ma li vedete che paiono vivi? Anzi, più che vivi, esteticamente perfetti. Ok, la smetto, scusate, ma tanto anche l’argomento del post di oggi è abbastanza noioso….

Il Circolo Dante

Ho appena finito di leggere questo romanzo: Il Circolo Dante, di Matthew Pearl. Questo ragazzo americano è un appassionato di Dante Alighieri e ha preso spunto dall’idea di Henry Wadsworth Longfellow, famoso poeta statunitense, che sul finire del 1800 creò il cosiddetto "Circolo Dante", per tradurre e promuovere la Divina Commedia in America.
La storia è vera, il romanzo, ovviamente, no. L’autore immagina una serie di efferati omicidi che si susseguono a Boston in quegli anni, che hanno una particolarità: sono ispirati ad una qualche punizione descritta dal poeta fiorentino ne "L’inferno".
I componenti del Circolo se ne accorgono e cercano di venire a capo del mistero.

Giudizio sul libro: carino; mischia un po’ di storia, di letteratura, di trhiller, di giallo, ecc.

La mucca viola

Qual è il concetto spiegato da Seth Godin, l’autore di questo libro di marketing? Semplice: quando un cittadino va in campagna e vede una mucca, rimane ammirato ad osservarla. Ma dopo una settimana le mucche non attirano più la sua attenzione. E se vedesse una mucca viola?

Ecco quello che dice: in questo mondo pieno di bombardamenti mediatici, la pubblicità banale non funziona più. E il vecchio sistema, dove i produttori sfornavano un prodotto e poi delegavano al marketing il compito di venderlo, è superato. Ora gli esperti di marketing devono contribuire a progettare il prodotto, in modo che esso stesso sia veicolo promozionale.

In una parola, occorre essere straordinari. Fare successo con l’ordinarietà è sempre più difficile.

L'italiano. Lezioni semiserie.

Un gradevole libro di Beppe Severgnini. Sono consigli su come scrivere bene, ma non è un libro supponente o pedagogico, è sempre nello stile di Severgnini, quindi abbastanza ironico e, appunto, semiserio.

Spiega le cose da fare (per esempio scrivere chiaro e conciso) e soprattutto da non fare (usare metafore abusate, niente punteggiatura, ecc.). Tra le tante cito: l’abuso di parole straniere che potrebbero benissimo essere sostituite dalle corrispondenti italiane ("vision"); il cosiddetto "italiano parallelo", quello che si usa solamente scrivendo (faccia = volto, macchina = autoveicolo, ecc.); il poco utilizzo delle virgole e il troppo uso dei punti esclamativi o dei puntini di sospensione.

E poi i "Sedici Semplici Suggerimenti":

  1. Avere qualcosa da dire (non è scontato)
  2. Dirlo (invece di dire altro)
  3. Dirlo brevemente (questa è autoesplicativa)
  4. Non ridirlo. Se mai, rileggerlo (quasi nessuno lo fa)
  5. Scriverlo esatto (quando si usa il cq? ci vuole la i? e l’accento? e la doppia?)
  6. Scriverlo chiaro (la colpa non è mai di chi non capisce, ma sempre di chi -non- si spiega)
  7. Scriverlo in modo interessante (non è facile)
  8. Scriverlo in italiano (alcune parole straniere sono inevitabili, ma altre sono insopportabili)
  9. Non calpestare i congiuntivi
  10. Non gettate oggettive dal finestrino (meno "che" si usano, meglio è)
  11. Spegnete gli aggettivi (le parolone sono come le parolacce: meglio non usarle, ma è importante conoscerle)
  12. Non date da mangiare alle maiuscole (quando e come usarle)
  13. Slacciate le metafore di sicurezza (alcune sono stantie)
  14. In vista della citazione, rallentate (stessa cosa dicesi delle citazioni, meglio non abusarne)
  15. Evitate i colpi di sonno verbale (piccole disattenzioni che rendono difficle la lettura)
  16. L’ultimo che esce, chiuda il periodo (prima o poi bisogna finire di scrivere ciò che si sta scrivendo. Con stile)

Fantastica è la lettera che gli hanno inviato alcuni studenti di un suo corso su "come scrivere bene". E’ ovviamente uno scherzo, ma spiega bene come non ci si deve comportare:

Chiarissimo Professor Severgini, cogliamo l’opportunità di un’interfaccia amichevole con Lei per ringraziarLa che fosse stato disponibile alle lezioni di scrittura in Bocconi. Certo non è la location giusta, ma dopo un brevissimo briefing tra di noi, come disse Churchill, e lei lo sa, "tra intimi" ci si capisce. Mostriamo la nostra accresciuta e imperitura gratitudine. Se sarebbe possibile incontrarLa di persona, Le faremmo i nostri ringraziamenti personalmente, ma data la nostra estrema, dissrmante, forse eccessiva, arrossata "timidezza", restiamo seduti in attesa della Sua attenzione in classe, restando muti come pesci. Nel manifestarci gradevolmente a Lei, ma "lingua mortal non dice quel che io sentia in seno" Foscolo dice. Le problematiche da Lei trattate nel corso ci saranno di grande aiuto nel corso del "cammino della nostra vita". E’ nostra Speranza che questa missiva giunga alla Sua Cortese Attenzione, nell’attesa di un prossimo e pronto riscontro, thanks for disturbing.

I cinesi non muoiono mai

Quando ho sentito parlare di questo libro, e soprattutto quando ho sentito chi era uno degli autori, quel Riccardo Staglianò di cui avevo già letto “L’impero dei Falsi”, non ho esitato a comprarlo. Il libro è molto leggibile, come al solito, è interessante e fa capire molte cose. Sfata tanti luoghi comuni sulla comunità cinese in Italia, spiega il motivo e la natura di certi comportamenti che a noi paiono strani e fa capire tante cose. Svela ciò che accomuna e ciò che differenzia i cinesi dagli italiani e i cinesi stessi al loro interno. Perché noi siamo abituati a pensare i cinesi come un unico popolo, ma se pensiamo alle differenze che talvolta ci sono tra gli italiani, pensate a quelle che ci possono essere in un popolo composto da più di un miliardo di persone: non parlano neppure la stessa lingua!
Se volete capirne di più sui Cinesi in Italia, leggetelo, ve lo consiglio caldamente. Dove lavorano, come lavorano, la religione, il gioco d’azzardo, la cultura, i sogni, le prospettive, le seconde generazioni… tutto è svelato in questo libro. E finalmente anche voi potrete scoprire il perché… i cinesi non muoiono mai.
 

La Casta

Anche io sono uno di quelli che hanno letto "La Casta", il celeberrimo libro di Rizzo e Stella. A dire la verità ho letto la versione aggiornata, quella con il sottotitolo "e continuano a esserlo".

Beh per prima cosa c’è da dire che è un libro che ti fa... diciamo… incazzare come una biscia incazzosa. Per fortuna siamo italiani, e siamo più o meno abituati, altrimenti dopo un libro così ci sarebbe stata la rivoluzione, stile Ceausescu in Romania. Ogni singola riga di quel libro parla di sprechi, di furti legalizzati e cose simili. Come li definireste gli stipendi dei politici, ad esempio quello del presidente della provincia di Bolzano che è più alto di quello del governatore del Texas? E tutte le furberie, le mangerie. Legali, per la carità, ma che problema c’è: le leggi le fanno loro! Mica rubano, che bisogno c’è, basta fare una leggina che concede, che so, una pensione, un aumento di stipendio, un’agevolazione, ecc. E il gioco è fatto.

Non leggete assolutamente questo libro, fate come gli struzzi e tenete la testa sotto la sabbia, altrimenti ci sarà la revolución!

Porno

Dopo Ecstasy, Trainspotting, Il Lercio e Tolleranza Zero ho letto anche questo libro di Irvine Welsh, “Porno”. E’ il seguito di Trainspotting, che terminava con Renton che fregava i suoi amici e scappava col malloppo. Ora Renton vive ad Amsterdam, dove ha aperto un club, Sick Boy aka Simon David Williamson apre un pub a Edimburgo, Spud è il solito strafatto e Begbie è addirittura peggiorato, diventando sempre più un delinquente. La storia è una delle solite di Welsh, che parla di degrado, di malaffare, di gente guasta che vive senza pensare al domani, personaggi cinici e bastardi che pensano solo a sé stessi e all’oggi. L’unico che un po’ si salva è sempre Renton, che infatti si mette (quasi) sulla buona strada con la sua fiamma di una volta, Dianne.
Quello che rende sempre grandi i libri di Welsh è il suo stile: crudo e schietto, come fossero i suoi personaggi stessi a parlare. E siccome è tutta gente dei bassifondi non parlano certo forbiti come ad Oxford. Stavolta una novità: ogni capitoletto è proprio narrato da un personaggio ogni volta diverso, e quindi ha uno stile diverso. Quando racconta Spud è tutto appiccicoso e impastato. Quando parla Begbie è incazzoso e prepotente, ecc. Grandioso. Se vi piace il genere (non credo, è roba x pochi) leggetelo!

 

Risatina Fast

Ecco alcune "piangellette", come le chiamo io, tratte dal libretto "Risatina Fast" di Adriano Altorio. Vi avverto che fanno…si insomma…beh leggetele e capirete…

"Sapete che differenza c’è tra un notaio e una strega? Che almeno la strega fa la fattura"

"Papà, papà, ho paura dei lupi mannari. Zitto e pettinati la faccia che dobbiamo uscire"

"Che ci fa un chicco di caffè nella vasca? Si lavazza. E perchè? Per diventare splendid"

 "Che cos’è il fattore di potenza? Un allevatore della Basilicata"

"Cosa diceva l’ultimo dei Mohicani? Aspettatemiiiiiiiiii"

"La più brava ballerina russa: Olanka Sbylenka"

"Il santo protettore degli ubriachi: San Buca"

"Buongiorno, qui è il centralino, desidera? Mi chiama Francoforte? FRANCOOOOOOOOOO"

e questa, per fortuna, era l’ultima. E queste… erano le "migliori", figuratevi voi le peggiori !!!

Il giorno in più – prima parte

Tra le mie tante letture che inizio e mai finisco… ho finito di leggere "Un giorno in più" di Fabio Volo. Cavoli il mio omonimo a volte sembra che mi legga nel pensiero, scrive cose che avrei potuto scrivere io, se solo ne avessi le capacità. Altre volte scrive cose che semplicemente mi piacciono molto. Leggendo questo libro ho sottolineato diverse parti che ora vi vado a sottoporre (tra parentesi i miei commenti)

"Sembra quel tipo di donna che magari va al mercato a comprare cose che costano poco e, grazie alla sua fantasia e alla capacità di abbinare le cose, si veste in modo originale. Quelle donne non hanno bisogno di spendere tanto per vestirsi bene, è un loro talento, comprano quattro stracci, li mettono insieme e diventano femminili e sexy. Sono quelle donne che profumano di mela."

"In ogni città dove sono stato a vivere per un po’ c’è sempre un luogo che diventa <<il mio posto>>. Quello dove vado a pensare, quello che mi regala una sensazione familiare di intimità." (a me succede sempre)

"Quando ho scoperto il suo tradimento, come da piccolo sono nuovamente fuggito dal mondo, e il luogo dove mi sono rifugiato è stata la scrittura. Volevo inventare, immaginare un mondo diverso, dove il protagonista faceva del bene."

"Mia nonna un giorno mi aveva detto: La vecchiaia è un posto dove vivi di ricordi. Per questo, quando sei giovane, vivi creandotene di belli. Ogni volta che ho fatto qualcosa di bello, oppure una stronzata, dopo quella frase di mia nonna mi sono sempre detto: Vabbè… lo racconterò ai miei nipotini."

"Sinceramente non sapevo se fidarmi, ma la ragazza dell’ufficio era molto gentile, e la gentilezza in me crea fiducia. Le ho creduto" (anche io generalmente mi fido istintivamente del prossimo… salvo poi prendermi delle fregature…!!!)

"Sul taxi per andare a Manhattan, ho attaccato bottone subito con il tassista. Lo faccio sempre, anche per capire a che punto è il mio inglese dopo tanto tempo che non lo parlo. Capivo bene. Guardare i film e le serie televisive in lingua originale è un buon allenamento. E poi ho imparato che quando non riesco a dire qualcosa usa la parola get e quasi sempre funziona. Get è l’equivalente di puffare per i puffi. Funziona sempre."

"Quando mangio prosciutto e melone mi chiedo sempre chi ha inventato l’associazione. Io lo mangio perchè l’ho visto fare e mi è piaciuto, ma non so se avendo nel frigorifero il prosciutto e il melone ci sarei arrivato da solo a metterli insieme. Mah!" (vero!)

 "Le mi diceva sempre: Guarda che quando è finito non ce n’è più. Concetto abbastanza semplice da capire, ma lei intendeva che non me ne avrebbe fatto un altro almeno fino al giorno dopo. Spesso lo finivo lo stesso. Era più forte di me. Sarei dovuto andare in uno di quei centri per alcolisti anonimi a raccontare la mia storia di dipendenza dal tè freddo. Ciao a tutti, mi chiamo Giacomo, ho otto anni e ho iniziato a bere così per gioco. poi un giorno mi sono accorto che non potevo più andare avanti senza la mia bottiglia di tè al limone. ma grazie anche a voi ho deciso di smettere"

"Ricordo quando passeggiavo a Londra per Leicester Square e incontravo gli italiani in vacanza con lo zainetto: li guardavo come se io fossi un londinese. Li evitavo ma, al tempo stesso, avevo anche il desiderio di andare da loro per dirgli dove si mangia bene, dove ci si diverte e cose di questo genere. Insomma, fare quello che conosce il posto." (siii, io lo facevo sempre!)

"Sono arrivato a Londra a mezzogiorno e alle quattreo del pomeriggio avevo già trovato un lavoro: lavapiatti in un ristorante vicino a Liverpool Street Station" (col cavolo che è così facile.. però dai, anche io lavapiatti a Liverpool Street Station… ma l’ho proprio scritto io!)

Manuale di scrittura creativa

Finalmente ho finito di leggere anche questo libro, di Roberto Cotroneo, che mi è stato regalato quasi un anno fa dai miei amici per "aiutarmi" nella scrittura del blog. Purtroppo però il libro parla essenzialmente di come si scrive un romanzo, cosa che io non intendo fare. Infatti parla della struttura del racconto l’incipit, come si scrivono i dialoghi, la scelta dello stile, ecc. Adirittura siega come contattare una casa editrice. E’ scritto in modo semplice, chiaro ed avvincente.

Detto questo volevo comunque riportare una frase che c’è scritta all’inizio del libro che mi è piaciuta:

"Il principio basilare di qualsiasi scrittura: si scrive per gli altri, mai solo per se stessi. La scrittura è una forma di comunicazione, non una forma di solitudine: si scrive per raccontare qualcosa a qualcuno"

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