“Come una notte a Bali” di Gianluca Gotto è un libro che mi è piaciuto per la sua sincerità e il suo romanticismo. L’autore ci conduce in un viaggio che molti di noi hanno sognato: lasciare tutto e partire alla scoperta del mondo, liberi da vincoli e convenzioni.
Il protagonista, un giovane milanese (anche se non c’è scritto, l’ambientazione è quella), si trova a un bivio: una relazione in declino, un lavoro insoddisfacente, la pressione delle aspettative sociali. La sua reazione è un atto di coraggio: un biglietto di sola andata per Bali, alla ricerca di se stesso e di una nuova prospettiva.
Gotto descrive con vividezza le emozioni e le scoperte del protagonista, trasportando il lettore in un’avventura che è al tempo stesso interiore ed esteriore. Il libro è una riflessione sulla libertà, sull’importanza di seguire i propri sogni e sul coraggio di cambiare rotta quando la vita ci sembra stretta.
Gotto è uno scrittore e viaggiatore, conosciuto per il suo blog “Mangia Vivi Viaggia” dove condivide le sue esperienze di viaggio e riflessioni sulla vita.
Approfittando di una bellissima giornata di nebbia il nostro Fabio ci conduce in un percorso, metà asfalto e metà sterrato, nel comune di Montesegale PV
Dopo una tranquilla colazione in camera, siamo partiti alla scoperta di Beatty. Devo ammettere che la mia richiesta di lasciare l’auto nel parcheggio del motel per un’oretta ha suscitato un’espressione perplessa nella receptionist.
Presto ne abbiamo capito il motivo: eravamo troppo abituati ai pittoreschi borghi italiani ed europei. Beatty si è rivelata una cittadina piuttosto anonima, con un’atmosfera quasi spettrale. Molti dei paesi che abbiamo visto in questa zona sono così: qualche casa o attività commerciale lungo la strada principale e poi distese di costruzioni in legno con “giardini” di sabbia, un modo eufemistico per descrivere delle vere e proprie baracche nel deserto.
Seguendo i consigli di una guida online, abbiamo deciso di visitare una ghost town nelle vicinanze, Rhyolite. Devo dire che, a nostro parere, non vale la deviazione, nemmeno se vi trovate a passare da quelle parti. L’unica nota positiva è stata la possibilità di scattare qualche foto con degli asinelli pacifici e curiosi che si aggiravano nei dintorni.
La nostra prossima tappa era il Red Rock Canyon, a circa un’ora e mezza di auto, vicino a Las Vegas. Durante la strada ci siamo però imbattuti nel “Area 51 Alien Center“, un minimarket nel deserto del Nevada vicino alla famosa zona segreta. Molder sarebbe stato fiero di noi!
Arrivati al visitor center del Red Rock Canyon, abbiamo appreso che il parco si esplora percorrendo una strada panoramica a senso unico di circa 13 miglia, con diverse piazzole di sosta per ammirare i punti panoramici e le attrazioni principali. Da ogni piazzola partono anche dei sentieri escursionistici, ma abbiamo preferito non avventurarci, sia per il caldo torrido, sia per la presenza di un bimbo piccolo, sia per la minaccia di pioggia imminente. Alcuni punti panoramici erano facilmente accessibili dal parcheggio, mentre altri richiedevano una breve passeggiata. Ad un certo punto, i nostri telefoni hanno iniziato a suonare all’unisono, emettendo un suono simile all’IT ALERT italiano, segnalando un rischio di “flash flood“, ovvero un’inondazione improvvisa, nelle ore successive. La cosa curiosa è che il segnale è partito anche dal telefono di Leo, che non ha una scheda SIM.
Dopo aver ammirato le bellezze del Red Rock Canyon, che ci ha davvero entusiasmato, siamo scesi a Las Vegas, dove ci siamo diretti verso il celebre cartello “Welcome to Fabulous Las Vegas“. Ovviamente, c’era una lunga fila di turisti in attesa di scattare la classica foto di rito. Non mancavano i “professionisti” che offrivano di scattare foto a pagamento o di “saltare la fila” (in realtà ti accompagnavano di lato e ti scattavano la foto in un breve intervallo tra un gruppo e l’altro).
A questo punto, abbiamo cercato il nostro hotel, che, sulla carta, avrebbe dovuto trovarsi vicino al famoso Bellagio. Trovarlo, però, si è rivelata un’impresa più ardua del previsto, data la confusione e il traffico di Las Vegas. La nostra camera era in realtà un appartamento spazioso, probabilmente una vecchia suite non ristrutturata di recente (l’arredamento era un po’ datato, ma in buone condizioni). Avevamo a disposizione un salotto, un frigorifero, una lavastoviglie, due televisori e altri comfort.
Dopo una rinfrescante doccia, siamo usciti per immergerci nella vibrante atmosfera notturna di Las Vegas! Le strade erano gremite di gente, tanto che per percorrere pochi metri ci voleva un’eternità. Abbiamo accontentato Leo, che aveva una gran voglia di McDonald’s, e ci siamo diretti verso il fast food più vicino. Leo era così stanco che si è addormentato mentre mangiava. La nostra “trasgressiva” notte di Las Vegas è finita così!
Sono entrato in possesso del volume “Archeologia a Voghera” di Elena Calandra.
Quest’opera, pubblicata nel 1992, cataloga in modo dettagliato i reperti conservati presso la Civica Biblioteca Ricottiana e i magazzini comunali, offrendo una panoramica completa delle testimonianze del passato, dalle epoche più antiche fino a quelle più recenti.
Ogni reperto è accompagnato da una scheda descrittiva che ne illustra le caratteristiche, la provenienza e il periodo storico di riferimento.
Nel 1983 hanno “inventato” un’ultramaratona di 893km da Sidney a Melbourne.
Si è presentato, tra i vari atleti professionisti, un contadino, Cliff Young, che aveva già corso delle maratone perché lui era abituato a correre dietro alle pecore per giorni.
A volte anche per 3/4, anche 5 giorni di fila. Lì si sarebbe trattato di circa una settimana quindi sarebbero stati “solo” due giorni in più.
Gli altri erano superattrezzati e sponsorizzati, lui correva con stivali di gomma.
Dopo un giorno era il più indietro.
Dopo qualche giorni era invece in testa, perché gli altri si fermavano a dormire, mentre lui non si è mai fermato.
Ha vinto con 10 ore di distacco sul secondo. Ha dichiarato che non aveva capito che fosse consentito fermarsi a dormire. Non aveva neanche capito che il vincitore avrebbe ricevuto un premio in denaro, che ha devoluto ai primi 5 arrivati dopo di lui.
Questo per dire che tutto ciò che sembra impossibile, o anche solo difficile, magari passettino dopo passettino, anche se gli altri ridono, può essere raggiunto.
Anche senza vincere, senza dare 10 ore di distacco agli altri, anzi magai arrivando ultimi. Ma arrivando, cosa che quelli che partono in tutta fretta e con tanto sfarzo magari non riescono a fare.
Dopo aver apprezzato “Invece di dire… prova a dire…” di Alli Beltrame (https://shorturl.at/8ceDH), non potevo non leggere il suo libro più famoso, “Perché fai così?“. E anche questa volta l’autrice non mi ha deluso!
Un libro che apre gli occhi
Alli ci invita a riflettere profondamente sul nostro ruolo di genitori e su come spesso, senza volerlo, cadiamo in pattern comunicativi dannosi. Quante volte ci siamo ritrovati a “sgridare” i nostri figli in pubblico solo per sentirci “genitori integerrimi“? Quante volte abbiamo preteso che si comportassero come adulti, dimenticando che il loro cervello è ancora in fase di sviluppo?
Consigli pratici e preziosi
Il libro ci aiuta a capire che dietro i comportamenti dei bambini, spesso etichettati come “fastidiosi“, si nascondono bisogni specifici e situazioni che richiedono un approccio diverso. “Perché fai così?” non è solo un libro teorico, ma una vera e propria guida pratica, ricca di consigli preziosi che possiamo mettere subito in pratica con i nostri figli.
Un libro che fa la differenza
I consigli di Alli Beltrame sono illuminanti e mi hanno permesso di vedere ciò che fa Leo sotto una luce nuova. Cercherò di farne tesoro e di utilizzarli il più possibile nel mio percorso di genitore.
Consiglio vivamente questo libro a tutti i genitori che desiderano crescere i propri figli in modo consapevole e rispettoso, abbandonando i vecchi schemi educativi e aprendosi a nuove modalità di comunicazione.
Un luogo dove il tempo sembra fermarsi, dove la passione per la natura e la buona cucina si fondono in un’esperienza unica. Vi consiglio di visitare l’agriturismo La Casa di Paglia a Costa Galeazzi, nel cuore dell’Oltrepò Pavese.
Qualche tempo fa, su consiglio di cari amici, io e la mia famiglia abbiamo varcato la soglia di questo posto incantato, e siamo stati subito rapiti dalla sua atmosfera magica. Ad accoglierci c’era Alain, un padrone di casa che con la sua passione e il suo entusiasmo ci ha fatto sentire subito a nostro agio.
Alain ci ha raccontato la storia di come lui e sua moglie Viviana, stanchi della frenesia della vita milanese, abbiano deciso di cambiare vita e di inseguire il loro sogno: costruire una casa di paglia, un luogo dove “slow life” e sostenibilità fossero i valori fondanti. Ebbene sì, avete capito bene: la casa è davvero costruita con la paglia, un materiale naturale, ecologico e dalle incredibili proprietà isolanti.
Mentre gustavamo le prelibatezze della cena, Alain ci ha svelato i segreti della costruzione in paglia, una tecnica antica quanto innovativa, che garantisce edifici resistenti ai terremoti, ignifughi e con un’efficienza energetica di classe A+.
Ma veniamo alla cena, un vero e proprio tripudio di sapori autentici, preparati con amore e con ingredienti a km 0. Piatti semplici ma ricercati, che esaltano i prodotti del territorio e che ci hanno fatto riscoprire il gusto della vera cucina casalinga.
La Casa di Paglia non è solo un ristorante, è un’esperienza che coinvolge tutti i sensi, un viaggio nel cuore della tradizione e dell’innovazione, un luogo dove l’amore per la terra e per il buon cibo si incontrano in un connubio perfetto.
Non ho scattato foto, lo ammetto. Volevo vivere appieno ogni istante di questa serata speciale, custodendo nel cuore i sapori, i profumi e le emozioni che La Casa di Paglia mi ha regalato.
Siamo partiti da LA, abbiamo lasciato la città e ci siamo fermati in una località per fare la spesa nel nostro fido Walmart di fiducia.
Poi 5 ore di strada nel nulla. Le classiche strade americane dove vai vai vai vai vai vai vai. A destra non c’è nulla, a sinistra non c’è nulla, davanti non c’è nulla e dietro non c’è nulla. Non un paese, non una casa, non un negozio, non una persona, nulla !
Siamo arrivati finalmente nella Valle della Morte, dove la quota sale fino a 1500 metri, per poi scendere sotto il livello del mare. Al Furnace Creek Visitor Center c’erano 50 gradi. CINQUANTA. Abbiamo comprato la tessera parchi che ha validità annuale, e anche il “passaporto” dove mettere tutti i timbri dei vari parchi nazionali.
Ci siamo diretto verso il Badwater Basin, un lago salato preistorico prosciugato che da lontano ti pare acqua, ma in realtà è fatto di sale. Lungo la strada c’era un tizio che faceva jogging. Giuro. Cinquanta gradi. E quello correva. Serio! Nel nulla, tra l’altro, roba che se gli fosse venuto uno sciopone non avresti neanche saputo come soccorrerlo.
Abbiamo fatto un giro nel sale, posto spettacolare. Io e Leo saltabeccavamo, Valentina invece ha accusato parecchio.
Tappa successiva: Artist’s Palette, dove ho fatto meravigliosi selfie con rocce colorate. C’è stato anche George Lucas a girare delle scene di Star Wars.
Dopodichè allo Zabriskie Point dove io e Leo ci siamo avventurati fino al punto panoramico (Valentina era ancora sconvolta dal caldo, un po’ come il mio cellulare che ogni tanto si spegneva causa surriscaldamento) per fare delle splendide foto.
L’ultimo posto era Dante’s View, che è una montagna esattamente a picco sul Badwater Basin. Il caldo era calato in quanto ormai era sera ed è venuto buio pesto. L’idea di essere comunque in un deserto, nel nulla, lontano da tutto e da tutti non è per niente rassicurante quando scende la notte: se per caso ti si ferma la macchina? Ciaone! Così abbiamo cercato di non essere gli ultimi a partire.
Tornando, al visitor center ho fatto benzina alla modica cifra di 6 dollari al gallone (sticavoli), poi abbiamo svalicato (e approdati in Nevada) in direzione Beatty, dove dopo miglia e miglia di strada dritta, il nostro motel ci ha accolti con dei bei lettoni morbidoni.
Sono salito fino al Forte Diamante partendo da Brignole.
Un bel giorno ho preso il treno da Voghera e mi sono lasciato alle spalle freddo e nebbia e sono sceso alla stazione di Genova Piazza Brignole. Da qui si prendono scale e strade in salita che ti portano nella Staglieno alta. A questo punto partono dei sentieri e delle sterrate che ti portano fino al Forte Diamante.
Uno stupendo percorso mare-monti come solo la Liguria ti può regalare, salita anche poco impegnativa se vogliamo dirla tutta.
La salita l’ho fatta in tutta calma facendo pause e tante foto. Durante la discesa ho deciso di andare a Principe (tanto i tempi sono gli stessi), correndo come un matto per prendere il treno. Quando scendi e vedi la Lanterna con il sole che sta già calando… pura poesia.
Una volta sul treno mi sono reso conto che nei primi chilometri, guardando in alto a destra si vede..il Forte Diamante! 50 anni che prendo quei treni e non me ne ero mai reso conto!
Se ti metti alla prova (per usare una frase abusata: “esci dalla tua zona di comfort”) e dimostri a te stesso di essere in grado di poter superare delle, seppur piccole, prove, la tua autostima non può che crescere e questo ti dà la carica per metterti alla prova con altre sfide.
Ogni tanto la pubblicità su carta stampata riesce ancora a colpirmi. In fondo alla pagina completamente bianca sul Corriere della Sera di oggi c’è scritto: “Non ho bisogno di fare pubblicità al mio film. Ho comprato questa pagina per farci disegnare i vostri figli. Vi saluto. Angelo Duro” Al di là dell’intento promozionale, mi ha fatto sorridere l’idea di vedere un bel disegno di mio figlio in mezzo a tante notizie così seriose su guerre, finanza, disastri, polemiche, ecc. Io voto 8 per Angelo Duro (e per la sua agenzia marketing)
Successo il 22 gennaio 2025: ero a Milano, 7 e 30 del mattino, orario insolito per un incontro tra vari professionisti e imprenditori: avvocati, edili, architetti, editori, nutrizionisti, fotografi, personale trainer, consulenti finanziari, informatici, giardinieri, e chi più ne ha più ne metta. Parlo di me e della mia attività e ad un certo punto in due mi dicono: ma tu sei IVO DEL BRALLO? Per la serie “quanto è piccolo il mondo” e per fare capire quanto Brallo aveva portato Ivo in giro per l’Italia, che basta dire la parola “Brallo” per fare scattare il collegamento con “Ivo”
Uscire dal metro quadro dove ogni cosa sembra dovuta, guardare dentro alle cose: c’è una realtà sconosciuta che chiede soltanto un modo per venir fuori a veder le stelle e vivere l’esperienze sulla mia pelle, sulla mia pelle. Io penso positivo perché son vivo, perché son vivo